Il passaggio da graduatorie locali a una unica graduatoria nazionale per l’accesso alla facoltà di medicina ha avuto effetti positivi. Il principale è che il meccanismo premia effettivamente il merito, favorendo gli studenti che ottengono i punteggi più alti al test. La mobilità delle matricole.
RISULTATI DEL TEST PER IL 2013-2014
Si discute molto sull’opportunità di modificare il test di accesso alla facoltà di medicina, giudicato spesso inadeguato per selezionare i nuovi aspiranti medici. Per favorire decisioni ponderate, è utile ragionare sugli esiti dell’ultima riforma dell’ammissione a medicina: a partire dal 2013-14 è stata introdotto la graduatoria nazionale, abbandonando le graduatorie locali. L’esercizio riguarda un numero molto elevato di studenti: nel settembre del 2013, i giovani che hanno sostenuto e consegnato per la correzione il test sono stati più di 68mila, ossia il 12 per cento dei diciannovenni residenti in Italia. Vale quindi la pena di comprendere se il passaggio da graduatorie locali a graduatorie nazionali ha contribuito da un lato a realizzare l’articolo 34 della Costituzione, ossia premiare gli studenti “capaci e meritevoli” a prescindere dal loro luogo di residenza, dall’altro a innalzare il livello medio dei medici del futuro, evitando lo “spreco di capitale umano”, ammesso e non concesso che il punteggio del test sia in grado di misurare effettivamente la qualità di chi desidera iscriversi alla facoltà di medicina. (1)
La tabella 1 riporta gli esiti del test, distinguendo per città (accorpando quindi gli atenei della stessa sede). I risultati riguardano esclusivamente il test: successivamente, l’accesso è stato allargato anche ad altri studenti, cui è stato riconosciuto il bonus maturità. Prima dell’allargamento dovuto al bonus, i posti disponibili al primo anno della laurea unica di medicina nell’anno accademico 2013-14 erano 10.541, concertati fra il ministero e le Regioni e ripartiti fra le diverse sedi. Complessivamente, hanno sostenuto e consegnato il test 68.445 studenti: quindi, per ogni posto disponibile sono stati valutati più di sei candidati. Questo rapporto (che chiamiamo indice di attrazione) non è lo stesso in tutte le sedi: si va da un minimo di 4,0 candidati per ogni posto disponibile a Parma a un massimo di 9,9 a Bari.
Anche la proporzione di candidati che si sono immatricolati varia fra le sedi in modo notevole: questo indicatore – che chiameremo di qualità dei candidati – varia dal 5 per cento del Molise al 24 per cento di Padova, generalmente con valori più elevati al Nord, intermedi al Centro, più bassi al Sud, con qualche eccezione. I due indicatori di attrazione e di qualità dei candidati sono fra loro statisticamente indipendenti, ossia non c’è alcuna relazione fra l’affollamento del test e la qualità degli studenti che lo sostengono.
INDICI DI QUALITÀ
Grazie alla graduatoria nazionale, il rapporto fra numero di candidati che superano il test e numero di posti disponibili non è in ogni sede uguale a uno, come accadeva quando le graduatorie erano su base esclusivamente locale. Chiamiamo questo rapporto indice di qualità generale, perché – come vedremo – il suo valore dipende sia dalla qualità dei candidati sia dall’attrazione esercitata dalla sede. I livelli più alti di questo indicatore si osservano a Milano, Verona e Padova – dove il 60-70 per cento dei promossi è “costretto” a iscriversi in una sede diversa da quella dove ha sostenuto il test – mentre i livelli più bassi si registrano nel Molise e a Siena, dove più del 50 per cento delle matricole di medicina del 2013-14 hanno sostenuto il test in un’altra università.
