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L’export scivola e frena la ripresa

Arrivano dati negativi sull’export italiano. Se anche le imprese globali arrancano, diventa difficile capire da dove arriverà il segno più. Anche sull’estero pesa l’assenza di misure più incisive di aiuto all’economia, da mesi dimenticata dalla politica.

LA PREOCCUPANTE FRENATA DELL’EXPORT

Nella disattenzione generale della politica e dei media (il Corriere e la Repubblica non ne hanno parlato, il Sole 24 Ore ha messo un commento a pagina 38) l’Istat ha pubblicato dati molto negativi sull’export italiano, cioè sulla voce del Pil da cui ci si aspetta il contributo più consistente per la ripresa. [tweetability]Se anche le imprese globali arrancano, diventa davvero difficile capire da dove arriverà il segno più [/tweetability], tanto atteso già nel quarto trimestre 2013 e dato per scontato per il 2014. Evidentemente anche sull’estero oltre che sul mercato interno pesa l’assenza di misure più incisive di aiuto all’economia, da mesi dimenticata dalla politica.
I dati di novembre 2013 sul commercio estero dell’Italia indicano che, rispetto al mese precedente, le esportazioni in valore sono scese quasi del 2 per cento. Così, più o meno, hanno fatto anche le importazioni (-2,2 per cento rispetto a ottobre 2013). Si sa, i dati mensili sono ballerini: nel corso del 2013 le esportazioni in valore erano già calate percentualmente di più che in novembre in altre due occasioni (febbraio e luglio). Ma poi sono ritornate a crescere. Dopo tutto, dall’inizio dell’anno,  siamo a 358 miliardi di euro di incassi derivanti dall’export di beni italiani verso gli altri paesi a fronte di soli 331 miliardi di spesa in prodotti importati dall’estero. La differenza tra export e import tra gennaio e novembre di quest’anno dà un saldo commerciale con il segno più per 31 miliardi di euro, in netto aumento rispetto ai 10 miliardi di euro del 2012. In Europa solo la Germania ha un avanzo commerciale più grande di quello dell’Italia. Apparentemente, dunque, le preoccupazioni dell’Italia sono ben altre: il Pil in calo da due anni, i consumi in calo o stagnanti, il debito pubblico che esplode, il credito bancario che non c’è. Non i conti con l’estero. Ma proprio qui sta il punto: i conti con l’estero sono la gallina dalle uova d’oro dell’Italia. A soffrire è l’export verso i paesi dell’Unione Europea (specialmente quelli che non crescono o crescono poco come Francia, Spagna) ma anche verso le economia asiatiche fino a ieri in rapidissimo sviluppo e in Cina, dove la battaglia anti-corruzione del nuovo governo cinese comincia a lasciare un segno nei portafogli degli alti funzionari e nei bilanci delle griffe italiane di alta gamma. Se l’estero smettesse di produrre le uova d’oro, tutti gli altri mali di cui ci preoccupiamo tutti i giorni diventerebbero ben più gravi.
Da questo punto di vista, dunque, i dati di novembre (in netto peggioramento rispetto a quelli di ottobre e settembre) contengono in effetti un motivo di allarme. I 354 miliardi di euro di esportazioni tra gennaio e novembre 2013 sono solo lo 0,5 in meno rispetto ai primi 11 mesi del 2012. Ma l’Istat (tabella 9) ci informa che il meno 0,5 in valore è la combinazione di un +1 per cento nei valori medi unitari (i prezzi dei prodotti esportati secondo l’Istat, in crescita dunque in linea con l’inflazione al consumo) e di un meno 1,5 per cento nelle quantità esportate. E sono le quantità esportate che contano nel calcolo del Pil. Quantità esportate che erano – ricordiamolo –aumentate del 2, del 4 e del 2,6 per cento rispettivamente nel 2012, 2011 e 2010. Se anche l’export annuale – oltre a consumi e investimenti – finisse il 2013 con un segno meno, sarebbe difficile ottenere un segno più del Pil nel quarto trimestre e il 2014 partirebbe con cattivi auspici.

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IN RECESSIONE I CONTI CON L’ESTERO MIGLIORANO. SOLO PER UN PO’.

