La commissione per l’abilitazione ai ruoli di professore di storia economica ha da poco terminato, in grave ritardo, i propri lavori. Con risultati sconcertanti nella lista dei promossi e bocciati. Resta ancora molto da fare per la diffusione di una cultura della valutazione rigorosa del merito.
IDONEO CON 10 CITAZIONI, NON IDONEO CON 667
Per chi non segue la vita degli atenei italiani, serve ricordare che si stanno concludendo le procedure per l’abilitazione all’insegnamento universitario per professori ordinari (detti di prima fascia) e associati (seconda fascia). Per ciascun gruppo disciplinare, la valutazione è stata affidata a cinque commissari, sorteggiati tra i professori del gruppo stesso. La procedura prevedeva una importante novità: per la prima volta l’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) – che nel frattempo ha definito un insieme di criteri di valutazione del lavoro scientifico dei singoli studiosi – ha indicato alcune linee guida delle quali le commissioni avrebbero dovuto tenere conto nel formulare i propri giudizi. In particolare, raccomanda di concedere l’idoneità solo a chi abbia ottenuto valutazioni superiori alla mediana dei candidati.
Complessivamente, il nuovo sistema ha funzionato discretamente bene, malgrado non poche eccezioni. Una di queste riguarda la commissione di storia economica. I suoi criptici verbali non consentono un’adeguata comprensione dei criteri adottati per “promuovere” o “bocciare” i singoli candidati. Una cosa però è chiara: contrariamente a una prassi internazionale consolidata e a quanto fatto dalla maggior parte delle altre commissioni, quella di storia economica non ha preso in considerazione lavori a più mani nei quali non fosse indicata la parte attribuibile a ciascun autore (il criterio implica una visione dei lavori collettivi come montaggio di parti indipendenti e chiaramente distinguibili piuttosto che, come avviene e dovrebbe avvenire, quale frutto di ricerca e lavoro empirico impostati e condotti in comune). Sono stati in questo modo esclusi dalla valutazione articoli pubblicati sulle migliori riviste internazionali sulle quali hanno pubblicato, contrariamente a moltissimi tra i promossi, i migliori tra i candidati esclusi.
Per valutare il risultato dell’opera della commissione ci siamo riferiti alle citazioni complessive di tutti i lavori di ciascun candidato. Le citazioni non sono l’unico criterio per una quantificazione del valore di uno studioso. Se ne possono pensare altri come il numero e il valore dei finanziamenti ottenuti per progetti di ricerca, gli inviti a tenere conferenze in importanti università italiane e soprattutto straniere, le offerte di lavoro da parte delle stesse, i premi e simili riconoscimenti ottenuti dalla comunità scientifica di riferimento. Il numero di citazioni è tuttavia il migliore singolo indicatore di quanto uno studioso abbia contribuito al progresso della ricerca nel proprio campo. Ebbene, prendendo a caso alcuni candidati che hanno ottenuto l’abilitazione a professore di prima fascia di storia economica, abbiamo trovato che i peggiori hanno 10, 14 e 23 citazioni, i migliori (del campione) ne hanno 329, 293 e 79. Sono stati invece considerati non idonei a ricoprire il ruolo di professore ordinario studiosi citati 664, 349 e 280 volte. Qualunque dubbio ciascuno di noi possa legittimamente nutrire sull’uso delle citazioni come indicatore sintetico della considerazione in cui è tenuto il contributo dato da uno studioso alla propria disciplina evapora di fronte agli ordini di grandezza ai quali ci troviamo dinanzi. Ripetiamo: promosso con 10 citazioni, bocciato con 664.