Tabella 1 – Dati sul test di medicina dell’anno accademico 2013-14
A Posti disponibili
B Studenti che hanno consegnato il test
C Studenti immatricolati
D Studenti immatricolati nella stesse sede dove hanno sostenuto il test
B/A Attrazione: numero di studenti che ha sostenuto il test per ogni posto disponibile
C/B Qualità dei candidati: studenti immatricolati rispetto a quanti hanno consegnato il test (%)
C/A Qualità generale: studenti immatricolati rispetto ai posti disponibili
D/A Autoctoni: proporzione di posti occupati da studenti che hanno sostenuto il test in quella sede (%)
Fonti. Colonna B: http://www.studenti.it/universita/test-numero-chiuso/graduatorie-medicina-2013-i-risultati.php, che riporta dati di provenienza ministeriale. Colonne A, C, D: nostre elaborazioni sulle graduatorie rese accessibili, con username e password, agli studenti che hanno sostenuto il test nel 2013, in cui per tutti gli studenti immatricolati a medicina per l’anno accademico 2013-14 vengono indicate la sede in cui è stato sostenuto il test e la sede di effettiva iscrizione.
L’indicatore di qualità generale non dipende solo – com’è facile intuire – dalla qualità dei candidati (figura 1), ma anche, sia pure in misura più attenuata, dall’attrazione (figura 2). Qualità dei candidati e attrazione spiegano assieme più del 90 per cento della variabilità della qualità generale. In altre parole, le sedi dove gran parte dei posti viene occupato da “stranieri” sono sì quelle dove un’alta proporzione di “autoctoni” viene bocciata al test, ma anche quelle dove il test è meno affollato. Viceversa, i promossi sono di molto superiori ai posti disponibili nelle sedi dove la qualità dei candidati è più elevata, ma anche quelle dove il test è affollatissimo. Vediamo quattro esempi estremi per chiarire questo punto.
A Catania la qualità dei candidati è modesta, ma l’attrazione è fortissima: di conseguenza, l’indicatore di qualità generale è maggiore di uno, tanto che un gruppo consistente di catanesi si è dovuto iscrivere altrove (per lo più a Messina e a Palermo). A Messina, la qualità dei candidati è solo di poco inferiore rispetto a Catania, ma l’indice di attrazione è molto più basso: di conseguenza il 50 per cento dei posti a medicina di Messina è stato occupato da “stranieri”, provenienti per lo più da Catania, ma anche da Roma e da Milano. A Pavia e a Milano l’indice di qualità dei candidati è simile e ben superiore alla media nazionale, tuttavia, a Pavia l’indicatore di qualità generale è più basso, perché l’attrazione è molto inferiore rispetto a Milano. Di conseguenza, una quota maggiore di studenti che hanno sostenuto e superato il test a Milano si è dovuto iscrivere in giro per l’Italia (molti proprio a Pavia), mentre sono pochi i “pavesi” che hanno dovuto iscriversi altrove (in particolare a Parma e Genova, ma solo uno a Milano).
Figura 1 – Relazione statistica fra gli indici di qualità dei candidati e di qualità generale
Figura 2 – Relazione statistica fra gli indici di affollamento e di qualità generale
In generale, si è venuto a determinare un meccanismo di “domanda” e “offerta” di matricole di medicina, dovuto – oltre che alla prossimità geografica – alla combinazione dei due indicatori di attrazione e di qualità dei candidati. Più di 2.400 studenti (quasi un quarto delle matricole totali) hanno dovuto iscriversi in una sede diversa rispetto alla loro prima scelta. La sede alternativa è stata condizionata sia dalle sedi da loro indicate al momento dell’iscrizione al test, sia dalla disponibilità di posti in queste stesse università. Ad esempio, i quasi trecento padovani promossi al test che non hanno trovato posto a Padova, non hanno potuto iscriversi a Verona – la sede più vicina a Padova – anche se molti di loro l’avevano inserita come possibile seconda o terza scelta. Ciò è accaduto perché i veronesi hanno occupato quasi tutti i posti disponibili (vedi l’ultima colonna di tabella 1), grazie al loro elevato indice di qualità complessiva. Le università più “colonizzate” dai padovani sono state – nell’ordine – Ferrara, Roma, Firenze, Siena e Trieste, tutte sedi con l’indice di qualità complessiva inferiore a uno.
I MERITI DELLA GRADUATORIA NAZIONALE
In sintesi, il passaggio dalle graduatorie locali a quelle nazionali ha avuto due conseguenze. In primo luogo, la mobilità degli studenti si è drasticamente innalzata, in direzione di quelle città dove – se la graduatoria fosse stata locale – il punteggio medio al test delle matricole sarebbe stato molto più basso. Queste facoltà di medicina hanno visto modificare la provenienza dei loro studenti: in sette sedi, più del 50 per cento degli studenti hanno sostenuto il test altrove, con il caso limite dell’università del Molise, dove solo 19 delle 78 nuove matricole del 2013-14 hanno sostenuto l’esame a Campobasso.
