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Tasi e Imu nelle giuste dosi

Si possono dare tre interpretazioni al dispositivo di legge che permette ai comuni di aumentare fino allo 0,8 per mille la somma di Tasi e Imu. Una favorirebbe gli inquilini, una seconda è la soluzione più lineare, mentre la terza peserebbe sulle casse comunali. Quali saranno le scelte dei comuni?

UN RIEPILOGO SULLA TASI

La conversione in legge del decreto 6 marzo 2014 n. 16, “Disposizioni urgenti in materia di finanza locale” mette un punto fermo, almeno per ora, sulla Tasi, la tassa per il finanziamento dei servizi pubblici a domanda non individuale, che sostituisce l’Imu, in misura totale sulla prima casa e parziale (forse) sugli altri immobili. Sorge, però, qualche dubbio interpretativo, la cui soluzione in una direzione o in altra può avere conseguenze rilevanti sia per i contribuenti che per i comuni.
La Legge di stabilità per il 2014 (n. 147/2013) ha introdotto l’imposta unica comunale (Iuc), composta dall’Imu, applicata su tutti gli immobili con destinazione diversa da abitazione principale (che resta a carico del proprietario); dalla Tari, in sostituzione della tassa per la raccolta e smaltimento dei rifiuti (a carico dell’utilizzatore degli immobili); dalla Tasi, acronimo di tassa sui servizi indivisibili, pagata sia dal possessore che dal proprietario dell’immobile.
La Legge di stabilità ha posto ai sindaci alcuni vincoli per l’applicazione della Tasi: a) l’aliquota base è dell’1 per mille, ma il comune può deliberarne l’azzeramento con il regolamento di disciplina delle proprie entrate tributarie, mentre quella massima, per il 2014, non può superare il 2,5 per cento (commi 676 e 677, articolo 1); b) una percentuale oscillante tra il 10 e il 30 per cento dell’ammontare dell’imposta deve essere pagata dall’utilizzatore dell’immobile (comma 681); c) “la somma delle aliquote della Tasi e dell’Imu per ciascuna tipologia di immobile, non sia superiore all’aliquota massima consentita dalla legge statale per l’Imu al 31 dicembre 2013, fissata al 10,6 per cento e alle altre minori aliquote, in relazione alle diverse tipologie di immobili” (comma 677).
Fermi restando questi criteri, con l’articolo 1 del decreto legge 16/2014, è stato stabilito che, per il 2014, “nella determinazione delle aliquote Tasi possono essere superati i limiti stabiliti [10,6 per mille Imu+Tasi, 2,5 per mille Tasi], per un ammontare complessivamente non superiore allo 0,8 per mille a condizione che siano finanziate, relativamente alle abitazioni principali e alle unità immobiliari a esse equiparate (…) detrazioni d’imposta o altre misure”. Pertanto, la Tasi sulle abitazioni principali può raggiungere il 3,3 per mille, e, sugli altri immobili, la somma di Imu+Tasi l’11,4 per mille.

