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Per favore, cambiate quel decreto!*

Possibilità di infinite proroghe per tre anni al contratto di lavoro a tempo determinato. Anche una alla settimana o al mese. Con gravi rischi. È quanto previsto dal decreto legge uscito dal Consiglio dei ministri. Da cambiare al più presto!

Il decreto legge uscito dal Consiglio dei ministri di mercoledì apre la possibilità di infinite proroghe di un contratto a tempo determinato con lo stesso datore di lavoro: tutte “le proroghe sono ammesse” nei primi tre anni. In principio si possono fare 365 x 3 contratti rinnovati di giorno in giorno. Di fatto il periodo di prova nel quale si può essere licenziati senza preavviso, indennità e alcuna giustificazione viene esteso a tre anni. Ogni discriminazione è possibile: ad esempio, alla notizia della maternità di una lavoratrice, il datore di lavoro potrà semplicemente non rinnovare il suo contratto.

CONTRATTI BREVISSIMI. SENZA RETE

Questa norma va assolutamente modificata. Rischiamo di avere un’esplosione di contratti a tempo determinato di durata molto breve (una settimana o un mese) con lavoratori che perdono il lavoro senza alcuna assicurazione sociale. I contratti di una settimana, anche con il sistema di sussidi di disoccupazione più generoso del mondo, non danno infatti diritto a copertura assicurativa.
Rischiamo di fare lo stesso errore della Spagna, dove un terzo della forza lavoro è rimasta intrappolata in contractos temporales e dove chi vuole trovare lavoro compete con milioni di lavoratori che passano da contratto a contratto. Anzi peggio, perché in Spagna i contractos temporales avevano una durata minima di sei mesi. Da noi possono essere di un giorno. La distanza fra contratti a tempo determinato e i contratti a tempo indeterminato diventa ancora più forte. Questo significa che passare dagli uni agli altri sarà ancora più difficile.

LAVORO INTERINALE E APPRENDISTATO SPIAZZATI

Tra l’altro questo decreto di fatto spiazza il lavoro interinale che garantisce al lavoratore una certa continuità con l’agenzia, se non con il datore di lavoro. E spiazza lo stesso contratto di apprendistato che si sostiene di voler rilanciare.
Siamo sicuri che sia questo l’intento del governo?
Se sì, per favore lo si dica esplicitamente. Se non è così, per favore cambiate questa norma prima che entri in vigore!

Leggi anche:  Quando i lavoratori anziani ostacolano la carriera dei giovani*

* Questo articolo è stato scritto in base al testo uscito dal Consiglio dei ministri di mercoledì 12 marzo. Poche ore dopo l’uscita di questo articolo, nell’affinamento del provvedimento, l’orientamento del Governo è cambiato e ora si parla di un massimo di otto rinnovi contrattuali nell’arco di tre anni. Vale a dire contratti di lavoro che possono avere mediamente una durata di quattro mesi e mezzo ciascuno. Una correzione apprezzabile, ma ancora insufficiente.

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Il Punto

34 commenti

  1. Enrico

    Mi unisco all’appello

  2. Francesco Stolfa

    “Si può essere licenziati senza preavviso, indennità e alcuna giustificazione”: cosa c’entra il preavviso nel contratto a termine? Il lavoratore sa dall’inizio quando sarà licenziato. “Senza indennità”: quale? Il Tfr non lo tocca nessuno e l’indennità di mancato preavviso non ha senso. La “giustificazione del licenziamento”: nel contratto a termine? Non c’è mai stata nella storia del diritto del lavoro. Sulla possibilità di reiterazione eccessiva si può discutere e si può rimediare.

    • Francesco

      Basta leggere. Se ti offro un contratto di una settimana (o di un mese) costantemente prorogato, ecco che viene meno qualsiasi problema di “preavviso” o di natura normativa. Semplicemente ti lascio a casa. Le difficoltà normative sono ormai ampiamente superate dal sistema on-line delle comunicazioni obbligatorie, dato che stiamo parlando di proroghe e non nuove assunzioni. La conseguenza di questo problema non è normativo, ma economico ed è legato all’opportunismo di una parte dei datori di lavoro.