In secondo luogo, la graduatoria nazionale ha effettivamente premiato il merito, favorendo gli studenti con i migliori punteggi al test, penalizzando quelli con i punteggi peggiori.
Qualche numero può chiarire la portata di questa affermazione: 4.701 nuove matricole del 2013-14 hanno sostenuto il test nelle dieci università con indice di qualità dei candidati maggiore del 20 per cento. Se le graduatorie fossero state rigidamente locali, le nuove matricole provenienti da queste sedi sarebbero state solo 3.492 (ossia pari al numero di posti ivi disponibili). Specularmente, 1.059 nuove matricole del 2013-14 hanno sostenuto il test nelle otto università con l’indice di qualità dei candidati inferiore al 10 per cento. Se le graduatorie fossero state locali, le nuove matricole provenienti da queste sedi sarebbero state 1.739 (ossia pari al numero di posti ivi disponibili). Quindi, a livello nazionale la qualità media delle matricole di medicina è oggi assai più elevata rispetto a quando vigevano le graduatorie locali. In prospettiva, la graduatoria nazionale dovrebbe contribuire anche a innalzare la qualità delle scuole superiori, sulla spinta degli studenti aspiranti medici che vogliono giungere preparati al test di selezione.
Se, come sembra, il sistema di accesso a medicina verrà riformato, crediamo sia opportuno che venga preservata la graduatoria nazionale, perché si è dimostrata essere una notevole spinta verso il prevalere del merito, contribuendo a innalzare la qualità dei laureati in medicina e – in prospettiva – delle scuole secondarie superiori. Sempre che il test, per come è concepito, riesca effettivamente a selezionare i migliori futuri medici. Ma questa è un’altra storia.
È anche opportuno che la riforma del sistema di selezione preservi con attenzione la qualità degli iscritti a medicina. Così come oggi è concepito, il test ha il difetto di contenere forti elementi di aleatorietà, perché a causa dei grandi numeri, per migliaia di persone l’ingresso in graduatoria si gioca sulla risposta più o meno esatta a una o due domande, oppure sulla scelta fra risposta casuale e non risposta, perché con l’attuale meccanismo dei punteggi una risposta sbagliata penalizza maggiormente rispetto a una mancata risposta. D’altro canto, per come è oggi attuato, il test ha il vantaggio di non fabbricare illusioni e di non far perdere tempo ai giovani, perché chi non rientra fra i 10mila ammessi può immediatamente intraprendere un altro percorso universitario. La soluzione “alla francese” (iscrizione libera e selezione durante e alla fine del primo anno di corso), indicata come possibile dal ministro Giannini, potrebbe forse funzionare, ma sarebbe difficilissima da attuare se al primo anno si iscrivessero anche solo 30-40mila (per non parlare di 60mila) aspiranti medici, tra i quali selezionare i 10 mila “eletti” cui permettere l’iscrizione al secondo anno. Forse è possibile pensare a soluzioni intermedie: in ogni caso, bisognerà ponderare bene le scelte, per evitare di buttare il bambino (la selezione secondo il merito, anche se determinato in modo controverso) con l’acqua sporca (l’eccessiva aleatorietà dell’attuale test).
