Il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Graziano Delrio, presentando l’insieme dei provvedimenti volti ad incrementare l’efficienza della Pubblica amministrazione, ha annunciato anche una misura riguardante la remunerazione dei dirigenti. “Il problema non è fare tagli e togliere salario. Ma piuttosto legare i salari alla produttività. Per questo la remunerazione sarà fatta anche da un premio che dipenderà anche dall’andamento del Pil”.
La teoria economica (ma anche il buon senso) ci dice che legare la compensazione ai risultati può essere uno strumento per aumentare il livello d’impegno e quindi la produttività. E’ facile trovare esempi d’incentivazione legata ai risultati. Ad esempio, i manager vengono (in parte) remunerati in funzione dei profitti o del prezzo delle azioni; calciatori e allenatori hanno premi legati a vittorie e piazzamenti; alcune università basano la compensazione dei docenti (anche) sulla loro performance nella ricerca.
Affinché tali schemi d’incentivazione siano efficaci, occorre che ci sia una chiara relazione tra l’azione scelta dall’agente incentivato (quale il suo livello d’impegno) e il risultato al quale si lega la compensazione. Tanto più debole tale legame, tanto meno efficace è lo schema d’incentivazione. Ad esempio, nel caso degli operai di una catena di montaggio è molto più efficace basare la compensazione al numero e alla qualità dei pezzi prodotti, sui quali essi hanno un impatto diretto, che al prezzo delle azioni della società, che dipende da variabili come lo stato dell’economia o il prezzo delle materie prime sulle quali gli operai non hanno influenza. La stessa cosa vale per i dirigenti della Pubblica amministrazione. Anche se esiste un legame tra la qualità complessiva dei servizi della Pa e il Pil, la relazione tra l’impegno individuale di un dirigente comunale e la crescita del Pil italiano è assolutamente trascurabile. Estremizzando, sarebbe come legare la compensazione dei dirigenti ai risultati dell’estrazione della Lotteria Italia. Non una grande idea. Diverso sarebbe dire che la crescita delle remunerazioni non può eccedere il livello di crescita del Pil per ragioni di equilibrio dei conti pubblici. Ma non è questa l’affermazione di Delrio, che parla esplicitamente di produttività.
Il problema dell’efficienza della Pa è molto importante e bene fanno il governo Renzi e il sottosegretario Delrio a cercare di trovare strumenti per innalzarla. Sappiamo che la ricerca degli schemi d’incentivazione per i dirigenti pubblici è una sfida complicata. Molte sono le dimensioni da considerare e troppo pochi gli indicatori oggettivi. Ma sappiamo anche che non è questa la proposta giusta.
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Giovanni Callegari
Non sono d’accordo con l’analisi fatta.
Vero, legare gli stipendi alla produttività non è incentive-compatible, perché l’impatto degli amministratori pubblici sulla produttività globale è, nella migliore delle ipotesi, marginale. Dall’intervista sul Sole24ore, però, non pare che l’obiettivo del Sottosegretario sia quello di rendere le remunerazioni più compatibili con sistemi di incentivi (una cose che, a mio personale parere, è molto difficile nel settore publico, tranne pochissimi casi).
Però legare la crescita delle remunerazioni alle dinamiche della produttività rimane una buona idea, perchè ne garantisce la sostenbilità, grazie all’impatto sul lato delle entrate. Questo perché l’aumento della produttività genera risorse aggiuntive che sono perfettamente sostenibili in quanto permanenti, e quindi aumenti di stipendi legati alla crescita della produttività sono accettabili perchè finanziati in maniera strutturale. In termini più tecnici, legare le remunerazioni alla produttività garantisce che, ceteris paribus, il deficit strutturale non peggiori mai a fronte di aumenti di stipendi. Questo a patto che si mantenga la simmetria, cioè si diminuiscano gli stipendi quando la produttività diminuisce, una cosa che Delrio non dice….
Luigi Oliveri
L’analisi è, invece, corretta. Si parla di “incentivi”, non di remunerazioni. L’incentivo non è la remunerazione, ma una sua parte eventuale ed aggiuntiva, erogata al ricorrere di alcune condizioni.