      • marco

        8 rinnovi massimo nei 3 anni. Se fai i contratto da un giorno bruci la risorsa in una settimana. Non credo abbia senso. Le settimane di pausa erano incredibili, senza contare i processi per le causali. Che in fondo sono una sola.

  3. Ryoga007

    Non capisco l’appello, vivendo la realtà molto da vicino. L’unica differenza è che ci risparmiamo le due settimane di stop dopo il primo rinnovo e meno burocrazia per definire la causale. E non vedo come l’ipotesi di casi estremi (contratti di pochi giorni continuamente rinnovati? Voglio vedere chi ha voglia di perdersi in tutte le cartacce necessarie) cambi la sostanza. Anche perché chi veramente decidesse di percorrere una strada del genere potrebbe essere solo un’azienda veramente alla canna del gas.

    • Bisco

      …con dipendenti alla canna del gas

      • Ryoga007

        Per arrivare a simili aberrazioni, la canna del gas è un must. Altrimenti non converrebbe a nessuno.

    • matteoplatone

      No vabbé però ve meritate il precariato, con certi commenti.

      • Ryoga007

        A me capita di essere in difficoltà a tenere persone valide proprio per la rigidità dei contratti a tempo e ci sono momenti in cui gli indeterminati, purtroppo, non sono un’opzione (ultimo caso un ragazzo lasciato a casa a gennaio).

        • Enrico

          Bhe qui ci sarebbe da capire perché un’azienda non vuole passare a tempo indeterminato un risorsa valida, ma contemporaneamente è disposta a rinnovarlo a tempo determinato più e più volte, magari per anni.

          • Johan Mellowman

            Le cause? Leva finanziaria, evasione fiscale e comportamenti tipici di profili psicopatologici.

          • Ryoga007

            Perché non è sicura se la suddetta risorsa servirà ancora tra sei mesi o un anno, nell’attuale situazione economica. Le nostre normative rendono un errore di valutazione in tal senso estremamente oneroso e dall’esito incerto.

          • Enrico

            Interessante il suo punto (non faccio sarcasmo).
            In base alla mia esperienza solo nei ruoli di “produzione” si può fare una stima del genere; per i ruoli “di concetto” è molto difficile.
            Questo non spiegherebbe la disoccupazione dei laureati: se penso di non avere più bisogno di un progettista (software, meccanico, elettronico) significa che il mio business è attaccato ad un filo.
            Non solo ma probabilmente il non-rinnovo non è direttamente correlato alla possibile inutilità di quella risorsa a breve, dato che è stata ritenuta valida, ma all’impossibilità di toccare l’esistente. L’inutilità con anzianità aziendale sembra più tollerata.

  4. E.

    Stanno demolendo ogni sicurezza, dal lavoro al risparmio, per renderci dipendenti dalla loro pelosa assistenza. Odiano il ceto medio e il risparmio in quanto questo rende indipendenti e liberi.

    • Enrico

      Esatto, ed in una cultura al limite del marxismo si indicano “quelli con i soldi” come se avere lavorato e risparmiato onestamente per essersi costruiti un tenore di vita sopra la media sia una colpa. I risparmi sono già al netto delle tasse e non andrebbero toccati.

      • Johan Mellowman

        In una cultura propriamente marxista gli evasori fiscali starebbero in galera a meditare sulla fortuna di non avere la nazionalità rumena (ai ladri nelle prigioni rumene spezzano le mani) e non in barca nel mare sardo o in Parlamento a pontificare. Ricordo che l’evasione stimata ammonta a 240 miliardi di euro l’anno. Tradotto: recuperandone anche solo la metà si ripianerebbe l’intero debito pubblico in 10 anni. Oppure ci teniamo il debito pubblico e paghiamo la metà delle tasse, a scelta.
        Distopia, ovviamente.

        • Enrico

          Il risparmio *onesto* non va toccato. Altrimenti si parte dal presupposto che il risparmio derivi solo dall’evasione o da attività illegali.