(1) All’atto di iscrizione, il candidato esprime una graduatoria delle sedi di sua preferenza, fermo restando che quella in cui sostiene il test è la sua prima scelta. Il test stabilisce la graduatoria nazionale. Più elevato è il punteggio conseguito, più alte sono le possibilità di potersi immatricolare nella sede di prima, seconda, terza scelta e così via. Il meccanismo dipende sia da quante sedi un candidato indica, sia da quali. Ad esempio, se un candidato di Padova al di sotto della soglia per entrare nei 456 posti di quella università, ha indicato come seconda scelta Verona, può entrare a Verona se il suo punteggio è superiore alla soglia per i 206 posti di Verona, scalzando anche i candidati che lì hanno sostenuto il test, ma hanno ottenuto un punteggio inferiore al suo. Senza entrare in ulteriori dettagli, ribadiamo che si tratta di un meccanismo fortemente meritocratico. Elemento aggiuntivo, per i candidati che non riescono ad accedere alla prima scelta, è la disponibilità a spostarsi, che si concretizza sia nell’indicazione delle sedi preferite, sia nell’eventuale accettazione di una sede diversa rispetto a quella dove si è sostenuto il test. Va inoltre specificato che non tutti gli studenti che passano il test si immatricolano, anche nella sede di prima scelta. Tuttavia, è molto più comune il caso di candidati che rinunciano a immatricolarsi perché assegnati a sedi considerate come disagiate o poco attrattive. L’opportunità di passare da graduatorie locali a graduatorie nazionali è stata più volte invocata in queste pagine: vedi “Quel test è uno specchio della scuola italiana” di Gianpiero Dalla Zuanna; “Medicina, un test da rifare” di Pietro Garibaldi; “Quanto capitale umano stiamo sprecando?” di Barbara Biasi e Tito Boeri.
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IlGranchio
Ma la soluzione alla francese presenta indubbi vantaggi e pochissimi svantaggi ed è sicuramente valutata positivamente da molti elettori. Gli studenti sono contenti perché pensano di avere più possibilità. Le università forse temono l’impatto, ma ad un aumento (in pratica quasi un raddoppio) degli studenti deve corrispondere un aumento delle risorse e dei professori. Gli unici che dovrebbero lamentarsi, i cittadini che pagherebbero l’avventura e che sovvenzionano pesantemente la formazione dei futuri medici, pensano che la modifica non li riguardi e quindi non ci sarebbero effetti negativi per il consenso intorno al ministro.
giovanni
Non credo che la soluzione francese sia l’ideale. Se tutti quelli che oggi si presentano ai test si iscrivessero a Medicina si avrebbe non un raddoppio, ma una sestuplicazione degli iscritti, con un impatto letale sulle facoltà. Non credo sia una buona cosa far intraprendere un percorso a tanti ragazzi e buttarne fuori, umiliandoli, la maggior parte dopo un anno, con spreco di tempo e di denaro. Sostituire un test anonimo con prove non oggettive come i classici esami lascerebbe campo libero a raccomandazioni e favoritismi (siamo in Italia!). Oggi la maggior parte degli studenti di medicina si laurea in tempo, diversamente dalle altre facoltà: penso che sia una prova che la selezione è utile.
Amegighi
Lei dice che le Università forse temono l’impatto, ma ad un aumento degli studenti deve corrispondere un aumento delle risorse e dei professori. Purtroppo questo appartiene alla sfera del “vorrei ma non posso”. Le risorse sono progressivamente calate e di molto a partire dai tempi in cui bisognava tirare la cinghia per entrare nell’euro (vedi tagli progressivi nel corso degli anni). I Professori sono in caduta libera come numero sia per il budget universitario ridotto, sia per la Legge Tremonti (solo 1 posto su tre andati in pensione viene rimesso in ruolo), sia per l’arrivo alla pensione dell’onda dei reclutati intorno agli anni 70-80 (fuoriuscita in pensione a cavallo del 2015).
Ne deriva che gli studenti in più dovrebbero essere “valutati” in un primo anno già notoriamente carente di docenti (i cosiddetti pre-clinici, sempre stati in numero appena sufficiente) e ora ancor più, in aule carenti come accoglienza, in laboratori “impossibili” da effettuare (normalmente un buon laboratorio non dovrebbe superare i 20-30 studenti max). E alla fine dire loro che hanno perso un anno per niente ? Francamente umiliante. Condivido il parere di Giovanni.
IlGranchio
Mi scuso per i toni dell’intervento, più che un intervento era uno sfogo che voleva sottolineare come apparentemente la ricerca di facile consenso sia (quasi solo) l’unico obiettivo di proposte che dal punto di vista pratico appaiono molto superficiali e forse controproducenti. Grazie agli autori per l’articolo. La strada giusta sarebbe sicuramente migliorare la qualità dei test e renderli ancora più adatti a selezionare futuri medici, non cambiare l’architettura del sistema.
