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Nel pubblico impiego la carriera serve

Le riforme del pubblico impiego degli anni ’90 hanno smantellato le carriere fissate per legge e sostituite con premi di produzione annuali. Che però non riescono a produrre incentivi significativi. La formalizzazione delle carriere e l’indipendenza dalla politica.

DOVE NASCONO LE DIFFERENZE

Nel pubblico impiego le retribuzioni dei vertici sono “troppo” alte e quelle della massa dei dipendenti “troppo” basse? La serie di articoli di Roberto Perotti e Filippo Teoldi fornisce solidi elementi, basati su confronti internazionali, che spingono verso una risposta affermativa alla prima parte della domanda e qualche indicazione sulla seconda parte. Naturalmente, i confronti internazionali sono sempre in parte opinabili: gli insegnanti italiani, pagati meno, lavorano quanto quelli inglesi?
Un fatto, in ogni caso, emerge con chiarezza dai dati di cui disponiamo. I differenziali retributivi si sono ampliati in misura considerevole negli anni Duemila. Consideriamo, ad esempio, il personale dei ministeri: nel 2012 poco meno di 160mila persone, di cui circa 300 dirigenti di prima fascia e 2.300 dirigenti di seconda fascia. Secondo il Conto annuale della Ragioneria, nel periodo 2001-2012 la retribuzione media dei dirigenti di prima fascia è cresciuta di quasi il 40 per cento, quella dei dirigenti di seconda fascia del 21 per cento e quella del personale non dirigente del 27 per cento. Nel 2012, la retribuzione media dei dirigenti di prima fascia (183mila euro annui) è pari a 6,4 volte quella del personale non dirigente e a 2,1 volte quella dei dirigenti di seconda fascia. L’andamento delle retribuzioni medie è illustrato nella figura, che evidenzia l’allargamento della forbice verificatosi negli anni Duemila (con qualche sintomo di restringimento nell’ultimo anno considerato).
I dati del Conto annuale partono dal 2001, ma sappiamo che il processo è iniziato negli anni Novanta con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti e con la cosiddetta “privatizzazione” del pubblico impiego. Un processo di riforma pensato per rendere più efficiente l’amministrazione, responsabilizzando i dirigenti e agganciando retribuzioni a risultati. Buone intenzioni rimaste sulla carta: la natura dell’amministrazione e il suo modo di operare non sono cambiati in misura apprezzabile. I poteri effettivi dei dirigenti non sono cambiati. La capacità effettiva di valutazione del sistema neanche. Sono cambiate le retribuzioni. L’evidenza aneddotica della seconda metà degli anni Novanta narra di retribuzioni di alti dirigenti raddoppiate dall’oggi al domani. Anche avendo una grande fiducia nelle teoria e pratica del new public management (e chi scrive deve confessare di non averne affatto), sarebbe stato consigliabile posporre l’adeguamento delle retribuzioni al nuovo ruolo di manager a una verifica del funzionamento e dei risultati delle riforme.

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LA QUESTIONE DEGLI INCENTIVI

La questione più importante è il sistema degli incentivi del pubblico impiego. Le riforme degli anni Novanta hanno smantellato un sistema di carriere fissato per legge (che certamente non funzionava) e lo hanno sostituito con un sistema di premi di produzione annuali (la retribuzione di risultato). La difficoltà (se non l’impossibilità) di misurare la produttività in molte attività della pubblica amministrazione ha fatto sì che l’efficacia di quel sistema sia molto carente (con qualche eccezione che non modifica il quadro d’insieme). Per i ministeri i premi sono erogati sulla base del raggiungimento degli obiettivi indicati nella direttiva del ministro, obiettivi che in pratica sono individuati dagli stessi uffici che dovrebbero poi realizzarli (“se vuoi potenziare una data linea di attività, fattelo dare come obiettivo dal ministro”). Fuor d’ironia, tutto l’esercizio non è privo di utilità: costringe chi ha la responsabilità di un ufficio a sistematizzare e razionalizzare la propria attività. Non è sufficiente, tuttavia, a produrre incentivi significativi per un rapporto di lavoro di lungo periodo come quello che caratterizza le burocrazie. Questi non possono prescindere da un sistema di carriere, predeterminate ma certamente non automatiche come quelle del passato. La vicenda delle progressioni orizzontali e verticali generalizzate di metà degli anni Duemila, il “tutti promossi” che documentammo qualche anno fa, lo testimonia. Un sistema di carriere serio dà un ruolo alla valutazione del personale: determinare la velocità delle carriere. Una valutazione che produca effetti nel tempo e abbandoni la pretesa di misurare e premiare i singoli anno per anno. Se i posti disponibili nel livello superiore sono un numero predeterminato, la valutazione dovrà per forza di cose essere selettiva. I premi di produzione annuali in un contesto in cui non si riesce a misurare la produttività finiranno invece per essere distribuiti a pioggia.
La formalizzazione delle carriere in una burocrazia serve anche a un’altra finalità: garantirne l’indipendenza dal potere politico. Abbiamo visto, all’inizio dell’articolo, come siano importanti i differenziali retributivi tra dirigenti di prima fascia e il resto del personale. Ma come si diventa dirigenti? Per quelli di seconda fascia, di regola, occorre aver vinto un concorso pubblico. Per essere promossi in prima fascia non c’è nessun concorso: occorre essere nominati dal ministro. Considerando questo dato insieme allo spoils system viene da dire: altro che separazione tra politica e amministrazione!

