La programmazione delle reti trans-europee è stata rivista di recente. Soprattutto, sono calate le risorse a disposizione dall’Unione. I finanziamenti che restano saranno in buona parte destinati alle infrastrutture ferroviarie. L’Italia e i quattro corridoi.
PIANI DI TRASPORTO EUROPEI
Nell’ottobre 2011 la Commissione europea ha formulato al Parlamento europeo e al Consiglio una proposta di revisione normativa relativa alle reti trans-europee di trasporto (Ten-T) che si è esplicata in due distinti atti, l’uno denominato Guidelines for the development of the Trans-European Transport Network (nel seguito Linee guida Ten-T) e l’altro Connecting Europe Facility (nel seguito Cef).
Nel dicembre 2013 le proposte sono state definitivamente approvate e pubblicate sulla Gazzetta ufficiale della Comunità.
Per migliorare la pianificazione delle nuove reti Ten-T, è stata prevista una articolazione su due livelli:
- una rete globale (cosiddetta comprehensive), da realizzare entro il 2050, che comprende tutte le infrastrutture esistenti e programmate a livello nazionale e regionale, la cui competenza per lo sviluppo spetta essenzialmente ai singoli Stati membri;
- una rete centrale (cosiddetta core), da realizzare entro il 2030, che costituisce l’asse portante della rete Ten-T in quanto comprende quelle parti della rete globale a maggiore valore strategico per il consolidamento degli obiettivi generali nonché i progetti a più alto valore aggiunto europeo quali i collegamenti transfrontalieri mancanti, i principali “colli di bottiglia” e i nodi multimodali.
La rete centrale è stata disegnata su 94 porti europei, 38 aeroporti, 15mila km di linee ferroviarie ad alta velocità e 35 progetti transfrontalieri. La realizzazione della rete centrale è stata “facilitata” – secondo la Commissione stessa – mediante l’adozione di un approccio per corridoi (nove), che interessano ciascuno non meno di tre modi di trasporto, tre Stati membri e due sezioni transfrontaliere.
RISORSE TAGLIATE
L’elemento che ha contraddistinto il processo di approvazione è stato quello relativo al budget. Nel 2011, infatti, la Commissione aveva proposto di dotare il Cef – nel periodo di programmazione 2014-2020 – di 31,7 miliardi euro (di cui 10 assegnati ai paesi che beneficiano dei fondi di coesione). All’atto dell’approvazione finale, tuttavia, il Cef ha avuto a disposizione 26,2 miliardi di euro, di cui 11,3 attraverso i fondi di coesione. Per i paesi non in coesione, come l’Italia, la riduzione è talmente sostanziosa – da 21,7 a 14,9 miliardi – da mettere in discussione la reale efficacia del programma e, di conseguenza, l’intero impianto pianificatorio che il programma sostanzia.
I co-finanziamenti europei, infatti, rappresentano soltanto una percentuale non preponderante (compresa tra il 20 e il 40 per cento) di un costo degli interventi che la Commissione ha ipotizzato essere al 2020 pari a circa 250 miliardi di euro.
L’iter di approvazione dei provvedimenti ha dato una rappresentazione plastica del modello di governance europea. Mentre il Parlamento europeo chiedeva maggiori risorse, il Consiglio ha scelto di restringere il perimetro del proprio intervento. È un fatto sintomatico se si pensa che l’approvazione del budget UE 2014-2020 ha conosciuto sì riduzioni dovute alla crisi economica dei diversi paesi, ma non in misura così consistente come quella riservata ai finanziamenti in infrastrutture di trasporto, secondo la vulgata un settore anticiclico per eccellenza.
È importante chiedersi quindi ragione dell’operato degli Stati membri. La risposta, ammessa ufficialmente da alcuni paesi, sta nel fatto che, mentre la gran parte del budget viene riallocata secondo meccanismi semi-automatici di ripartizione, i fondi del programma Ten-T sono invece assegnati secondo il meccanismo della call, dove cioè ogni progetto è posto in concorrenza (almeno teorica) con tutti gli altri e non esiste a priori la possibilità di determinarne il successo.
A ciò si aggiunga che, in continuità con gli strumenti di programmazione precedenti, la maggior quantità di risorse del programma sarà allocata sulle infrastrutture ferroviarie, una modalità di trasporto che, per quanto riguarda le merci, ha già dato abbondantemente prova di non essere in grado di soddisfare la domanda esistente né in termini quantitativi né, tanto meno, come livello di servizio.
Non è sicuramente questa la sede per affrontare nel dettaglio la crisi del sistema ferroviario europeo (pur con qualche, limitata, eccezione); bastano alcuni macro dati per darne evidenza.
