Si può guarire, in alcuni casi, da una crisi di debito accumulando altro debito, suggerisce il Nobel Paul Krugman. Che invoca una politica fiscale espansiva come unico strumento possibile per creare domanda e generare occupazione quando il settore privato ha un indebitamento eccessivo. Il costo si scaricherà sui contribuenti e se la spesa pubblica verrà utilizzata in modo produttivo, le generazioni future avranno più debito, ma anche più asset. In Italia, però, la ricetta non può funzionare. Ecco perché.

Uno dei dibattitti più importati e anche più radicali in questo periodo è sul ruolo che deve avere la politica fiscale in questa crisi. In Europa UE e Bce, ma soprattutto la Germania, chiedono ai paesi in difficoltà di fare i compiti a casa, ridurre la spesa e mettere in ordine i loro conti. Il Governo Monti è impegnato in una spending review per capire quali sono i tagli possibili nel breve termine. La Grecia sta cercando di adottare, con risultati dubbi, politiche di austerità da un paio d’anni e anche il Governo Rajoy ha annunciato un piano di forti tagli alla spesa pubblica spagnola. Ma le politiche di austerità, quasi inevitabilmente, sono seguite da contrazioni dell’attività economica che hanno a volte l’effetto di aprire altri buchi nel bilancio degli stati, in un esasperante circolo vizioso.

COSA DICONO KRUGMAN E WOLF

Non sorprendentemente, è sorta una reazione alle politiche fiscali restrittive, il cui leader intellettuale a livello mondiale è senza dubbio Paul Krugman. Dalle colonne del New York Times il premio Nobel per l’economia invoca una politica fiscale espansiva come unico strumento possibile per creare domanda e generare occupazione. Con un debito pubblico ormai sopra l’80 per cento del Pil anche negli USA, dovuto anche alla ricapitalizzazione delle banche che sono state all’origine della crisi del 2008, l’obiezione ovvia a Krugman è: ma si può guarire da una crisi di debito accumulando altro debito? La stessa domanda se l’è fatta recentementeMartin Wolf, uno dei più famosi editorialisti del Financial Times e la sua risposta è positiva. Val la pena di capire queste argomentazioni.
Il punto di partenza è che nei Paesi in cui è scoppiata la bolla immobiliare, come gli Stati Uniti ma anche la Spagna, il settore privato (famiglie e istituti finanziari) si trova a fronteggiare un grado di indebitamento molto elevato. Questo porta le famiglie a cercare di ripagare il loro debito invece che a spendere e gli intermediari finanziari a ridurre la loro offerta di credito. L’effetto netto è una riduzione della domanda e una recessione (il termine tecnico usato da Richard Koo, chief economist di Nomura, è balance-sheet recession).
Visto da un altro punto di vista, il settore privato accumula un surplus finanziario (cioè i risparmi eccedono gli investimenti). Ma se c’è un surplus finanziario nel settore privato ci deve essere un deficit finanziario o nel settore pubblico o nei rapporti con il resto del mondo. Come sappiamo, gli USA beneficiano ormai da tanti anni di un forte afflusso di capitali dal resto del mondo. La conclusione è che il settore pubblico deve per forza avere un deficit molto elevato, cioè una spesa pubblica che eccede le entrate fiscali. Quindi, argomenta Martin Wolf, un aumento del debito (pubblico) è una conseguenza quasi inevitabile nei processi di deleveraging (cioè della riduzione del debito da parte del settore privato). La figura mostra gli andamenti dei surplus dei tre settori per gli Usa negli ultimi anni.

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In altre parole, dato che il settore privato non genera domanda perché sta cercando di ripagare il debito, e dato che riuscire ad aumentare le esportazioni non è facile nel breve periodo, l’unico modo per non aggravare la recessione nel breve periodo è quello di lasciare che lo stato aumenti il deficit pubblico.
Un’obiezione naturale è: ma la politica monetaria non può essere di aiuto? Una politica monetaria che tenga i tassi di interesse bassi aumenta il valore degli asset detenuti dal settore privato (come le case) e quindi riduce il problema del deleveraging, cioè dell’eccesso di debito del settore privato. Ma, al livello dei tassi americani, è illusorio aspettarsi miracoli da questa politica. Quindi la politica fiscale espansiva resta, secondo questa prospettiva, la via più convincente per evitare una forte depressione.
Ovviamente il maggior debito verrà scaricato sui contribuenti che pagheranno le tasse in futuro, ma, per quello che riguarda gli USA, i tassi sono così bassi che quelli che Krugman chiama i bond vigilantes, cioè i mercati, sembrano non essere ancora preoccupati della sostenibilità del debito americano. Inoltre, se il deficit pubblico verrà utilizzato per finanziare investimenti pubblici in modo produttivo, le generazioni future avranno più debito, ma anche una maggiore ricchezza complessiva.

POLITICHE ESPANSIVE IN ITALIA?

Naturalmente si possono avere preferenze diverse sulla desiderabilità di questa politica, in particolare sulle conseguenze per le generazioni future, ma il ragionamento di Krugman e Wolf ha una sua coerenza. Quando però si cerca di adattarlo alla realtà italiana, invocando maggiore spesa pubblica in Italia, si fa un grande salto logico. L’analisi delle politiche va adattata ala situazione di ogni paese e i paesi hanno problemi molto diversi. Negli USA, come in Spagna, il settore finanziario si è trovato, allo scoppio della bolla immobiliare, ingolfato dititoli tossici dal valore ridotto e quindi con un eccesso di debito. Possiamo anche accettare l’idea che le banche americane non fossero senza colpe nel processo di creazione e distribuzione di questi strumenti finanziari, ma la sostanza non cambia.
In Italia, per fortuna, questa bolla non c’è stata o, almeno, non ha avuto le dimensioni che ha assunto negli Stati Uniti, in Irlanda e in Spagna. Se le banche italiane hanno titoli tossici in bilancio, questi sono i titoli di stato dell’Italia, in cui il rapporto debito/Pil ha superato il 120 per cento.
I problemi italiani sono proprio quelli di un debito pubblico eccessivo che ci rende vulnerabili a quella che stoltamente viene chiamata la “dittatura dei mercati” nonchè di una spesa pubblica eccessiva e improduttiva.
Invocare maggiore spesa pubblica dopo avere letto degli sprechi della Regione Sicilia, delle forestali calabresi, degli squilibri nella spesa sanitaria tra regioni italiane per prestazioni equivalenti, in una situazione in cui lo Stato si indebita al 6%, non è essere keynesiani o krugmaniani: è divorziare dalla realtà.

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