  5. Avv. Giulio Fedele

    L’immagine, memorabile e nel contesto azzeccatissima di Alberto Sordi che fa il gesto dell’ ‘ombrello’ ai lavoratori nel film “I Vitelloni”, comparsa su un recente articolo dedicato alle novità annunciate dal governo in materia di lavoro, riassume plasticamente, senza tanti giri di parole, l’impressione che desta la prima lettura di quelle che dovrebbero essere le linee essenziali del jobs act renziano, a dire il vero a lo stato ancora molto fumose ed evanescenti. Naturalmente, parecchio ci sarà da chiarire nei prossimi giorni sulle vere intenzioni del governo, e tuttavia l’impressione è che, al di là dello zuccherino astutamente promesso –l’annunciato regalo in danaro (10 ml.di di euro, che molti peraltro dubitano possano essere veramente reperiti)- i lavoratori dovranno ingoiare poi qualche amaro boccone, indispensabile per accontentare la scalpitante Confindustria che quel regalo avrebbe voluto tutto per sé. Del resto, oramai si è capito che gli inglesismi tanto amati dai nostri politici, sono
    solo furbeschi eufemismi per nascondere verità che in italiano hanno nomi impronunciabili. Come Monti si era inventato la “spending review” per non parlare di “manovra finanziaria”, così ora Renzi si inventa il “jobs act” per non parlare di “articolo 18”.
    Ma, c’è da scommetterci, ancora una volta la “fissa” di questo governo, come di quello Monti, sarà, al di là di pudici paraventi, l’art. 18, o, per dirla con altre
    parole, la libertà di licenziamento: e con esso, inevitabilmente -perché le due “fisse” vengono
    normalmente (e subdolamente) propugnate in maniera inscindibile- quella del contratto unico a tempo indeterminato liberamente risolvibile in qualsiasi momento (idea comunemente –ma erroneamente- attribuita ad Ichino, che ne ha
    fatto il suo cavallo di battaglia, ma la cui paternità è in realtà di Biagi, che per primo la sostenne). E così il dibattito sul lavoro ancora una volta verrà falsato e deviato dalla suo vera sede, continuandosi ancora ad ignorare che il lavoro e gli investimenti non si promuovono liberalizzando i licenziamenti, ma eliminando le vere ragioni che impediscono lo sviluppo economico: tassazione insostenibile per imprese e lavoratori, bassi salari e precarizzazione selvaggia, burocrazia asfissiante e inetta, giustizia
    inefficiente e lenta, leggi incomprensibili. Quanto a quest’ultimo aspetto, indubbiamente passaggio obbligato è la semplificazione e razionalizzazione del
    quadro legislativo in materia di lavoro, ma non ci si può illudere di raggiungere questo obbiettivo con una mera operazione di maquillage delle oltre quaranta forme di rapporto di lavoro oggi previste, essendo, al contrario, indispensabile un intervento di rifacimento radicale che parta dalle fondamenta per liberarle dalle inutili e dannose sovrastrutture che nel tempo le hanno nascoste e massacrate. Per esser chiari: la vera, indispensabile, semplificazione che Renzi dovrebbe fare è il ritorno al sistema duale del rapporto di lavoro -autonomo o subordinato- eliminando gli ibridi (le forme di c.d. lavoro parasubordinato), meri escamotage inventati dalla fervida fantasia dei nostri “moderni” ed uniformati giuslavoristi ma in realtà inesistenti ‘in natura’ (giuridica), anzi contro natura. Non ci sono vie di mezzo, non esiste ‘in natura’ un tertium genus di lavoro che non sia né autonomo né subordinato (la pretesa legittimazione della parasubordinazione non può desumersi da una non pertinente norma meramente processuale, art. 409, 3°c., cpc, forzatamente piegata ad una interpretazione che non regge ad un’analisi critica obbiettiva), il lavoro o è l’uno o è l’altro. E si sa che quando si cerca di coartare o, peggio, violentare la natura, questa si ribella. Infatti, tutti i problemi (e le vertenze) che nascono i sede di interpretazione e applicazione delle norme in materia di lavoro c.d. parasubordinato, come tutte le difficoltà per definire le medesime (si veda da ultimo la riforma Fornero, vero monumento … alla chiarezza e alla ragione!) nascono proprio di qui, perché si è finito per creare una selva mostruosa ed inestricabile, in cui è difficile penetrare anche per un avvocato: figuriamoci per un imprenditore, il quale finisce per abbandonare –come dargli torto?- qualsiasi, pur volenteroso e ottimistico, progetto di nuove assunzioni. Quanto poi, in particolare, alla riforma dell’apprendistato, ben poca cosa sembra quella delineata dal jobs act
    renziano, atteso che questo non scioglie i nodi e le problematiche lasciate aperte dalla riforma Fornero. Detta riforma doveva –dicevano- promuovere
    la ‘buona occupazione’, in particolare quella dei giovani, e combattere la piaga del precariato, ma ha prodotto solo disoccupazione e, al massimo, ‘cattiva’ occupazione, dovuta anche all’abuso (‘non ne abusate’, raccomandava agli imprenditori l’ineffabile Fornero!) di espedienti legalizzati – ivi compreso proprio il nuovo contratto di apprendistato- che consentono lo sfruttamento a basso costo del lavoro, condannando i giovani al precariato a vita.
    In realtà, è certamente conveniente per i datori di lavoro assumere lavoratori, anche laureati (specializzati, ingegneri, ecc.) e persino già dotati di esperienza lavorativa, che l’azienda può pagare
    con una retribuzione corrispondente a due categorie contrattuali inferiori e legare a se con un contratto a termine di tre anni (senza che il malcapitato
    possa neppure svincolarsi per accettare altre più soddisfacenti chances di lavoro), magari sfruttandoli, in fatto, come qualsiasi altro lavoratore in mansioni identiche: ma è questa buona occupazione? Giova ciò allo sviluppo economico e sociale del Paese?
    È per tale via che si può combattere la piaga del precariato? E’ –oltre che politicamente, socialmente ed economicamente- corretto che chi ha già fatto lunghi studi (più lunghi che in qualsiasi altro paese), e magari, a 29 anni, già fornito di pregressa esperienza di lavoro, possa essere considerato, ancora e per ben tre anni, una specie di sotto-lavoratore di serie B, con minori diritti se non addirittura senza diritti, atteso che, al termine di un sì lungo periodo (nel quale dovrebbe essere chiaro se ha appreso o no, se è idoneo o no), non ha nemmeno quello di essere assunto in via definiva con corresponsione della piena (e pur bassa) retribuzione contrattuale?
    A questi interrogativi il jobs act non dà risposta, lasciando ben poche speranze in una effettiva volontà di procedere a riforme che non siano fatte solo di parole e di formule déjà vu: il che induce a rendere rinnovato omaggio all’Albertone nazionale, immortalato nell’immagine riportata nell’articolo predetto.