I COMMISSARI E LA VALUTAZIONE DEL MERITO
Come è potuto succedere? La ragione principale sta, probabilmente, nella qualità scientifica media della commissione. Tre dei commissari, per altri versi degnissime persone, hanno meno di 30 citazioni ciascuno, una situazione del resto che, per motivi collegati alla storia della disciplina in Italia, li accomuna a molti colleghi. Un quarto commissario gode di ben diversa rispettabilità accademica, testimoniata dalle citazioni ricevute, e ha votato in taluni casi importanti contro la maggioranza; il quinto commissario era un ottimo studioso straniero, forse un po’ spaesato nei bizantinismi della storia economica italiana. Con una tale maggioranza della commissione forte era il rischio, puntualmente concretizzato, che prevalessero orientamenti e criteri valutativi fortemente divergenti dalle raccomandazioni dell’Anvur.
Con l’attesa che questa prassi si ripeta in futuro, come pensano gli storici economici italiani, alcuni dei quali di grande valore, di attrarre alla disciplina i migliori giovani studiosi, quelli che già ottengono all’ estero interesse per il loro lavoro?
La cultura della valutazione rigorosa del merito – per le assunzioni, per le promozioni, per ottenere finanziamenti –comincia a mettere radici nell’università italiana. Ci sono molti piccoli ma diffusi segnali in proposito. Gran parte del merito va al lavoro dell’Anvur, condotto tra mille difficoltà e spesso malcelate ostilità. C’è ancora molto da fare per affinare metodi e criteri di valutazione, ma quanto realizzato sinora sta producendo frutti. Molto potrebbe fare il Governo assegnando una quota significativa dei fondi statali alle università sulla base delle valutazioni. Ma vi è un limite a quello che anche le migliori politiche possono portare se la comunità accademica non fa la propria parte, se la “corporazione” (quella di stampo medievale che richiedeva un “capolavoro” per l’ammissione di un nuovo membro) non svolge, anzitutto al proprio interno, il compito essenziale di creare una cultura diffusa per cui sia naturale premiare i migliori e impedire l’ingresso a chi ha magari tanti talenti, ma non quelli dello scienziato. Una cultura nella quale anche una denuncia come questa sia accettata come utile e benefica.
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marcello
Perché gli altri hanno avuto esiti diversi? Nel momento in cui si è concesso di integrare, affiancare, o comunque completare i criteri definiti per l’Asn, i commissari si sono sentiti in diritto di fare quello che volevano senza nessun ritegno e come sempre è stato, con buona pace di indicatori, mediane e quant’altro. E tralasciamo il giudizio sugli esperti stranieri che spesso adottano criteri desunti da liste che non sanno e fanno finta di non saper neppure leggere. Il resto, come cantava Califano, è noia.
paolo bertoletti
Da quale banca dati citazionale sono presi i numeri indicati nell’articolo?
aldo
“Nel bene e nel male purché se ne parli…”
Ebbene storici economici, i guru firmatari della lettera indicandovi i vostri peccati vi indicano anche la strada per la salvezza: le citazioni!
Organizzatevi in gruppi di colleghi con la promessa di citarvi sempre l’uno con l’altro, potrete fare ricerca scientifica sulle chiacchiere altrui standovene comodamente a casa vostra (come peraltro già avviene…), nel breve avrete i meriti (sui quali battono i firmatari) per passare comodamente l’abilitazione nazionale.
Che vi importa della originalità? A che serve “scoprire” qualcosa di nuovo? Basta essere citati, sia nel bene che nel male, sia dal giornale della parrocchia che dalla rivista internazionale.
La presunzione genera sempre la maleducazione!
Antonio Gasperi
Storia economica: uno dei terreni scientifici in cui le pregiudiziali ideologiche sono dirimenti. Quasi da non crederci, in un paese abituato a un corretto confronto di idee e leale scontro di interessi.
carlo
Che la Commissione abbia ritenuto di poter letteralmente cestinare tutti i contributi co-autorati è uno scandalo che dovrebbe essere abbastanza evidente a tutti. Non stiamo parlando di lavori firmati da decine di persone come può accadere in altre discipline, stiamo parlando degli esiti di progetti di ricerca portati avanti per anni, anche in collaborazione, attraverso presentazioni a convegni, partecipazione a gruppi di ricerca, etc. e la cui attribuibilità è evidente dai curricula dei candidati. Pratiche di ricerca normali per chiunque abbia una minima apertura al confronto internazionale, e che prescinde dalla questione delle citazioni.