Nel 2010 l’UE15 ha trasportato via treno 254 miliardi di tonnellate/chilometro di merci (erano 257 nel 2000, 256 nel 1990, 290 nel 1980, 282 nel 1970). Per l’UE27 il dato è ancora peggiore con 390 miliardi di tonnellate/chilometro nel 2010 contro le 526 nel 1990.
Il tutto con un trasporto stradale che, nel medesimo arco temporale esaminato (1970-2010), per l’UE15 è passato da 488 miliardi di tonnellate/chilometro di merci trasportate a 1.333 miliardi.
LE RETI TEN-T IN ITALIA
Dei nove corridoi proposti, quattro interessano l’Italia: a) il Baltico-Adriatico; b) il Mediterraneo; c) lo Scandinavia–Mediterraneo; d) il Reno-Alpi.
La tabella seguente riporta l’elenco dei nodi core italiani (urbani, aeroportuali e marittimi) inclusi nelle reti Ten-T.
L’aggiornamento del gennaio 2014 al Programma infrastrutture strategiche (Pis) del 2013, elaborato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, riporta il dettaglio degli investimenti infrastrutturali sui corridoi – per la parte relativa ai rami nazionali – sintetizzati nella tabella seguente.
Fonte: Pis 2013 (aggiornamento gennaio 2014) – Dati: milioni di euro
Gli interventi considerati hanno un costo complessivo di 141 miliardi di euro per il periodo 2013-2025, di cui il 25 per cento destinato a opere già realizzate. Tra quelle non ancora realizzate, il 44 per cento delle risorse è attribuito a interventi ferroviari.
Presumibilmente, una quota rilevante sarà “riservata” dal Governo centrale per dare continuità ai lavori della tratta ferroviaria Torino-Lione, di cui restano da avviare la maggior parte dei cantieri. Se nel periodo di prossima programmazione i fondi UE per il Cef si limitano a 14,9 miliardi di euro, il rischio concreto è che difficilmente si potranno trovare adeguate coperture finanziarie anche per altri progetti, se non di portata molto limitata e destinati quindi a realizzare singoli archi o nodi, avulsi da un quadro di riferimento unitario.
Il tutto si iscrive nel ben noto contesto della finanza pubblica italiana.
Forse vale la pena chiedersi se per il nostro paese sia valso lo sforzo, compiuto soprattutto a livello di Consiglio europeo, di cercare di “accaparrarsi” il maggior numero possibile di corridoi e di nodi core, prescindendo spesso dall’importanza che ricoprono nell’ambito di un disegno complessivo nazionale (ammettendone l’esistenza), ma solo per dare una risposta alle spinte campanilistiche provenienti dai diversi territori.
Ciò, come spesso accade, indipendentemente da qualsivoglia analisi di traffico, di mercato, di scenario o di redditività fatta a livello paese e non – in pur rare eccezioni – di singola opera.
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Carlo Turco
Credo che la questione dovrebbe essere considerata anche dal punto di vista: possiamo ritenere plausibile, economico (e salutare) che il traffico merci su strada continui ad aumentare ai ritmi indicati in questo stesso articolo? E se la risposta, come credo, debba essere negativa, la programmazione e realizzazione di una alternativa ferroviaria reale ed appetibile non passa anche attraverso la creazione di infrastrutture che, rispetto all’evoluzione spontanea (ed anarchica), possono apparire ridondanti?
luca antonellini
Personalmente la domanda che mi porrei è la seguente: possiamo permetterci di continuare ad investire risorse pubbliche in opere infrastrutturali che non presentano – al momento – le benchè minime possibilità di rientro (economico, finanziario) dell’investimento?
La riposta che do è la seguente: per ora NO.
In sintesi:
1) perchè il passato ci dimostra che a fronte di ingenti investimenti in ferrovie il mercato (cioè la merce) ha scelto un’altra strada perchè il servizio ferroviario è molto rigido in termini di qualità e livello dello stesso
2) perchè di cattedrali nel deserto ce ne sono fin troppe
3) perchè gli anni ’80 (in Italia) ci hanno lasciato un debito pressochè irrecuperabile
4) perchè non si può continuare a pensare al trasporto solo in termini di nuove infrastrutture e mai di servizi e delle esigenze delle merci che tali infrastrutture utilizzano/dovrebbero utilizzare.
ING
La ferrovia consuma meno risorse (territorio, energia, materiali), quindi è necessario muoversi in tal senso. Se si evita accuratamente la pianificazione del territorio la conseguenza è solo più trasporto su gomma, più spreco di risorse, più debito ambientale e più impoverimento.