    • Benedetto Molinari

      Solo se si accetta di rinunciare all’illicenziabilità e di modulare lo stipendio in base alla produttività, quindi differenziando da lavoratore a lavoratore, allora potremo sostenere con forza il ritorno ad un contratto a tempo indeterminato.

    • Avv. Giulio Fedele

      Mi auguro che l’appello di Boeri venga accolto dal Governo, poiché si può già prevedere che, in caso contrario, qualcun’altro ci penserà. Infatti, il nuovo contratto a tempo determinato, a-causale e rinnovabile successivamente innumerevoli volte, non potrà sfuggire al vaglio dell’U.E -che peraltro, già nel gennaio 2013 ha sottoposto l’Italia a procedura di infrazione per violazione della Dir. 1999/70/CE- e dei tribunali, davanti ai quali questo contratto, se non sarà modificato, accenderà sicuramente nuovo contenzioso. Stupisce, in realtà, che il governo ignori (anche questo “ce lo chiede l’Europa”?) che a norma di tale direttiva il contratto a termine deve
      obbligatoriamente essere giustificato da “condizioni oggettive” (causa) e devono essere evitati abusi
      derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti/rapporti a tempo determinato. E stupisce anche che ignori che, a norma della stessa la direttiva CE, proprio per prevenire detti abusi, gli stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti stesse, devono introdurre misure relative alle ragioni obbiettive per la giustificazione del rinnovo di detti contratti/rapporti, alla durata massima dei contratti/rapporti successivi e al numero dei rinnovi: dunque, stavolta, Renzi non potrà arrogantemente liquidare la questione trincerandosi dietro a un ‘CGIL chi?’ o ‘i sindacati se ne facciano una ragione’!