pisellino
Non occorre scomodare le citazioni per capire che gli scriventi hanno ragioni da vendere. Lo scempio è palese “a naso”. L’unica soluzione, per come la vedo io, è commissariare e chiudere il settore concorsuale. Tra l’altro con così pochi ordinari sarebbe destinato a estinguersi comunque a breve. E allora speriamo che gli storici di M-STO/02 e M-STO/04 prendano in mano la baracca e facciano finalmente le pulizie di Pasqua!
PMC
Onestamente comprendo il disappunto sulla base del metodo indicato, ma non è possibile darvi ragione “inaudita altera parte”.
scholar
Le medesime perplessità sorgono anche osservando i giudizi di altre commissioni. Fra i casi eclatanti potrei citare i lavori della commissione di Economia e gestione delle imprese
Franco Amatori
Le argomentazioni di Toninelli, Toniolo e Zamagni sono per molti versi
inoppugnabili; non c’è dubbio che alcuni degli esclusi meritino
l’abilitazione alla prima fascia.
Ad osservare dall’esterno, la vicenda potrebbe essere letta come una
“tenzone accademica” (si vedano i risultati della VQR per la
Storia economica e i commenti su di essi di un autorevole esperto dei
criteri di valutazione quale Alberto Baccini). Tuttavia, sembra
tardiva, e non molto efficace, l’iniziativa di chi ha firmato la
lettera, il cui comportamento, in questi anni, è stato di snobistico
distacco e velleitaria inconcludenza rispetto alle battaglie che
avrebbe potuto sostenere all’interno e a favore – secondo la propria
visione – della disciplina. C’è da aggiungere che uno dei firmatari,
per quanto avanti negli anni, è un po’ scarso negli indicatori che
propone come metro di giudizio per gli altri. Il fatto è che questo
metro di giudizio non coglie i valori reali, perché lo studioso in
questione è un ottimo studioso, che ha prodotto lavori importanti,
anche se poco citati secondo il metro di publish or perish. Quanto al
commissario eroico che avrebbe sostenuto da solo l’urto delle tre
“degnissime persone, per altri versi”, ecco! ho qualche
perplessità nell’aderire a questa glorificazione.
Dal canto mio, ritengo che la Storia economica sia tutt’altro che da
“chiudere” e da “commissariare”, come sostiene un
commentatore che mi ha preceduto, Pisellino: questi dimentica che il
presidente della commissione di un settore che, con l’occasione delle
“pulizie di Pasqua”, dovrebbe secondo lui “spazzarci via”, è
stato costretto a dimettersi per aver dichiarato il falso a proposito
dei suoi titoli. Caro Pisellino, la Storia economica rappresenta un
vero e proprio asset per la storiografia italiana, con il tentativo,
compiuto dai migliori, di muoversi fra due o più culture,
rifiutando, quindi, l’insopportabile Washington Consensus, ovvero una
disciplina che non si distingua dall’economia. Fra le altre
aberrazioni, questa deriva prevede per lo studioso un uso del tempo
che lo porta più a misurare, secondo criteri riduttivi, il lavoro
proprio e quello altrui, che non a condurre – liberamente e
rischiosamente – la ricerca storica, con risultati non di rado
innovativi e rimarchevoli, pur non entrando in queste stucchevoli hit
parade, il cui conformismo ci soffoca.
Vera Negri Zamagni
Vedo che concordiamo sull’essenziale. Quanto a non essersi impegnati nella disciplina, penso che pochi si siano impegnati più di me, ahimé inutilmente. Era da almeno 20 anni che predicavo che bisognava fare i conti con gli sviluppi dell’economia (e del management, per la business history). Il non averli fatti ha generato questa grave crisi della storia economica, accompagnata per di più da stupide e miopi ritorsioni contro chi ha avuto l’unico difetto di richiamare alla realtà.
