Sempre più persone dibattono di politica attraverso i social network. È dunque possibile utilizzarli come strumento di previsione politica? Forse è troppo presto. Perché non si conoscono ancora a fondo le dinamiche di creazione e propagazione dei contenuti. Twitter e i risultati delle primarie Pd.

DA FACEBOOK A TWITTER

I social media sono uno strumento irrinunciabile per il dibattito politico moderno e hanno sovvertito la comunicazione monodirezionale, tipica di radio, tv e stampa. Fa ormai parte del quotidiano commentare le scelte dei “palazzi”, o interagire attraverso Internet con politici, giornalisti e conduttori. Il prototipo di success story della politica fatta sul web è la prima elezione di Barack Obama grazie al raggiungimento di una platea sostanzialmente impermeabile ai mass media tradizionali. Spostandoci in Italia, concetti come “democrazia digitale”, e “votazioni on-line” sono ormai parte della quotidianità delle persone, sintomo che la politica si fa – e si deve fare – anche attraverso Internet. Ma i social media possono misurare il sentimento politico delle persone?
L’analisi dei blog, forum e newsgroup per valutare le intenzioni di voto, o il gradimento di alcuni provvedimenti, è ormai prassi consolidata. E il massiccio utilizzo delle piattaforme social come strumento di comunicazione e condivisione, le rende particolarmente attraenti per chi si occupa di politica. Ad esempio, nel 2008 Christine Williams e Girish Gulati hanno esaminato le pagine personali di Facebook, rilevando che il numero di apprezzamenti manifestati può essere un valido indicatore di voto. (1)
Sebbene Facebook sia ancora il social network di riferimento, molti esperti individuano in Twitter, una piattaforma di microblogging basata su brevi messaggi, un valido teatro per le misurazioni politiche. A differenza di servizi simili, infatti, quasi tutte le informazioni di Twitter sono pubbliche; i tweet hanno una dimensione massima prefissata (140 caratteri) e contengono prevalentemente testo (o link a risorse); i contenuti sono catalogati mediante un semplice marcatore denominato hashtag (dal simbolo #).

L’ANALISI SUI TWEET

Come per i sondaggi classici (tipo intention poll), gli elementi principali per compiere una previsione sono un campione di dati e un modello.
I tweet degli utenti sono la prima componente, e la loro raccolta è analoga all’indicizzazione del web da parte dei motori di ricerca. In sintesi, alcuni software (detti crawler) percorrono la rete sociale collezionando le informazioni d’interesse. Nel caso specifico, per ogni utente una squadra di “lettori meccanici” acquisisce un numero predefinito di tweet, li immagazzina e passa al profilo successivo. Il processo è reiterato fino al soddisfacimento di un criterio di arresto, generalmente il raggiungimento di un volume di dati che garantisce la rilevanza statistica desiderata. Per dare un’idea quantitativa, [tweetable]l’università di Monaco, studiando le elezioni tedesche del 2009, ha preso in esame 100mila tweet [/tweetable].
Una volta ottenute le informazioni, si passa alla fase di analisi, agevolata rispetto a piattaforme simili dalla natura testuale e strutturalmente costante dei tweet e dagli hashtag. I tipici indicatori estratti sono le occorrenze del nome di un personaggio politico o di un partito; analisi del testo in cui il soggetto politico è citato per valutare emozioni negative o positive; metriche di popolarità (distribuzione dei tweet su/di un politico in confronto al numero di utenti), oppure il trend (popolarità in relazione a un intervallo temporale). In questi due casi è fondamentale considerare anche il retweet, ossia la “ri-pubblicazione” del tweet di un altro utente ai propri lettori (o follower). Il retweet non è esclusivamente indice di approvazione. Tuttavia, rappresenta un segnale d’interesse per quel messaggio che potrebbe meritare un’analisi più approfondita, o un peso diverso.
In seguito, come per la sondaggistica tradizionale, questi “criteri freddi” potranno confluire in opportuni modelli statistici essenziali per ottenere una stima rigorosa di un parametro, ad esempio, la previsione dell’esito di una tornata elettorale.

