Il “decreto sviluppo” si segnala per alcune altre disposizioni relative ad aspetti a cui il ministero dello Sviluppo economico intende dare risalto anche per l’inclusione nel documento di Strategia energetica nazionale (Sen) licenziato di recente.
IDROCARBURI MADE IN ITALY
Il più significativo, e sicuramente controverso, è il ritorno alla valorizzazione degli idrocarburi sul suolo e nei mari del Belpaese. L’Italia possiede un certo volume di petrolio e gas, la cui ricerca ed estrazione potrebbe giovare alla dipendenza energetica, all’economia tramite l’incremento di attività economica e occupazionale, e infine contribuire cospicuamente alla casse statali per il gettito di tasse e royalties da parte delle imprese energetiche. Chi non apprezza questo ritorno al passato nota che il petrolio e gas marcati Italia verranno venduti ai prezzi di mercato, senza sconti, in mercati liberi: ci saranno minori importazioni, ma non necessariamente maggiori risparmi. Inoltre, la diffusione delle fonti rinnovabili, in competizione con il gas, ridurrebbe permanentemente la dipendenza energetica dall’estero, mentre le riserve accertate e presunte di idrocarburi nazionali basterebbero per una manciata di anni anche ai depressi livelli di consumi correnti. Infine grande è la preoccupazione per i rischi da Golfo del Messico in un Mare Mediterraneo il cui valore ambientale anche solo in termini di biodiversità non è nemmeno immaginabile. Deepwater Horizon insegna che si può trivellare ed estrarre petrolio in condizioni tecniche proibitive, ma le procedure per ovviare a disastri ambientali sono – per usare un eufemismo – ancora da perfezionare.
È poi arrivato il capacity payment, ossia la possibilità che alcuni impianti termoelettrici molto flessibili, come i cicli combinati a gas, vengano remunerati non solo per la produzione, ma anche per la potenza rapidamente dispacciabile che mettono a disposizione in presenza del carattere intermittente della produzione eolica e solare. E poiché in caso di emergenza freddo può non bastare il gas russo-algerino-libico che arriva via tubo o quello rigassificato che arriva via nave, o quello della coltivazione dei giacimenti nazionali, ma nemmeno gli stoccaggi e i distacchi dei contratti interrompibili, ecco la mano tesa alle centrali a olio combustibile: per prevenire le “situazioni di emergenza gas” si stabilisce che siano introdotti incentivi e “deroghe alla normativa sulle emissioni in atmosfera o alla qualità dei combustibili” per queste centrali. Un dispositivo che lascia a bocca aperta.
OTTO ANNI DI ORIZZONTE
Quale atto formale più significativo il Governo ha infine pubblicato lo scorso 16 ottobre la Strategia energetica nazionale (Sen), già annunciata nell’ormai lontano 2008 e ribadita poi nel 2011, in piena illusione da rientro sul nucleare. La Sen non appare un documento degno del proprio nome: pur non mancando di aspetti apprezzabili, pare difficile parlare di strategia quando l’orizzonte temporale è il 2020, solo otto anni da oggi, un lasso di tempo che non permette di vedere attuato alcuno degli interventi infrastrutturali prospettati. Se da un lato la Sen lodevolmente prevede di superare gli attuali obiettivi fissati dalle direttive europee per il nostro paese in tema di rinnovabili, efficienza energetica e riduzione delle emissioni, dall’altro risalta ancora una volta la preoccupazione di contenere i costi e l’obiettivo di allineare il costo dell’energia alla media europea, spesso con interventi che si presentano come potenzialmente costosi e quindi in contraddizione con l’annunciato obiettivo della “sostenibilità” economica.
Ritorneremo sulla Sen per approfondirne l’analisi, per il momento basti dire che ai vari obiettivi enunciati, e alla strategie nel suo complesso, manca totalmente una appropriata analisi costi-benefici, senza la quale è difficile valutare appieno la convenienza, la fattibilità e l’ordinamento delle varie linee d’intervento. Difficile, in sostanza, che possa costituire uno strumento programmatorio per il Governo che verrà.
Due interventi meritano comunque di essere menzionati. La Sen preannuncia la volontà di intervenire sulla governance dell’energia riportando nell’alveo delle competenze governative proprio la materia energetica, facendo dietro front sul Titolo V della Costituzione. L’azione di governo si è troppo spesso arenata di fronte alla farraginosa potestà delle prerogative regionali. Il cammino di riforma costituzionale è lungo, ma è positivo il fatto che i primi passi siano stati compiuti.
Il secondo intervento riguarda invece il più volte annunciato e molto atteso decreto sulle rinnovabili termiche. Il Conto Termico adotta un meccanismo incentivante sul modello del Conto Energia e uno rivolto agli interventi di efficientamento energetico della Pa.
Il futuro esecutivo dovrebbe prendere le mosse da una Sen significativamente rivista e allungata nell’orizzonte programmatorio al 2050, in linea con l’Europa. Dovrebbe presentare inoltre una visione organica della materia con una chiara enunciazione degli obiettivi corredati da un’attenta analisi di efficacia-efficienza. All’interno di questo contesto andranno poi inseriti i vari interventi come i tasselli di un puzzle il cui disegno è però già chiaro al legislatore, da adottare secondo una logica per quanto possibile non calata dall’alto ma condivisa e sensibile, ancorché non condizionata, alle istanze degli operatori e dei mercati. Ribaltando in buona sostanza la logica seguita spesso in questo anno.
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