Franco Amatori
Le argomentazioni di Toninelli, Toniolo e Zamagni sono per molti versi
inoppugnabili; non c’è dubbio che alcuni degli esclusi meritino
l’abilitazione alla prima fascia.
Ad osservare dall’esterno, la vicenda potrebbe essere letta come una
“tenzone accademica” (si vedano i risultati della VQR per la
Storia economica e i commenti su di essi di un autorevole esperto dei
criteri di valutazione quale Alberto Baccini). Tuttavia, sembra
tardiva, e non molto efficace, l’iniziativa di chi ha firmato la
lettera, il cui comportamento, in questi anni, è stato di snobistico
distacco e velleitaria inconcludenza rispetto alle battaglie che
avrebbe potuto sostenere all’interno e a favore – secondo la propria
visione – della disciplina. C’è da aggiungere che uno dei firmatari,
per quanto avanti negli anni, è un po’ scarso negli indicatori che
propone come metro di giudizio per gli altri. Il fatto è che questo
metro di giudizio non coglie i valori reali, perché lo studioso in
questione è un ottimo studioso, che ha prodotto lavori importanti,
anche se poco citati secondo il metro di publish or perish. Quanto al
commissario eroico che avrebbe sostenuto da solo l’urto delle tre
“degnissime persone, per altri versi”, ecco! ho qualche
perplessità nell’aderire a questa glorificazione.
Dal canto mio, ritengo che la Storia economica sia tutt’altro che da
“chiudere” e da “commissariare”, come sostiene un
commentatore che mi ha preceduto, Pisellino: questi dimentica che il
presidente della commissione di un settore che, con l’occasione delle
“pulizie di Pasqua”, dovrebbe secondo lui “spazzarci via”, è
stato costretto a dimettersi per aver dichiarato il falso a proposito
dei suoi titoli. Caro Pisellino, la Storia economica rappresenta un
vero e proprio asset per la storiografia italiana, con il tentativo,
compiuto dai migliori, di muoversi fra due o più culture,
rifiutando, quindi, l’insopportabile Washington Consensus, ovvero una
disciplina che non si distingua dall’economia. Fra le altre
aberrazioni, questa deriva prevede per lo studioso un uso del tempo
che lo porta più a misurare, secondo criteri riduttivi, il lavoro
proprio e quello altrui, che non a condurre – liberamente e
rischiosamente – la ricerca storica, con risultati non di rado
innovativi e rimarchevoli, pur non entrando in queste stucchevoli hit
parade, il cui conformismo ci soffoca.
Giuseppe
Hanno bocciato studiosi di fama mondiale. E tra i promossi c’è gente di cui manco nella provincia vicina hanno sentito parlare. Non è il caso di mettersi a fare della filosofia. Sulla qualità media del settore stendiamo un velo pietoso: lo sanno tutti del resto. Mi auguro che Toninelli, Toniolo e Zamagni non si fermino qui. Questa cosa deve finire sui giornali.
Ivana
Forse per le discipline scientifiche la riforma Gelmini ha funzionato abbastanza bene, ma certamente gli effetti sono stati assai deludenti per non dire in certi casi scandalosi nelle scienze sociali, come rilevato anche dal Corriere della Sera. Anzi, questa riforma a dato una parvenza di obiettività a selezioni effettuate con grande faziosità con risultati anche peggiori dei concorsi gestiti dai vecchi baroni, con l’aggravante che in questo caso non vi era numero chiuso e quindi si potevano aiutare i candidati “amici” senza necessariamente bocciare gli altri candidati maggiormente meritevoli
IC
Stanno emergendo i risultati delle indagini della magistratura succedute ai numerosi ricorsi. Si confermerebbe l’impressione di comportamenti irregolari quando non scandalosi da parte di alcune commissioni