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Figura 1 – La dinamica delle retribuzioni del personale dei ministeri (2001-2012)

Graf. pisauro riv.
Fonte: Ragioneria generale dello Stato, Conto annuale.

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25 commenti

  1. Alessandro Balestrino

    Caro Giuseppe, che dire.. analisi impeccabile. Riusciremo mai a mettere in atto questo tipo di suggerimenti e proposte?

  2. rob

    Professore vogliamo però dire a cosa servono i dipendenti pubblici e che funzioni avranno? Perché pensare di regolamentare in termini di stipendi e di carriera una burocrazia inutile come quella Italiana è veramente folle. Si immagini l’Atac, la regione Sicilia, la Lombardia, etc. A cosa serve un “funzionario pubblico”? Ad agevolare e produrre o ad ostacolare per mantenere procedure fittizie? Credo che sia d’accordo anche Lei che se si adottasse un parametro cosiddetto di “utilità del funzionario” ben pochi rimarrebbero ai loro posti. Perché se non diciamo questo ci prendiamo in giro.

    • stef

      Mi scusi rob mi chiedo se lei conosce la differenza tra dirigenti di prima e seconda fascia, tra dirigenti e direttori e tra direttori e funzionari, ecc? Mi sembra che il suo discorso è un po’ liquitadorio, a meno che lei non sogni una società in cui le funzioni e i servizi siano gestiti completamente dal privato. Altra cosa è far funzionare e riformare, e su questo il paese mi sembra molto carente.

      • rob

        “..Se lei conosce la differenza tra dirigenti di prima e seconda fascia, tra dirigenti e direttori e tra direttori e funzionari, ecc.” Non la conosco questa differenza perché al solo pensiero mi viene l’orticaria! Chiedo scusa se la mia risposta può sembrare quella di un populista, ma non lo è perché non lo sono. Come non voglio dare tutti i compiti al privato (in Italia di aziende private nel senso corretto del termine ce ne sono ben poche). Ma che in questo Paese dagli anni ’70 in poi ci sia stata una esondazione enorme della politica (la misera politica) questo è sotto gli occhi di tutti. Per fare funzionare questo Paese bisogna che si rimettono le cose secondo logica e poi possiamo parlare di livelli e di fasce. Ma attenzione che chi si illude che tutto passi in cavalleria questa volta si sbaglia perché risorse non ci sono e qualcuno non non ci permetterà le follie passate.

  3. Paolo

    Il pubblico impiego non è diverso dal paese, ma soltanto il suo specchio. Ci sono gli incapaci che andrebbero licenziati e i meritevoli che lavorano per due/tre persone che andrebbero premiati. Il problema è che come in altri ambiti i politici e gli amministratori degli enti non hanno il coraggio di scegliere e preferiscono tagliare linearmente la spesa piuttosto che assumersi la responsabilità di riconoscere il merito e cacciare i raccomandati e i fannulloni (strumentali al sistema). Spesso alcuni dirigenti pubblici onesti sono l’unico baluardo alle clientele gestionali dei politici di turno.