Per ora, paradossalmente, il peggioramento dei conti con l’estero causato dal rallentamento della dinamica delle esportazioni è un po’ oscurato proprio dalla recessione. Quando l’economia va male (e nel 2012 e 2013 è andata proprio male), le famiglie non consumano e le imprese non investono, quindi importano meno del normale. In generale, tuttavia, i numeri negativi dell’import che oggi registriamo riflettono due fenomeni. Prima di tutto, c’è la recessione che frena le quantità importate (scese del 4,3 per cento rispetto ai primi 11 mesi del 2012). Ma a ridurre il valore delle importazioni c’è anche un altro fattore: il diminuito costo in dollari delle materie prime, reso ancora più evidente dall’apprezzamento dell’euro. Insieme, il calo dei prezzi internazionali dei prodotti primari e l’euro forte riducono in modo consistente il costo della bolletta energetica (e l’inflazione). I prezzi delle importazioni sono infatti scesi dell’1,8 nei primi undici mesi dell’anno. Se sommiamo il calo di 4,3 per cento delle quantità e l’1,8 per cento dei prezzi otteniamo il 6,1 che l’Istat riporta nel suo comunicato stampa come dato riassuntivo del gennaio-novembre 2013 rispetto ai 12 mesi precedenti. Con prezzi delle importazioni più elevati e un’economia meno depressa, anche il valore delle importazioni tornerà a salire (c’è solo da augurarselo). In tal modo, tuttavia, una buona parte dell’avanzo commerciale del 2013 sparirà rapidamente a meno che non ripartano le esportazioni.
Nell’insieme, viene fuori che [tweetability]nell’Italia fiaccata da più di sei anni di crisi ormai non è più solo il mercato interno a soffrire [/tweetability]. Per il mercato interno la politica ha una buona scusa per la sua disattenzione: i conti pubblici impediscono di fare di più. Ma le imprese che operano sull’estero non chiedono e non hanno bisogno di soldi pubblici. Chiedono prima di tutto più trasparenza e più semplicità alla burocrazia (lo sportello unico doganale, dov’è finito?) in un quadro di regole stabile e prevedibile e se possibile meno fiscalmente oneroso. Le (noiose) statistiche di commercio estero ci suggeriscono che l’azione su questi fronti non è davvero più rinviabile a un domani che non viene mai.

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14 commenti

  1. rob

    Prof. Lei insegna, in merito alla scarsa attenzione dei media circa i dati sull’export, che l’informazione rende molto più di qualsiasi investimento e inoltre serve a gestire e conservare potere. Però credo che sia altrettanto disinformazione far credere che un Paese possa vivere e sopravvivere di sole esportazioni. Qualsiasi Paese vive prima di tutto del proprio mercato interno. Non sto qui ad elencare i motivi, ma chi come lei sa di economia e chi come me gira per l’Europa (settore alimentare) li conosce benissimo. La domanda che mi pongo è questa: siamo così convinti di essere un Paese esportatore? Io credo di no. Se vogliamo banalizzare, basta fermarci 10 minuti in un semaforo di qualsiasi città europea e vedere su 10 auto quante auto FIAT passano. Su un semaforo di Roma o Milano su 10 auto 7 sono di marche estere. Lavorando nel settore alimentare le nostre esportazioni (esclusi 1/2 prodotti) sono esportazioni di nicchia, cioè quantità limitate per svariati motivi: prezzi elevati per il consumatore medio-basso, motivi di costumi e usi etc. Basta andare in qualsiasi catena come Tesco o Asda a Londra per vedere che la superficie espositiva dei nostri prodotti è minima. Considerando anche altre nostre produzioni, basterebbe fare una piccola equazione per comprendere chi fa veramente numeri sostanziosi e reali: la maggiore catena al mondo di mobili è svedese, le maggiori catene di abbigliamento sono spagnole o svedesi, etc. Tant’è che Farinetti di Eataly sta tentando di fare vera esportazione andando a posizionarsi direttamente all’estero. Aggiungo che i dati dell’esportazioni spesso riportati sono acquisiti dalle fatture emesse, cioè numeri che molto spesso non equivalgono alla realtà, ma questo è un altro discorso.

  2. Mario Rossi

    Viene anche a me il sospetto che per guadagnare tempo il maggiordomo di palazzo Chigi stia facendo come i greci, cioè stia dando numeri falsi. Naturalmente il crinale è scivoloso e molto pericoloso, ma lo è solo per i cittadini che dovranno pagare le conseguenze di un eventuale falso in bilancio dello stato. Anche io non credo che siamo un paese che possa pensare di tirarsi su con l’export perché, come sbandierato sempre in questi anni, l’economia italiana è fatta di piccole e medie imprese che non possono fare grandi numeri e in gran parte non possono esportare nulla. Allora se la tanto decantata flessibilità ed elasticità della piccola impresa italiana non serve più allora cosa ne facciamo di tutte queste partite Iva? Anche se ora le vogliamo demolire tutte, da dove si può ripartire se il paese è stato deindustrializzato? Vi faceva comodo la piccola impresa perché non chiede nulla, fa un po’ di nero ma non rompe le scatole a nessuno e soprattutto non disturba il manovratore. Ora andate a spiegarlo alla commissione europea che l’Italia è in ripresa e perché.