  6. AndreaReggio

    Il Sole24Ore, edizione web, scrive che ci sarà un numero massimo di rinnovi in 3 anni pari a 8!

  7. Tetsuo Shima

    Sempre immensa ed immutata stima per Tito Boeri, ma sulle proroghe non è come viene scritto in questo articolo. Si parla di massimo 8 rinnovi in 36 mesi: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-03-14/piano-renzi-ecco-regole-i-contratti-tempo-determinato–165432.shtml?uuid=ABX5062

  8. jolanda contini

    Quando il lavoro diventa strumento di sottomissione a ricatti politici, economici, allo svilimento morale della dignità, in una civiltà ostaggio dei non tanto occulti interessi dei detentori di un potere economico cieco, avido e piratesco.

  9. marco

    Con il 40% di giovani disoccupati non mi pare il caso di essere schizzinosi!

  10. profeta ezechiele

    Non mi sembra il problema: in un momento di assenza totale della domanda, la flessibilità massima dell’offerta è necessaria. Ma lo vogliamo dire che il problema è il cuneo fiscale per pagare pensioni sanità e debiti degli anziani?

  11. Gianfranco

    Bastava prendere la proposta Ichino magari nella versione Ricolfi (maxi job) che avrebbe avuto, se non altro, il vantaggio di rendere meno conveniente il nero.
    Inoltre, qui si parla evidentemente di lavori di infimo livello: quando 40 anni fa sono stato assunto, la direttrice del personale mi disse: “vede per i primi tre anni più o meno Lei deve farsi una esperienza e quindi è un investimento a carico della ditta, solo poi diventa una vera risorsa”. Nessuna ditta butta via un investimento, se e quando questo comincia a rendere.

  12. paola borghini

    Anche questa volta non è la svolta buona. E’ una delusione immensa. Che fine ha fatto il contratto unico a tutele crescenti? Ho visto che è rimasto, e con formule dubitative, nei meandri della legge che dovrà essere discussa in un momento successivo. Ma perché un’azienda dovrebbe assumere in futuro con questo tipo di contratto se avrà la possibilità di usare il tempo determinato come gli pare? Certo la nomina a ministro del lavoro di Poletti non prometteva niente di buono. Altro che nomenklatura! Altro che vecchia guardia! Uno dei classici esponenti della visione più affaristica della politica. Altro che terzo settore! Perché non si dice quanto e come sfruttano le cooperative? Senza parlare delle cooperative delle mense o delle imprese di pulizia (anche 4 euro all’ora !). Ho l’esperienza di mia figlia, che lavora in una cooperativa sociale da sette anni e insegna italiano nella scuola dell’obbligo ai bambini stranieri. E’ laureata, ha sostenuto anche dei master per l’insegnamento della lingua agli stranieri, presso importanti università. E’ esperta, preparata, stimata dagli altri insegnanti. Viene retribuita con una paga oraria lorda di 11 euro e ha un reddito, sotto la soglia di povertà, fra i 6000 e gli 8000 euro annui, a seconda del numero di ore che le vengono concesse dalla cooperativa. Non ha ancora deciso di cambiare tipo di lavoro perché questo lavoro le piace ed è quello per cui ha studiato. E non può cambiare datore di lavoro, perché queste attività sono state delegate interamente, dallo stato e dai Comuni, esclusivamente alle cooperative. Non speravo che il Jobs Act potesse risolvere i suoi problemi. Perché so che le cooperative riescono sempre ad essere tirate fuori da ogni riforma e perché non speravo che il nuovo contratto unico potesse agire sui contratti già in essere. Ma speravo che fosse subito istituito un sussidio di disoccupazione universale e che il contratto unico potesse valere almeno per i nuovi assunti. Si può fare qualcosa per bloccare questo decreto?