  4. pablo, il burocrate

    Penso che vada fatta distinzione sul termine omnicomprensivo di “burocrazia”. Un conto è la “alta burocrazia”, prossima e connivente con la politica, che “tecnicamente” partecipa alla legiferazione producendo testi di legge e regolamenti applicativi confusi e bizantini che indirizzarono la concreta applicazione delle norme. Un conto è la “burocrazia operativa”, che quelle legge e quei regolamenti è chiamata ad applicare e fare rispettare. La “alta burocrazia” risulta essere tra le più pagate e numerose d’Europa e forse del Mondo civile. La “burocrazia operativa” tra le peggio pagate e numericamente tra le meno numerose d’Europa e del Mondo civile. Fatta questa chiarificazione si può iniziare a parlare di riforma della P.A. e di colpe della burocrazia. Altrimenti si fa il solito polverone messo in atto per trovare un capro espiatorio ai mali del Paese, senza andare a colpire le lobby e le caste, anche finanziarie e imprenditoriali, che distruggono e svenano questa nostra bella nazione. Se non ci fosse il controllo pubblico ci sarebbe l’anarchia e la prevaricazione totale. Pensare ad una società senza una regolamentazione è pura demagogia. L’evasione diffusa nelle categorie imprenditoriali ne è una chiara dimostrazione. Si tratta di intervenire modernizzando e snellendo la “burocrazia”, togliendo le sacche di potere che i dirigenti hanno. Se non sbaglio l’unico contratto pubblico rinnovato è quello della dirigenza. E i dirigenti se li scelgono nella gran parte i politici. Chi sa com’è?

    • rob

      Ogni “alta burocrazia” ha un piccolo esercito nella “burocrazia operativa” la somma crea il “mostro burocratico” ! Che a sua volta partorisce “l’anarchia burocratica” cioè una norma che smentisce un’altra norma, 15 uffici che con divise diverse fanno ( o non fanno) le stesse inutili cose. La barzelletta dell’evasione si regolamenta con 4 norme dico 4. Le dice qualcosa in questo Paese questa equazione: mancanza totale di italiani in comparti come agricoltura e edilizia, bassa scolarità e basso numero di laureati. Dove sono secondo lei queste persone? La burocrazia è il frutto della follia politica di creare posti fittizzi con: Stato, Regioni, Province, Comuni, città metropolitane, circoscrizioni, comunità montane, enti di bacino, enti vari, LSU, regioni a statuto speciale etc. Vede come l’equazione ritorna precisa.

    • stef

      Finalmente qualcuno che precisa l’utilizzo di un termine che si può tirare da tutte le parti ma che viene identificato sempre come il male assoluto e la cancrena del paese. Per cui si mette in un enorme calderone funzioni, attività, servizi, competenze, insieme ad inefficienza, inutilità, incompetenze. Aspettiamo da anni un cambiamento serio che restituisca il valore che una Pubblica Amministrazione deve avere e svolgere affinché le regole, le leggi che un paese si è dato non solo siano rispettate e fatte rispettare, ma non diventino un cappio per la vita dei cittadini. I funzionari e gli impiegati consapevoli sono stufi di essere identificati come parassiti, anche se in parte il problema esiste, stufi perché coscienti che svolgere un servizio ai cittadini può o potrebbe essere una delle attività lavorative più interessanti se non fosse per la miriade di problemi che affannano il paese e che lasciano in quello stallo di competenze che è il male maggiore per non far funzionare le cose.

  5. Antony

    Finalmente si tocca il cuore del problema: l’indispensabile indipendenza dalla politica. A contrario di quanto asserisce Renzi è indispensabile ripensare la dirigenza al servizio del paese e non del politico di turno alimentando il cancro delle raccomandazioni, fidelizzazioni e lottizzazioni che ammorba la PA con il favore, se non l’impulso, di certe lobby imprenditoriali.

  6. antony

    Il sistema di valutazione è finto e non funziona perché non vi è indipendenza nella valutazione. Il valutatore valuta se stesso o al più un valutato che lui stesso ha piazzato in un certo posto. La valutazione guarda caso è il grimaldello per eliminare i non allineati e far spazio agli amici obbedienti che perseguono fini di bottega a danno della collettività.