  3. Alessandro

    Tutta la serie di acconti sul 2014 richiesti ad imprese e cittadini non sono stati altro che il modo (neanche troppo nascosto) di truccare i conti al fine di rispettare quel maledetto 3%. Se avessimo una banca centrale vera (ma anche semplicemente rispettosa del suo mandato) inizierebbe ad acquistare debito pubblico degli stati in deflazione o con l’inflazione sotto il 2%. Solo così si salva l’Europa. Gli USA e il Giappone ci insegnano che se inizi a non spendere l’uscita dalla deflazione è molto più difficile della non uscita dalla iperinflazione. Altro che crescita!
    L’indipendenza della Bce? Chiedetelo alla Merkel! Poi parliamo anche dei nostri politici che, dopo aver detto “sbatteremo i pugni sul tavolo”, iniziano a pensare a come fare viste le manine screpolate

    • Maurizio Cocucci

      Guardi che la Fed non ha mai acquistato direttamente treasury del Tesoro USA sul mercato primario. Il Quantitative Easing viene spesso male interpretato in quanto si ritiene che attraverso esso si monetizzi il deficit di bilancio federale, ma non è così. La Fed con il Qe acquista specifici assets finanziari (non solo treasury quindi) dalle banche commerciali, in pratica una operazione di mercato aperto al fine di aumentare la base monetaria. Questo lo ha fatto pure la Bce, sebbene per importi inferiori, con la differenza che la Bce ha proceduto alla sterilizzazione dell’importo immesso sia con l’operazione Smp che Ltro. Quanto all’efficacia delle due diverse misure va detto che non è possibile valutarli discernendo dalla situazione economica. Mentre negli USA il problema era più una crisi di liquidità ma in presenza di una domanda interna comunque potenzialmente solida, in Europa ed in Italia in particolare il problema sta appunto nella scarsa domanda aggregata interna. Offrire liquidità al sistema bancario italiano non serve a nulla se a chiedere finanziamenti sono famiglie e imprese per contabilità ordinaria (fornitori, tasse, etc.) e non per operare investimenti. Occorre ridare a famiglie e imprese reddito disponibile sufficiente a consentire un aumento della loro domanda di beni e servizi attraverso una riduzione delle imposte che a sua volta è legata ad una riduzione della spesa pubblica. Monetizzare i deficit di bilancio sarebbe un errore ed una misura che non risolverebbe la situazione, se non temporaneamente.

  4. Piero

    Ho letto il bollettino della banca d’Italia di gennaio 2014, e’ un bollettino di guerra, nonostante ciò si brinda, ho visto solo dati negativi, ho visto che altri paesi avendo adottato politiche monetarie diverse dalla nostra, hanno avuto aumenti del Pil e diminuzione della disoccupazione, in piena evidenza abbiamo i soldi dati all’Europa fino a novembre 2013 (euro 55miliardi), quando a livello interno abbiamo difficoltà a trovare 4 miliardi per non applicare l’imposta patrimoniale sulla prima casa.
    La Banca d’Italia manipola l’informazione per sostenere il governo.

    • Maurizio Cocucci

      Lei inizia con “Ho letto il bollettino della banca d’Italia di gennaio 2014, è un bollettino di guerra” poi conclude con “La Banca d’Italia manipola l’informazione per sostenere il governo”. Qualcosa non mi torna.

      • Su cento segnali negativi e uno positivo, si esalta solo l’ultimo per dire che il fondo lo abbiamo toccato e si parte con la ripresa e si conferma l’aumento del Pil per il 2014 e 2015: previsioni fatte ogni anno dai vecchi premier, vi hanno anche fatto le leggi di stabilità ma poi a consuntivo sempre -2% Pil.

  5. Ivan Berton

    Dovete spiegarmi come può essere che il Sole-24 ore a super titoloni dice l’esatto contrario di questo articolo. Ma i dati sono gli stessi: o fanno i dati diversi per il sole 24 ore? Dal Sole on-line, titolo in prima pagina: “Dopo 22 mesi i ricavi dell’industria tornano a crescere. Balzo dell’export, si risveglia la domanda interna”(http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2014-01-20/dopo-22-mesi-ricavi-industria-tornano-crescere-balzo-export-si-risveglia-domanda-interna–101311.shtml?uuid=ABaXysq)
    Uno che legge pensa “Wow, dio salvi la regina, finalmente un po’ d’aria”, poi entra nel sito de lavoce e legge: “L’export scivola e frena la ripresa”
    (http://www.lavoce.info/export-crisi-consumi-ripresa-deflazione/). Uno scritto in data 17/1 e uno scritto in data 20/1, quindi in 3 giorni, e dico tre giorni, due pesi e due misure sugli stessi dati. Chi dei due è in libro paga dei politici per manipolare le informazioni? Io che sono abbastanza sicuro che qui su lavoce ci siano persone competenti mi sbilancio e dico il Sole-24 ore.

