Il decreto Salva-Roma prevede una decurtazione dei trasferimenti statali agli enti locali che adottano regolamenti volti a limitare la diffusione di slot-machine e simili. Ma chi sono i giocatori d’azzardo? Anziani, famiglie con capofamiglia poco istruito e disoccupati. E La crisi non ha fatto altro che aumentare la propensione al gioco
La seguente figura indica la quota di spesa complessiva destinata al gioco d’azzardo per diverse tipologie famigliari tra il 2008 e il 2011. Come si può osservare, sono soprattutto le famiglie di persone sole, e in particolare quelle anziane, ad aver speso relativamente di più in concorsi a premi, lotterie e slot-machine. Tra il 2008 e il 2009 sia le persone sole con meno di 35 anni che quelle con più di 65 anni hanno aumentato tale componente di spesa, mentre le altre tipologie famigliari l’hanno ridotta (salvo tuttavia aumentarla significativamente tra il 2009 ed il 2010, un aspetto che ha interessato soprattutto le famiglie con un solo genitore e le coppie senza figli con capofamiglia giovane).
Le due figure successive mostrano invece come siano soprattutto le famiglie con capofamiglia relativamente poco istruito (senza titolo di studio o al più con licenza elementare) e non occupato (specialmente casalinghe e disoccupati) quelle che spendono una quota maggiore dei loro consumi totali in concorsi a premi, lotterie e slot-machine. È poi interessante notare come le famiglie con capofamiglia disoccupato abbiano significativamente aumentato la quota di spesa destinata al gioco durante gli anni più acuti della crisi.
Il grafico seguente, infine, riporta l’incidenza della spesa per il gioco d’azzardo rispetto alla spesa complessiva per regione (2). Come si può notare, sono soprattutto le regioni del Meridione (e in particolare la Sicilia, la Calabria, l’Abruzzo e il Molise) quelle con un’incidenza della spesa significativamente superiore alla media. Le regioni con una bassa propensione al gioco sono invece quelle del Centro e soprattutto del Nord Italia (in particolare la Lombardia, il Lazio, il Piemonte/Valle D’Aosta e l’Emilia Romagna).
GLI EFFETTI DISTRIBUTIVI DEL GIOCO D’AZZARDO
Analizziamo ora gli aspetti distributivi del gioco d’azzardo. A tal fine ordiniamo le famiglie italiane in 5 gruppi di uguale numerosità sulla base del loro livello di spesa complessiva equivalente. In tal modo il primo quinto sarà quello con il livello di spesa equivalente più basso mentre l’ultimo quinto sarà quello con i livelli di spesa equivalente più alti. La figura seguente mostra l’incidenza della spesa per il gioco d’azzardo rispetto alla spesa complessiva per ciascun quinto della popolazione.
Come si può osservare la spesa per il gioco d’azzardo è particolarmente regressiva rispetto alla spesa complessiva. Infatti, le famiglie con bassi livelli consumo spendono, in media, una quota maggiore delle loro risorse per questo capitolo di spesa. Inoltre, attraverso il modello di micro-simulazione del Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche (Capp) dell’Università di Modena e Reggio Emilia è stato possibile analizzare l’incidenza di tale spesa anche rispetto al reddito disponibile famigliare. Come mostrato in figura dalla linea tratteggiata, il risultato non cambia: la spesa per il gioco d’azzardo è regressiva anche rispetto al reddito disponibile; in altre parole, le famiglie più povere sono quelle che spendono relativamente di più per giochi a premi, lotterie e slot-machine. I dati a disposizione consentono infine di valutare come si sia modificata nel corso del tempo l’incidenza della spesa per il gioco d’azzardo per ciascun quinto della popolazione. (3)
La figura mostra chiaramente che tra il 2007 e il 2011 solo il primo quinto di famiglie ha modificato significativamente il proprio comportamento di spesa verso i giochi a premi. In altri termini, col progredire della crisi le famiglie più povere hanno deciso di puntare maggiormente sulla fortuna per cercare di compensare la caduta del potere d’acquisto creata dall’aggravarsi della situazione economica.
(1) La base dati su cui si basano i risultati esposti nel seguito è l’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane pubblicata annualmente dall’Istat. Tale indagine, infatti, è l’unica in Italia a consentire una caratterizzazione del giocatore medio, in quanto tra le spese che le famiglie intervistate devono dichiarare all’Istat vi è anche quella relativa alle spese per “Totocalcio, lotto ed altri concorsi a premi”
(2) L’ordinamento delle regioni si riferisce all’incidenza media della spesa in giochi e lotterie durante il periodo 2008-2011
(3) Il grafico riporta un’approssimazione polinomiale dell’incidenza della spesa in giochi a premi e lotterie per ciascun mese dal 2007 al 2011 e per ciascun quinto della popolazione.
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eccettodoveindicatoaltrimenti
Eliminare il concetto di “capo famiglia”?
Marcello Esposito
Grazie per l’ottima analisi, dr Pacifico. Sono cose note a livello aneddottico, ma è importante avere studi come il suo che dimostrino con la forza dei numeri che la tassa sull’ignoranza, come una volta gli economisti chiamavano il gioco d’azzardo, è regressiva e colpisce le fasce più deboli della popolazione.
Pierre
ho notato che nel grafico per regioni le Marche sono l’unica regione in cui si registra un trend negativo anno dopo anno.
Sarebbe interessante capire perchè, se è casuale o se la regione ha promosso politiche volte a ridurre il fenomeno.
Maurizio Fiasco
Nel 2000, con la Consulta Nazionale Antiusura, avevamo individuato questa asimmetria tra reddito e versamento di denaro all’azzardo. Vi erano molto meno giochi e il volume loro era di circa 12 miliardi (ai prezzi 2011). L’analisi si fondava su una ricerca di mercato condotta sul Lotto. Ed emergeva nettamente – come denunciammo – il carattere “regressivo sul reddito” della fiscalità montata sull’alea di Stato. Su quali dati è invece fondata la ricerca che presenta Pacifico? Da quali fonti? Inoltre
sembra che la spesa per gruppi di popolazione vada scemando tra il picco del 2008 e il livello del 2011.
Non vorrei che i calcoli siano ponderati sui valori delle quote
trattenute (Erario più concessionari) e non sul volume “lordo” del
denaro giocato. Perché i margini per il business
si assottigliano (come le entrate dello Stato) ma il consumo si estende
in numerosità dei “paganti” e per tempo impegnato a giocare, per una
scelta precisa: aumentare la quota che va alle “microvincite” per
mantenere, con premi irrisori, la fidelizzazione delle persone che
azzardano. I concessionari infatti hanno operato una manipolazione
semantica, diffondendo la “notizia” che la “spesa” degli italiani sia
“diminuita”. Penso che i dati provengano dall’interno di quell’ambiente.
Comunque anche così, ce n’è da commentare. Eccome!