La crescita dell’economia italiana è strettamente legata allo sviluppo delle Regioni meridionali e al recupero dei divari territoriali in termini di Pil, occupazione e infrastrutture. Il Quadro strategico nazionale del 2007 prevedeva una politica regionale di sviluppo destinata in modo specifico ai territori con squilibri economici e sociali. Poi è scoppiata la crisi. E per il Sud si sono ridotte non solo le risorse aggiuntive, ma anche quelle ordinarie. Rendendo difficile quell’inversione di tendenza indicata dalle proiezioni programmatiche del governo.

La crescita invocata dell’economia italiana è senza dubbio strettamente legata allo sviluppo delle Regioni meridionali e al recupero dei divari territoriali in termini di Pil, occupazione e infrastrutture. Con un Mezzogiorno a bassi livelli di produzione, anche se il centro-nord crescesse a tassi “europei”, il Pil nazionale rimarrebbe sempre intorno alla sua media degli ultimi dieci anni: poco sopra lo zero (0,2 per cento). (1)

UN QUADRO STRATEGICO DI SVILUPPO

Per accelerare i tassi di crescita delle regioni meridionali, nel 2007, in coincidenza con il ciclo di programmazione dei fondi strutturali 2007-2013, si stabilì di adottare una strategia di sviluppo che, per la prima volta, vedeva confluire nella stessa programmazione tutte le risorse destinate allo sviluppo delle aree “sottoutilizzate”: fondi comunitari, quote di cofinanziamento nazionale e risorse aggiuntive nazionali. (2) In totale, 124,7 miliardi di euro (60,3 di fondi strutturali e 64,4 di Fas), che nei successivi sette anni dovevano finanziare un’unica strategia di sviluppo per il Mezzogiorno, indicata nel Quadro strategico nazionale. (3)
Un documento, questo, nato dal processo partenariale che ha coinvolto comuni, province, Regioni e amministrazioni centrali nella definizione di scelte strategiche, priorità di intervento e modalità attuative della spesa per lo sviluppo. Tale approccio, definito politica regionale unitaria, aveva come “precondizioni per la sua stessa efficacia” l’intenzionalità dell’obiettivo territoriale e l’aggiuntività delle risorse. (4)
In sostanza, a differenza delle politiche ordinarie, che sono di regola orizzontali, la politica regionale di sviluppo sarebbe dovuta risultare destinata specificatamente a quei territori che presentavano squilibri economici e sociali. E per essere efficace, cioè per raggiungere l’obiettivo di ridurre i divari, le risorse impiegate avrebbero avuto carattere di distinzione e aggiuntività rispetto a quelle ordinarie. In base a queste “precondizioni” la ripartizione delle spese in conto capitale della politica regionale unitaria (la spesa aggiuntiva) sarebbe dovuta essere l’85 per cento per il Sud e il 15 per cento per il Centro-Nord, in modo che la quota totale delle spese in conto capitale (ordinarie più aggiuntive) per il Mezzogiorno sul totale nazionale avrebbe dovuto crescere fino al 45 per cento.
Se questo era l’impianto strategico nel 2007, la crisi economica ha modificato tutta l’impostazione finanziaria della politica regionale unitaria. La figura 1, che riporta la percentuale di spesa in conto capitale nelle Regioni meridionali sul totale nazionale, evidenzia come dal 2009 questa strategia sia sostanzialmente compromessa. La quota di spesa in conto capitale per il Sud è diminuita dal 35,4 al 31,2 per cento. In valore assoluto si è passati dai 22,4 miliardi investiti nelle regioni meridionali nel 2009 ai 15,1 miliardi del 2011.

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A ridursi sono state non solo le risorse aggiuntive nazionali (i Fas), utilizzate in chiave anticiclica per altri interventi su tutto il territorio nazionale, ma anche le risorse ordinarie, la cui quota destinata al Mezzogiorno sul totale è passata dal 26,8 per cento del 2009 al 18,8 per cento del 2011 (figura 2), contravvenendo ad una delle “precondizioni” essenziali della politica regionale unitaria. Anche il Rapporto Svimez 2012 sull’economia del Mezzogiorno, presentato a Roma il 26 settembre, sottolinea come negli ultimi anni la strategia complessiva volta al riequilibrio economico, sociale e territoriale delle regioni meridionali sia completamente venuta meno, “essendo le risorse ordinarie un vero e proprio buco nero nello sviluppo del Mezzogiorno”. (5)
In sostanza, come nel precedente ciclo di programmazione, le risorse aggiuntive stanno sostituendo i tagli di quelle ordinarie, compromettendo di fatto l’efficacia della politica regionale unitaria. Ed è, infine, poco verosimile aspettarsi l’inversione di tendenza prevista dalle proiezioni programmatiche del governo (vedi figura 1), legata alla spesa residua dei fondi strutturali. Senza una variazione delle norme sul Patto di stabilità interno, i periodi necessari per la spesa supereranno senza dubbio il 2015.
(1) Nel decennio 2001-2010 l’Italia ha realizzato la peggiore performance produttiva tra tutti i paesi dell’Unione Europea, con un tasso medio annuo di aumento del Pil di appena lo 0,2 per cento, a fronte dell’1,1 per cento rilevato per l’area dell’euro (Uem) – Rapporto annuale Istat 2010, Roma 23 maggio 2011.
(2) Legge 296 del 2006 (Finanziaria 2007), art. 1 commi 863-866.
(3) Previsto formalmente dall’art. 27 del regolamento generale sui Fondi strutturali europei.
(4) Quadro strategico nazionale per la politica regionale di sviluppo 2007-2013, ministero dello Sviluppo economico, Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione, giugno 2007, pag. VII.
(5) Rapporto Svimez 2012 sull’economia del Mezzogiorno, Introduzione e sintesi, pag. 23, Il Mulino 2012.

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