Oggetto della fondata critica è considerare come condizione dell’erogazione di un premio di incentivazione un evento, la crescita del Pil che non è direttamente influenzata dall’azione dei dirigenti, nè potrebbe, nè dovrebbe esserlo.
L’influenza che il settore pubblico può determinare sul Pil è competenza e responsabilità esclusiva della politica, Governo e Parlamento, con le loro esclusive scelte di politica generale ed economica.
Ad esempio, se il bonus di 80 euro rilancerà in qualche misura il Pil non è, evidentemente, conseguenza in alcun modo ascrivibile all’azione dei dirigenti. Semmai, alcuni dirigenti delle PA possono essere misurati sulla capacità di rendere applicabile la volontà del Governo, sotto forma di istruzioni operative, modulistica e impianto di procedure di pagamento adeguate. L’eventuale ininfluenza della misura sul Pil non è addebitabile alla dirigenza, ma al merito della decisione. Il singolo dirigente, invece, risponde della mancata attuazione della scelta, sempre che sia valutabile e rilevante ai fini del sistema di valutazione.
La questione non riguarda, diversamente da quanto affermato, gli “aumenti degli stipendi” e il possibile legame di ciò alla crescita della produttività.
Per meglio dire: è criterio opportuno e necessario connettere eventuali incrementi contrattuali delle retribuzioni alla produtività, posto che si sappia misurare (cosa che nella PA risulta difficilissima, per ammissione della stessa Corte dei conti).
Ma il premio di produttività della dirigenza non è un incremento stipendiale, perchè elemento accessorio ed eventuale della retribuzione. Nè ha correlazione al lato delle entrate, perchè finanziato con un fondo a destinazione vincolata, nell’ambito dei bilanci degli enti.
Giovanni Callegari
Come ho scritto nel mio commento, sono totalmente d’accordo che legare le remunerazioni agli aumenti della produttività non sia un modo per incentivare la produttività dei manager, esattamente per le ragione che lei adduce. Sono meno d’accordo invece sul resto: nel caso italiano che siano premi o aumenti di stipendi c’è poca differenza perchè le retribuzioni complessive (salari + premi) raramente tendono a diminuire ed inoltre nelle contrattazioni vengono considerate insieme, quindi che lo si chiami stipendio o premio per me è una questione più di semantica che di altro. E legare i salari alla produttività è un modo per renderli sostenibili (sempre con la condizione ceteris paribus), almeno da un punto di vista economico (da un punto di vista contabile non so e, francamente, non mi interessa).
Rimane di base un certo scetticismo mio sulla possibilità in generale di introdurre incentivi nella PA. Nella mia esperienza non li ho mai visti funzionare.
Flavio Natale
In merito all’incentivazione dei dirigenti pubblici avrei qualche idea, in realtà non è una cosa così complicata come la si ritiene. Certo bisogna abbandonare certi schemi mentali che accompagnano l’impiego pubblico in generale, ma i metodi e di metodi ne esistono.
Poi c’è da fare una distinzione non secondaria tra dipendenti della P.A. in senso proprio è dirigenti delle municipalizzate o a vario titolo controllate dallo stato nelle sue miriadi di forme.
Roberto
Che senso ha legare la retribuzione di risultato dei dipendenti pubblici al Pil? Se essa ha una funzione incentivante, deve essere visibilmente collegata ai risultati ottenuti perché altrimenti il tutto avrebbe l’effetto contrario. Infatti, qualsiasi cosa fa il dirigente, la retribuzione di risultato sarebbe legata a fenomeni assolutamente non controllabili. Perché impegnarsi? Diversamente ci dovrebbe essere una misurazione comparativa delle performance nei risultati gestionali con differenziazione del premio.
Simone
E se tutti i dipendenti statali (politici compresi) che prendono uno stipendio superiore a 3000€ pagano una tassa salatissima legata a PIL, Disoccupazione, Borsa, Debito Pubblico, etc.