  7. Arturo lo scettico

    A me sembra che tutte le analisi che si fanno sul pubblico impiego vadano bene e poi però quando si passa alla sintesi si comincia a parlare di impossibilità, come nel suo articolo, di misurare la performance della P.A. a cui agganciare il salario per il raggiungimento degli obiettivi. Sotto questo aspetto purtroppo la politica convive con la burocrazia (alta e medio alta): la politica, scarsamente abituata alla programmazione strategica, non dà obiettivi (a cui, beninteso a tutti gli obiettivi, possono essere collegati indicatori misurabili); la burocrazia, nonostante il d.vo 29/93, non ha interesse ad essere responsabilizzata e si crea obiettivi fittizi e si becca l’indennità di risultato (che i politici facilmente concedono al massimo per non avere ostacoli). Risultato, il sistema P.A. è diventato più inefficiente di prima e quello che è più grave, più inefficace (come si dice l’inefficienza si trascina l’inefficacia). Che fare? personalmente legherei gli incentivi non solo al raggiungimento degli obiettivi specifici ma anche e soprattutto ad obiettivi legati agli indicatori di efficienza organizzativi sintetici (produttività del lavoro effettiva e contrattuale, costo unitario medio della produzione organizzativa, assenteismo) perché il dirigente è responsabile anche della produzione amministrativa routinaria che costituisce non meno del 90% della produzione organizzativa e questa può essere facilmente misurata con gli indicatori prima descritti. In Italia purtroppo ci si dimentica di tutto anche del progetto FEPA, progetto degli anni ’80 della Funzione Pubblica da cui è scaturita tutta la normativa, che dovrebbe essere ripreso e riproposto per rendere la P.A. più efficiente e più efficace ma questo non si fa buttando sempre dalla finestra sia il bambino che l’acqua sporca.

  8. raffaele principe

    Incompetenza, sciatteria, furberia: i tre pilastri della burocrazia italiana.
    Negli ultimi 20 anni le promozioni soprattutto verticali, sono avvenute senza un minimo di verifica delle competenze possedute. Si è proceduto a prescindere dai risultati ottenuti. Anzi spesso aver raggiunto dei risultati è stato penalizzante e non premiante. L’importante era stare nelle grazie dei decisori. E continua ad esserlo. Le promozioni gestite tutte al’interno dell’ente e persino della singola ripartizione. Mobilità zero. Mi siedo su quella sedia e ci rimango fino alla pensione, salvo frizioni con il vertice. Si va avanti per inerzia, l’importante è coprirsi le chiappe, trovando la pezza giustificativa alla propria azione; del risultato ce ne può fregar di meno. Se il risultato è paradossale e assurdo, tanto meglio. Tempi di risposta: con calma; tutto il tempo che mi occorre, anzi lo batto io, funzionario o dirigente. Le procedure non hanno un senso per raggiungere un obiettivo che il decisore si è prefisso, ma valgono per se stesse.
    Bisognerebbe rispondere con Deng Hsiao Ping: non ha importanza se il gatto è grigio o rosso, l’importante è acchiappare il topo. Ora senza arrivare a questo “estremismo”, un funzionario dovrebbe spiegare e convincere un organismo serio e in pubblico perché non ha raggiunto l’obiettivo. Vi ricordate il funzionario che ha impiegato due anni per dire che un capannone industriale andava bene, invece di 30 giorni.

  9. Emanuele

    Complimenti per l’articolo, molto equilibrato visto il contesto sensibile che spesso si presta a valutazioni meramente emozionali.

  10. paola

    Indovinate un pò come vengono nominate le posizioni apicali all’interno di un’amministrazione comunale. Sulla base di criteri meritocratici, curriculum vitae o chissà quale altro marchingenio legato alle capacità ed esperienze degli interessati? Sbagliato. Vengono nominati in base alla loro disponibilità….ma disponibilità a che? A dire sempre di sì al politico di turno… indovinate anche da chi vengono nominate quelli che, i Sindacati di circa 10 anni fà, hanno inventato come “titolari di posizioni organizzative”? Dai Sindaci dei Comuni. Fate voi le debite conclusioni. In un piccolo Comune come il mio (circa 13.000 abitanti), i titolari di posizioni organizzative percepiscono circa €.2200,00 mensili (che dovrebbero essere omnicomprensivi degli straordinari), a fronte di un orario lavorativo di 36 ore settimanali (non ho detto 6 ore giornaliere, specifico, così capita che se uno di questi dipendenti non si fa le proprie 6 ore giornaliere, può tranquillamente recuperare lo straordinario fatto entro comunque la settimana o oltre: tombola!). Hanno inoltre diritto ad un “premio di produttività” o meglio indennità di risultato, pari a circa €.4000,00 lordi annuali. Certo il confronto con certi stipendi statali risulta quasi ridicolo, ma vi posso garantire che sono ben guadagnati, soprattutto quando alle 13,30 di ogni giorno hai finito di lavorare (…lavorare…), o meglio di far lavorare gli altri. Guarda caso, gli obiettivi ai quali sono legati questi incentivi, sono sempre raggiunti da questi dipendenti privilegiati, che se li costruiscono da soli. peccato che per i loro collaboratori che sono i veri realizzatori di quegli obiettivi, rimangano solo le briciole (stiamo parlando di un paio di centinaia di euro annuali e lordi). Provate ad immaginare con quale entusiasmo e motivazione si lavora dunque all’interno delle Ammnistrazioni comunali. Tutto, ovviamente, con il bene placido dei Sindacati!