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“COMPLESSIVAMENTE” IN TRE INTERPRETAZIONI

Il primo dubbio riguarda l’interpretazione da dare all’avverbio “complessivamente” posto come limite per l’aumento dello 0,8 per mille. Ne sono possibili tre.
La prima, quella che sembra più aderente al testo della norma, consente a ogni comune di dividere lo 0,8 tra Imu e Tasi. Nel caso dell’abitazione principale, l’aliquota aggiuntiva può riguardare, ovviamente, solo la Tasi, ma, nel caso degli altri immobili, il comune può discrezionalmente decidere come distribuire lo 0,8 tra le due imposte. Poiché la loro base imponibile è la stessa, in qualunque modo lo 0,8 venga distribuito, il gettito per il comune resta lo stesso. Cambia, però, la proporzione in cui si ripartisce tra i proprietari degli immobili e gli utilizzatori: se il comune vuole favorire questi ultimi, aumenterà la sola Imu di tutta l’aliquota aggiuntiva possibile.
Un’altra interpretazione, rispettosa della finalità della norma, permette di aumentare l’aliquota della sola Tasi fino a un massimo dello 0,8 per mille. È la più semplice e lineare.
È stata prospettata anche una terza interpretazione, secondo cui i comuni non possono aumentare dello 0,8 per mille tutte le aliquote della diverse tipologie di immobili, ma devono “frantumare” questo 0,8 per mille in tanti pezzettini, e sommarne ognuno all’aliquota delle specifiche tipologie di immobili scelte dai sindaci; ogni comune decide quanti pezzettini fare e i tipi di immobili ai quali applicarli. Per semplificare: se l’aliquota massima della Tasi del 2,5 per mille sulle abitazioni principali viene aumentata dello 0,3 per mille e l’aliquota Imu+Tasi sulle abitazioni in locazione dello 0,4 per mille, l’aumento su una terza tipologia di immobili non potrebbe superare lo 0,1 per mille; la composizione può cambiare, ma la somma dei diversi pezzettini non deve superare lo 0,8 per mille.
Per l’insieme dei contribuenti questa interpretazione è la più favorevole. Se il comune applicasse tutto la 0,8 per mille su una sola tipologia di immobili, i contribuenti di tutte le altre tipologie non sarebbero toccati da nessun aumento; se lo 0,8 per mille fosse spezzettato e distribuito su tutte le tipologie di immobili, tutti i contribuenti pagherebbero un aggravio d’imposta, ma inferiore a quello che avrebbero pagato se le diverse tipologie di immobili fossero tutte tassate con lo 0,8 per mille in più.
In questa ipotesi, la gestione, anche politica, della tassa diventa meno flessibile e più complicata. Inoltre, per le casse dei comuni è l’interpretazione meno favorevole: in qualunque modo decidano di distribuire lo 0,8 per mille, il gettito è inferiore rispetto a quello che si otterrebbe con le due interpretazioni alternative; con la conseguenza che i sindaci avrebbero meno risorse con cui finanziare le detrazioni d’imposta e le altre agevolazioni a favore delle categorie di proprietari di abitazioni principali da essi individuate.
Se l’Agenzia delle entrate adottasse questa interpretazione, è possibile che i comuni decidano, a prescindere dalle aliquote Imu+Tasi applicate alle diverse tipologie di immobili, di tassare con l’aliquota aggiuntiva della Tasi la tipologia di immobili da cui possono ricavare il maggior gettito. Nulla garantisce che sia la scelta più equa.

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IMU SENZA TASI

L’altro punto di rilievo politico e sociale, che non incide sul gettito dei comuni, riguarda l’interpretazione del punto c). Da quella norma si ricava che, per il 2014, il vincolo secondo cui, sugli immobili diversi da prima abitazione, la somma delle aliquote di Imu+Tasi non deve superare l’aliquota Imu al 31/12/2013, può ritenersi soddisfatto anche azzerando l’aliquota Tasi sugli immobili diversi dalle prime case. Per semplificare, la norma è rispettata se: Imu 2013=10,6 e, nel 2014, Imu=10,6 + Tasi=0.
L’azzeramento della Tasi ha, però, ha implicazioni rilevanti sia per la natura dell’imposta Imu+Tasi che per la distribuzione del suo gettito. In questo caso, non saremmo più in presenza di un’imposta in parte patrimoniale e in parte service tax, ma di un ritorno alla sola Imu, che perciò ricade solo sul proprietario dell’immobile, esentando completamente il suo utilizzatore.
Per i sindaci (soprattutto per quelli di prima elezione) che non avessero necessità di incrementare la service tax dello 0,8 per mille (o di parte di esso), l’azzeramento della Tasi potrebbe rivelarsi un’opzione politicamente interessante: la applicano solo all’abitazione principale e per il resto si tengono le aliquote Imu del 2013, evitando così anche di avviare una negoziazione con i sindacati (non obbligatoria, ma forse difficile da evitare) sulla percentuale da far pagare agli inquilini.

 

(1) http://www.anci.emilia-romagna.it/Aree-Tematiche/Politiche-di-Bilancio-e-Tributarie-Finanza-Locale/Le-novita/Nota-di-lettura-su-TASI-e-decreto-legge-n.-16-2014; Gianni Trovati, “Il nodo degli aumenti sulle prime case”, Il Sole-24Ore, 31 marzo 2014.

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  1. citizen

    Refuso: in diversi punti l’aliquota Tasi è espressa in “per cento” anziché in “per mille”.

  2. Enrico

    Certo che sono proprio “ufficio complicazione affari semplici”, secondo me lo fanno apposta

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