    • rob

      L’ informazione oggi corre veloce. Internet ha rivoluzionato il mondo. Su internet si possono anche dire molte bugie ma è altrettanto vero che è uno “scopritore” di menzogne. Per dirla con una logica terra terra “se non funziona il negozio sotto casa pensiamo di andare a vendere i salumi agli svedesi?”. E’ difficile, per chi è abituato con le “veline” delle agenzie stampa di remota memoria acquisire la filosofia della rete, perché spesso si rivela un’arma a doppio taglio per chi non la sa usare.

    • francesco daveri

      Bella domanda, in effetti la differenza salta agli occhi. Nessuno è sul libro paga dei politici: né io né il Sole 24 Ore. Solo, non produciamo dati per conto nostro, ma usiamo i dati pubblicati dall’Istat. I dati che ho usato io vengono dai dati di commercio estero dell’Istat. I miei dati sono dati di commercio estero “tendenziali” (rispetto ai 12 mesi precedenti), mentre quelli del Sole sono dati congiunturali cioè misurano la variazione rispetto al mese precedente e sono quindi destagionalizzati (cioè filtrati statisticamente). Il Sole “al netto dell’effetto stagionale” trova un segno più. Quindi in effetti misuriamo e commentiamo due cose diverse.

      • francesco daveri

        Ci ho pensato. In effetti, anche se fosse, i due dati non sono necessariamente in contrasto. Se i fatturati sull’estero vanno su e l’export scende, è segno che – esempio – la Fiat ha venduto tante 500 in America e poche in Spagna. In Spagna esporta (o meglio non esporta) le auto prodotte in Italia. In Usa vende le auto prodotte là. Le auto vendute in Usa si aggiungono al fatturato estero ma non sono esportazioni. Vuol dire che buoni dati sul fatturato estero non portano necessariamente buone notizie per il Pil dell’Italia perché il Pil misura il prodotto INTERNO lordo, cioè la produzione che avviene in Italia, e quindi include l’export ma non la produzione nelle filiali estere. Quindi credo che i miei dubbi su quanto grande sarà il segno più sono confermati anche dopo i buoni dati sul fatturato estero di oggi. Good news invece dal fatturato nazionale ma questo non ha a che vedere con l’export. (Grazie, Ivan.)

        • Ivan Berton

          Ok Francesco grazie della risposta.
          Mi resta comunque un dubbio, ISTAT è un’entità un pò strana, i loro dati sono sempre contestati ( a ragione o torto ), però sta a chi li traduce in “prosa” utilizzare i dati giusti.
          Io capisco che un giornale di grande caratura come può essere il SOLE 24 ha anche dei doveri morali, mi spiego meglio:
          E’ ovvio che se ogni santo giorno nei giornali leggiamo notizie demoralizzanti, è ancora più ovvio che vediamo il bicchiere mezzo vuoto, quindi delle buone notizie fanno bene allo spirito di sicuro.
          Però vista cosi come lo hanno scritto loro sembrava veramente il ballo della felicità di Snoopy , per poi essere ritirati giù per terra da altri punti di vista un pò più oculati.
          Il sole 24 prima di starnazzare ottimismo ( dato che lo leggono in molti anzi forse troppi) dovrebbe fare degli studi più seri, oppure utilizzare i dati giusti e non quelli ( e scusa se sono contro quello che dici te che nessuno è a libro paga dei politici) che più fanno comodo ….
          O vedono talmente avanti nel futuro, o sono loro stessi manipolatori del futuro, è possibile?

          • rob

            “Però sta a chi li traduce in prosa utilizzare i dati giusti”. Berton hai centrato il problema! I dati, le medie e la scienza statistica sono cosa seria e difficile da interpretare. Difficile perché ci vuole cultura e molta onestà intellettuale. Però nello stesso tempo è una biada eccezionale per il popolino perché (come lei accenna) ha effetto immediato se comunicata in una certa maniera. “La Fiat esporta poco in Spagna” o “non esporta”: la differenza è notevole.

          • francesco daveri

            Non si può dire che il Sole “starnazzi ottimismo”. Più che altro, spesso alla fine di una recessione, il bicchiere per un po’ di tempo è mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda di come lo guardi.
            I dati Istat diffusi ieri possono legittimamente indurre all’ottimismo perché mostrano un segno più proprio sul mercato interno (“fatturato nazionale”) dove finora si era visto poco. Il titolo del Sole “boom dell’export” non era invece giustificato dal dato positivo sui fatturati esteri perché proprio i dati Istat mostrano che l’export è andato male o maluccio in novembre. La mia spiegazione (che ti indicavo ieri) è che i fatturati esteri siano andati bene perché sono andate bene le vendite all’estero di beni prodotti all’stero da aziende italiane (esempio: Fiat in Usa).

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