  11. serlio

    Il sig. Befera prende € 1.200.000,00!
    con un sistema di inquisizione fiscale che non ha paragoni al mondo! il suo omologo tedesco prende 1/4.
    ma quanti sono i dirigenti della PA? probabilmente troppi, sicuramente molti. e tutti con stipendi esagerati e privi di responsabilità.
    la Pa è una delle principali cause della arretratezza di questo paese

  12. Marzia F.

    L’articolo del Prof. Pisauro ha il merito di aver evidenziato con la forza dei numeri alcuni nodi da sciogliere nelle PP.AA (anche se l’analisi si riferisce al comparto ministeriale). Il primo, più impellente, per restituire alle PP.AA. quel ruolo di servizio che le è proprio è l’autonomia dalla politica. Un’autonomia che deve prendere le mosse proprio dalle posizioni apicali (che, in teoria e in pratica, hanno il difficile compito di dirigere e coordinare attività e collaboratori). Al momento attuale, le posizioni al vertice sono indicate su nomina politica; nel migliore dei casi, sulla base di un’attenta valutazione (comunque discrezionale) di curricula, nel peggiore lascio campo libero all’immaginazione. Che fare? E soprattutto quali strumenti utilizzare per arginare l’elemento discrezionale? Forse l’esperienza francese in questo campo potrebbe dare spunti di riflessione interessanti.
    Il secondo, anche questo urgente, per stimolare una sana competizione (che, spesso, fa rima con produttività) è la questione della crescita professionale e dell’avanzamento di carriera. Non comprendo come mai, nel settore pubblico, la percentuale dei dipendenti che riescono a crescere all’interno della propria struttura sono davvero basse.
    Il terzo racchiude un capitolo che rischia di scoperchiare il vaso di Pandora: quanti sono i dirigenti della Pa che hanno ricevuto una formazione adeguata a ricoprire quel ruolo? Torno a sottolineare che la produttività della macchina amministrativa passa anche da “buoni manager”, capaci di gestire risorse (umane e economiche) in modo efficiente e con una programmazione del lavoro seria.
    Un’ultima considerazione generale abbraccia la forbice esistente tra le fasce dirigenziali e i funzionari: un aspetto che, seppur non “controllabile” nel privato, dovrebbe essere più equilibrato nel pubblico, perché espressione dei principi dello Stato.

  13. Carlo Turco

    Forse ci vorrebbe maggiore prudenza e precisione nel sostenere le virtù dell’autonomia della dirigenza della Pa dalla politica. Credo che chiunque abbia avuto una esperienza, anche limitata, del funzionamento della Pa non possa non riconoscere che in moltissimi casi la dirigenza della Pa ha deliberatamente sabotato la realizzazione di indirizzi e obiettivi politici, giustamente determinati in sede politica, non graditi alla dirigenza. E non sarà per un caso o per un capriccio che in Usa lo “spoil system” è un sistema accettato. Ecco, forse una questione da pensare e risolvere è proprio l’introduzione di uno “spoil system” che non sia selvaggio e risponda a regole chiare e principi di trasparenza.

  14. giuseppe vella

    Prof. Pisauro, da un calcolo alla buona riportato nell’articolo pubblicato da LeggiOggi (http://www.leggioggi.it/2013/11/14/linsostenibile-leggerezza-della-razionalizzazione-dellorganizzazione-del-pubblico-impiego/) è possibile affermare che negli ultimi 20 anni i dirigenti italiani sono costati, di soli incentivi, 20 miliardi di euro. E il sistema incentivante è analizzato in un altro articolo (http://www.leggioggi.it/2013/11/06/il-sistema-incentivante/). Fino a quando il pubblico impiego dovrà spendere tanto per dirigenti che non danno nulla?