AmericanSkin
“Sempre che il test, per come è concepito, riesca effettivamente a selezionare i migliori futuri medici. Ma questa è un’altra storia.”
Sgombriamo il campo da possibili accuse di bias: ho superato il test ed ho potuto immatricolarmi presso l’ateneo di prima scelta. Tuttavia la frase citata descrive un problema fondamentale, poi sviluppato nel paragrafo successivo: l’aleatorietà del test. Le statistiche contenute in questo articolo sono di certo interessanti ed ineccepibili, ma parlare di qualità delle matricole in relazione a questi dati mi sembra un passo troppo lungo. Questo test definisce e misura la quantità di conoscenze necessarie a poter sostenere in modo proficuo gli esami del primo anno del Corso di Laurea (i quali vertono in massima parte su materie scientifiche di ambito biologico, chimico e fisico). Non sempre, però, sono misurate:
1) né la qualità di queste conoscenze (ad esempio quanto esse siano interconnesse e messe in relazione dall’individuo, e non apprese invece a compartimenti stagni);
2) né la presenza, nel candidato, di competenze ed attitudini a garanzia di un prosieguo proficuo e completo della formazione e (ma un test simile è forse utopico) dell’esercizio professionale.
Se devo spezzare una lancia a favore di questo test, di certo una abilità la richiede, in modo implicito ma piuttosto evidente durante lo svolgimento dello stesso: la capacità di saper scegliere, in poco tempo, la strada migliore tra la non risposta (0 pt) o una risposta della quale non si è certi (se non corretta: – 0.4 pt, se corretta: + 1.5 pt). Tale abilità è di indubbia e concreta utilità nell’esercizio della professione medica, ma, mi pare evidente, non è la sola. Come posso dire quali siano le abilità necessarie all’esercizio della professione medica senza averla praticata? Prima di iscrivermi al test ho prestato servizio come praticante in due reparti ospedalieri e presso un servizio di soccorso sanitario pre-ospedaliero, ed ho iniziato a capire cosa sia necessario sapere e come sia necessario essere per definirsi un buon medico. Sulla base di questo, ho visto candidati motivati, preparati e diligenti restare fuori dalla graduatoria nazionale per non aver saputo chi fosse Noam Chomsky, mentre ho visto immatricolarsi individui di ben dubbie qualità, del tutto all’oscuro di cosa sia la medicina, immaturi in modo preoccupante, ma benedetti dall’aver saputo quelle due o tre nozioni in più di fisica o medicina. Io mi sono salvato grazie ad una solida preparazione in chimica (nonostante ritenessi ben superiore quella in biologia le domande per questo argomento erano sibilline ed in qualche caso pressoché incomprensibili) e ad una buona abilità di lettura e comprensione dei testi, ma se guardo alcuni miei futuri compagni e li paragono agli esclusi il panorama è piuttosto desolante. Inoltre in tutto il – lodevole, certo – discorso meritocratico, si dimentica un fatto fondamentale: la mobilità è positiva, ma è costosa.
Siamo sicuri di non aver tarpato le ali a candidati di buona qualità i quali però non avrebbero mai potuto permettersi il trasferimento fuori sede? Esistono sovvenzioni statali per chi, meritevole di un posto a medicina, è costretto a trasferirsi per poterlo occupare? Sono esse illustrate e accessibili per i candidati, i quali, dubbiosi sulla possibilità di riuscire a mantenersi fuori sede, escludono a priori la scelta di atenei lontani? Ciò detto, sono totalmente contrario ad un sistema francese. Le infrastrutture traballano già per i numeri odierni: lo scorso anno hanno concorso 84.000 persone (delle quali poi sono entrate in graduatoria soltanto le 68.445 citate nell’articolo): è del tutto folle pensare di poterne accogliere anche solo il doppio (quindi 18/20.000) rispetto alle attuali. Già soltanto per questo motivo, anziché cambiare introdurre il sistema francese, andrebbe rivisto lo schema attuale di sbarramento in entrata: va reso più comprensivo, meno aleatorio e più equilibrato.