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LIMITI E RISCHI

I limiti maggiori dell’analisi politica basata su dati social derivano dalla sua natura parzialmente ignota.
In particolare, non si comprendono ancora completamente le dinamiche di creazione e propagazione dei contenuti all’interno di un social network. Inoltre, è ancora ampiamente dibattuto se l’utilizzo di un avatar renda le persone meno sincere, oppure verbalmente più aggressive, falsando ad esempio criteri basati sull’analisi dei testi o dei volumi. Proprio in quest’ottica, Lu Chen, Wenbo Wang e Amit Sheth della Wright University di Daytona, studiando le primarie per le presidenziali Usa del 2012 attraverso i social, suggeriscono che non tutti gli utenti vanno considerati nella stessa maniera. (2) Altro nodo da dirimere è l’impatto della “gerarchia sociale” che può instaurarsi con il tempo in una determinata rete. Per ciò che riguarda Twitter, i tweet di alcuni utenti (a volte denominati “influencer”) possono essere fonte di approvazione, imitazione e retweet per fenomeni di emulazione o di stima incondizionata (soprattutto nel caso di personaggi famosi). In alcuni casi, un influencer potrebbe essere il politico stesso dotato di spiccate skill di progettazione d’identità in rete.
Questo tipo di analisi ha almeno due aspetti che devono essere valutati con particolare attenzione. Il primo riguarda la privacy/profilazione. Più i modelli diventeranno affidabili, più sarà riconoscibile l’allineamento politico del singolo usando dati “poveri” (con chi interagisce, ad esempio). Il secondo è nell’ambito dell’influenzabilità: studiare le dinamiche dei social media può portare rapidamente a tentativi di manipolazione di massa.
Per mostrare un esempio italiano di predizione, citiamo l’analisi del Corriere della Sera sui tweet prodotti durante la sfida per le primarie del Partito democratico. I risultati sono promettenti, ma confermano lo stadio ancora embrionale della metodologia. Matteo Renzi ha vinto con un più ampio 67,55 per cento rispetto al 53,8 per cento delle previsioni. Viceversa, il dato di Gianni Cuperlo è sovrastimato: nella realtà ha ottenuto un 18,21 per cento invece del 29 per cento indicato. Il 14,24 per cento raggiunto da Pippo Civati è molto vicino al 17,2 per cento calcolato.
Non conoscendo di preciso la metodologia impiegata, possiamo solo limitarci ad alcune considerazioni: la precisione e l’affidabilità dei social per misurare la politica sono ancora sconosciute e forse distorte da sovrastrutture (per esempio, una discussione lanciata da un talk show); eventi importanti possono richiamare nel dibattito online persone che poi non voteranno, ma che comunque alterano il volume dei tweet; gli utenti dei social network non sono rappresentativi di tutta la popolazione. Anzi, ne costituiscono un campione fortemente polarizzato (in inglese, biased), soprattutto dal punto di vista dell’età (sono tendenzialmente giovani) e della partecipazione: chi dedica tempo a parlare di politica su Internet è di per sé appassionato. Quest’ultimo punto è considerato il vero “baco” dell’approccio, tanto che molti studiosi ritengono che i successi dei “politometri social” siano solamente una coincidenza. (3)
Per riassumere, in modo pragmatico, Twitter, inteso come sineddoche dei social media, appare uno strumento adeguato per suddividere grossolanamente l’elettorato. Tuttavia, il suo utilizzo per la valutazione del sentimento politico è ancora vincolato alla comprensione dettagliata del perché funzioni e con quale precisione.

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(1) C. B. Williams e G. J. Gulati “What is a Social Network Worth? Facebook and Vote Share in the 2008 Presidential Primaries”.
(2) L. Chen, W. Wang e A. Sheth “Are twitter users equal in predicting elections? A study of user groups in predicting US 2012 Republican Presidential Primaries”.
(3) D. Gayo-Avello, “I Wanted to Predict Elections with Twitter and all I got was this Lousy Paper: A Balanced Survey on Election Prediction using Twitter Data”.

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