  15. Antonio Gasperi

    Il pubblico impiego è una macchina gigantesca e assolutamente variegata: va dai ministeriali agli impiegati degli Eell, passando per il parastato e le helping professions (personale sanitario, scolastico,ecc). Un dato comune però è che gli incentivi alla produttività – secondo una ben conosciuta teoria di psicologia del lavoro- vanno dati a chi non ha voglia di lavorare, perché quelli che lavorano anche senza incentivi continueranno a tirare avanti la baracca per il semplice fatto che sono onesti.

  16. stefano delbene

    Finalmente qualcuno che dice che il re è nudo? per vent’anni ci hanno raccontato quanto la privatizzazione del pubblico impiego (cosa diversa è lo spoil system) avrebbe reso più efficiente la Pa. Per ora, a quanto pare, l’ha resa più costosa. Chissà se il nuovo governo ascolterà queste semplici parole di buon senso?

  17. Guest

    Grazie al Prof. Pisauro. Connubio, o intreccio indissolubile, tra politica e Pa. Ed I risultati si vedono. Poi qualcuno scriveva di conflitto di interesse epidemico. Un Paese da rifare “from scratch”, poche chiacchiere. Più di 4.3 milioni di soli iscritti all’Aire ne forniscono conferma.

  18. cesarino

    Complimenti per aver affrontato il tema e condivido.
    Per esperienza personale devo evidenziarLe che la mancanza di prospettive ha eliminato la volontà di partecipare a corsi di aggiornamento e di studiare per approfondire la materia di propria competenza Risultato: dirigenza non al passo dei tempi.

  19. Sergio Andreani

    Nel Pubblico impiego servono solo tanti, tanti , tanti licenziamenti.
    Firmato : il figlio di un dipendente pubblico.

  20. grazia testa

    Maxi concorso al comune di Caltanissetta
    Rischia di naufragare definitivamente il concorso riservato per la stabilizzazione di 44 unità con contratto a tempo determinato. Dopo gli “esterni”, anche i dipendenti comunali fanno ricorso al Tar dal momento che vedono preclusa l’opportunità di una progressione di carriera. Lo ha deciso l’assemblea a cui hanno preso parte numerosi dipendenti comunali. I lavoratori hanno anche racimolato i quattrini per dare incarico a un legale che dovrà presentare ricorso al Tar per chiedere l’annullamento del bando.
    http://benedettomineo.altervista.org/maxi-concorso-al-comune-di-caltanissetta/

  21. Giancarlo Barra

    Non è mai troppo tardi! Questo è il commento che mi sento di esprimere dopo aver letto l’articolo del prof. Pisauro. L’abolizione delle carriere ha determinato la perdita dell’identità per il pubblico impiego, cioè a dire: la morte morale. Cosa fa, infatti, un essere umano (sembrerà strano ma il pubblico impiegato è un essere umano) senza
    una legittima aspettativa di progresso? E cosa succede quando questa aspettativa viene a mancare proprio in quell’ambito ove l’uomo esprime se stesso e si realizza, il lavoro? Queste sono domande retoriche a cui tutti, però, possono dare una risposta, anche quei “distratti” che continuano a guardare il pubblico impiego come il nemico sbagliato. Dopo aver abolita la disciplina pubblicistica (il D.P.R. 10/01/1957, n. 3) ed averla sostituita con la contrattazione e dopo aver
    promulgato ben 99 interventi legislativi (dal 1992 ad ora) nulla è andato più bene: la valutazione, la mobilità, la formazione professionale, la
    giurisdizione; mentre sono caduti a picco il senso
    di appartenenza, la laboriosità, la moralità. La ragion d’essere. cui prodest?
    Non siamo certo degli sprovveduti, sappiamo che sta per riscatenarsi una campagna d’odio contro il pubblico impiego. i distratti, infatti, continuano a
    cadere in questo tranello, basta leggere certe manifestazioni di disprezzo proprio su questo sito! Ma i politici continuano a macchiarsi di reati ripugnanti, gli imprenditori accumulano evasione fiscale ormai giunta a livelli incalcolabili, a Rosarno e a Prato si è manifestata la schiavitù e il suicidio
    è diventato la via d’uscita da questo tunnel infernale. Guardate, c’è una sola soluzione ed una soltanto: rimettere in piedi lo Stato a cominciare proprio dalla sua parte vitale, il pubblico impiego (piaccia o non piaccia)!

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