Amegighi
Nessuno che propone l’abolizione del valore legale del titolo di Laurea. Se non sbaglio si può anche esercitare liberamente in regime di libera professione. Non vedo quindi il motivo che lo Stato, assieme alle Regioni, debba decidere sul numero totale dei medici. Si limitino a decidere sul numero di medici necessari al servizio sanitario nazionale. L’abolizione del valore legale del titolo di studio, invece, ridarebbe invece il valore reale e corretto all’Esame di Stato (come negli Usa, ad esempio), unico esame che certifica l’abilitazione alla professione. Inoltre metterebbe in concorrenza le Università, libere di scegliere quanti studenti preparare in base alle proprie risorse e libere anche di selezionare nel modo migliore i propri studenti. Infine, finalmente, verrebbe valutato il merito di aver studiato ed essersi laureato in un’Università prestigiosa e dura.
L.L.
Bisogna considerare alcune cose:
1. La grande maggioranza dei medici italiani lavora per il sistema sanitario, quindi non ha senso pensare che una quota di medici maggiore di quelli al servizio del SSN possa essere assorbita dalla sanità privata.
2. Chi lavora in regime di libera professione ha comunque bisogno di essere abilitato tramite esame di stato, che è conditio sine qua non per esercitare la professione e essere iscritti all’albo.
3. La limitazione del numero delle matricole consente una formazione migliore delle stesse, non disponendo lo Stato di fondi infiniti per garantire gli attuali standard (elevati, checchè se ne possa pensare) a un numero di studenti che potrebbe moltiplicarsi per otto se fosse abolito il test.
4. Purtroppo il numero chiuso prevede che vi siano degli esclusi, i quali ovviamente non possono essere che delusi dal proprio insuccesso. Meglio tuttavia non passsare il test a 18/19 anni che ritrovarsi disoccupati a 25/26, avendo perso sei o più anni di vita per imparare un mestiere che non si potrà esercitare
Locatelli Luca, laureando in medicina
Mister X
Opinione di uno studente laureando in Medicina.
Alla fine, la dura verità cui dobbiamo guardare in faccia, è che i posti sono limitati (giustamente). Penso che la delusione di chi non passa il test sia uguale a quella di chi viene messo alla porta dopo un anno di studi (anzi quest’ultimo ha anche la beffa di aver perso un anno che avrebbe potuto impiegare per qualcos’altro). Inoltre, il test è brutale, ma giusto: chiunque corre alla pari e alla fine passa il migliore. Se ci basassimo ad esempio sui voti presi durante il primo anno di studi inizieremmo ad avere il figlio del primario, del commendatore, dell’ambasciatore che prende tutti 30 e lode (strano) dai professori amici di papà e il figlio dell’operaio che torna a casa. Il test è lo strumento adeguato, al massimo si può affinare: aumentiamo il numero delle domande, formuliamole meglio, cambiamone la tipologia (meno nozioni più ragionamento).
Anche se il consenso politico è basso fare scelte popolari ma sbagliate non è giustificabile.
Barbara Ballaira
Avevo letto con piacere il testo del prof. Dalla Zuanna e pur avendo un figlio di Torino che l’anno scorso si è immatricolato alla facoltà di medicina dell’ Università di Palermo, sede staccata di Caltanissetta, tutto sommato mi ero trovata d’accordo nel pensare che la graduatoria nazionale basata sul risultato al test, più che il modello francese, magari con miglioramenti nella composizione del test stesso e nella valutazione delle risposte, fosse la soluzione giusta, anche se un po’ classista visto che la mobilità nazionale implica anche la disponibilità economica per sostenere lo studente a 1600 km di distanza.
Stamattina però aprendo la Repubblica di Torino mi sono veramente stupefatta.
220 ricorrenti di Torino ammessi con riserva al primo anno a prescindere dal punteggio.
Se l’anno passato, o quest’anno, dopo che mio figlio non era entrato a Torino, avessimo seguito la strada del ricorso a quest’ora avremmo un figlio che frequenta l’Università a Torino.
Il ragazzo, sulla base di un’etica della nostra famiglia che sono orgogliosa di avergli trasmesso, ci dichiarò di volere solo entrare grazie al suo punteggio e non alla solita scappatoia all’italiana sostenendo che i ricorsisti “sono dei poveretti che nella vita partiranno da un fallimento”.
Sono orgogliosa di lui e di questa scelta, di come sta maturando lontano da casa, ma mi chiedo in che tipo di paese lo sto crescendo.