  13. Massimo Matteoli

    Totalmente d’accordo con Boeri. Il rapporto di lavoro ha bisogno di flessibilità, non di precarietà. Questa non serve nemmeno alle nostre imprese, perché le “droga” con lavori sottopagati ma che al di là di un illusorio vantaggio a breve, non possono che rendere al “padrone” più di quanto paghi. O forse si pensa che un precario sottopagato dia l’anima per fare un bel lavoro?

  14. Confucius

    Visto che la Germania ha praticamente legalizzato il lavoro nero attraverso i “mini-jobs”, lavori a tempo determinato e quasi sempre part-time senza il versamento di contributi previdenziali e con il solo versamento dell’obolo di caporalato allo Stato, l’Italia è costretta a fare altrettanto. Si tratta soltanto di dare un nome alla mossa, da far passare in modo surrettizio. Tant’è che soltanto la Cgil pare si sia accorta in ritardo della bufala.

  15. Ermione D'Annunzio

    Gentile professore, le ricordo che esistono i contratti di collaborazione occasionale, che l’INPS vorrebbe fare sembrare inesistenti ma che ci sono ,e che molte società che lavorano con personale per le loro attività che sono di messa a disposizione di personale per altre aziende che richiedono personale per marketing o per moda ,ad esempio le modelle, o eventi, usano contratti che possono durare anche solo un giorno, revocabili con qualsiasi pretesto ,nessuna garanzia in genere, se non quella del foro competente nel caso sorgano controversie con l’imprenditrice o l’imprenditore che recluta; con tempi di pagamento che vanno dai trenta giorni ai 120/150 giorni, in media novanta giorni. Aggiungo, però che è la mentalità di molta popolazione, che vuole che qualcuno si faccia carico della persona “da assumere” e che controlli tutta la sua vita ,imponga divieti o dia “permessi” anche per come comportarsi nella vita privata ,con chi entrare in relazione nell’ambito del lavoro anche per motivi personali, con chi potere discutere anche in prospettiva di altri lavori se quel qualcuno si incontra grazie al lavoro che in quel momento l’assunta o l’assunto della situazione sta svolgendo. Situazioni che violano le libertà fondamentali, e ciò avviene in molti contesti in cui il lavoro è a discrezione di qualcuno, come l’ambito universitario. Cordialmente

  16. Simone

    Ma il limite del 20% di contratti a termine che ciascun datore di lavoro può stipulare rispetto al proprio organico complessivo, è tendenzialmente valido anche per la P.A.?

  17. Luca Palazzi

    deludente, e molto quest’iniziativa di Renzi rispetto al contratto unico.

  18. ALBERTO LANZA

    Al di là delle schermaglie ideologiche di cui le discussioni in materia di mercato del lavoro sempre si connotano (vedasi da un lato l’entusiasmo di Giuliano Cazzola che ha definito un “mercoledì da leoni” quel 12 marzo in cui il presidente del consiglio dei ministri ha presentato il decreto e “balzana” l’idea del contratto unico e, dall’altro, la dichiarazione di Fassina che evidenziava come il cardine del Jobs Act si fosse spostato da un contratto a tutele crescenti a un contratto a precarietà permanente), la scelta appare quella quello di contrastare una drammatica emergenza occupazionale con il massimo della flessibilità in ingresso; chiaramente le nuove norme dovranno, in futuro, essere oggetto di una approfondita riflessione che si ponga l’obiettivo prevalente di coniugare le esigenze di flessibilità delle aziende con il fondamentale diritto dei lavoratori alla stabilizzazione (anche graduale) della loro vita lavorativa. Se la strategia complessiva dovesse essere, invece, quella di approcciare l’ennesima riforma del lavoro con i contractos temporales o i mini jobs (questo sito ha già brillantemente messo in luce come la salute del mercato del lavoro tedesco più che dalla filosofia dei mini jobs dipenda dal successo della contrattazione aziendale) il nuovo che avanza sarebbe davvero un po’ muffoso.

  19. associazionegiuridica

    Mi pare che la tua disamina sia nella migliore delle ipotesi sbagliata. Il sistema delle causali è folle: aumenta il contenzioso, ingolfando la giustizia e spaventando le imprese. Con quali conseguenze sugli investimenti è noto. Se tra un anno, finita la crisi, il contratto unico non ci sarà, avrà avuto ragione.

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