Lavoce.info

Cosa manca nella riforma del Senato

Ultimi ritocchi al progetto di riforma del Senato, che dovrebbe essere approvata in prima lettura in tempi brevi. Cosa cambia e cosa rimane ancora da chiarire. A partire dalla composizione dell’aula e dalle ricadute sui rapporti tra Stato ed enti territoriali. I riflessi sui vincoli europei.

COME SARÀ IL NUOVO SENATO

Con la presentazione dei venti emendamenti a firma congiunta Roberto Calderoli e Anna Finocchiaro, a meno di soprese dell’ultima ora, il progetto di riforma del Senato dovrebbe avere ora i numeri per essere approvato (in prima lettura) già dalla prossima settimana. Ma di che si tratta esattamente? Il dibattito sui media è stato tutto incentrato sul superamento del bicameralismo perfetto; minore è stata invece l’attenzione sull’altro obiettivo della riforma, il ridisegno delle funzioni e dei rapporti tra governi. Da questo punto di vista, il nuovo testo sembra nel complesso convincente, anche se non mancano punti critici e perplessità.
Prendiamo per esempio il caso della eleggibilità dei senatori, su cui si concentrano gli scontri residui in Parlamento. È chiaro che se il nuovo Senato si occupasse di tutto, non avrebbe senso avere parlamentari di serie A (eletti dai cittadini) e parlamentari di serie B (eletti dai consigli regionali). Se invece come prevede la proposta – si occupa solo delle funzioni svolte dagli enti territoriali, non ha senso che venga eletto direttamente dai cittadini ed è del tutto naturale invece che vi siedano solo rappresentanti di quest’ultimi.
Quali sono dunque le funzioni del nuovo Senato? Tolta la legislazione di rango costituzionale, su cui svolge una funzione di garanzia, mantenendo quindi un ruolo paritario con la Camera, sulla legislazione ordinaria il nuovo Senato ha solo una funzione consultiva. (1) Può esaminare le proposte di legge (se lo richiede un terzo dei senatori), ma il decisore finale è la Camera, che può benissimo non tenere conto dei suoi suggerimenti. Un ruolo importante ha invece sulle leggi che fanno riferimento alle materie sotto il diretto controllo degli enti territoriali; qui l’esame del Senato è obbligatorio e la Camera può discostarsi da quanto lì deciso solo a maggioranza assoluta dei suoi membri.
Si tratta nel complesso di un compromesso accettabile. L’elevata maggioranza necessaria per respingerne la proposta implica che, in condizioni normali, sia di fatto il Senato a decidere sulle materie di attinenza degli enti territoriali. D’altra parte, in condizioni di forte conflitto tra le due camere, la norma garantisce che il decisore finale sia comunque la Camera. Questo è importante perché altrimenti il Senato potrebbe approvare, per fare un esempio, leggi che implichino forti aumenti di spesa, quando poi il responsabile del bilancio è solo la Camera. In ogni caso, l’alternativa qui non è reintrodurre l’eleggibilità diretta dei senatori, ma casomai è quella di ridurre il ruolo del Senato a consultivo anche in queste materie. Senatori eletti, dunque dotati di un forte peso politico, ma non legati a un rapporto fiduciario con il governo, renderebbero davvero ingestibile l’attività del Parlamento. Rendere il Senato solo consultivo è naturalmente possibile, ma allora sarebbe forse meglio abolirlo del tutto, perché finirebbe con l’essere solo un doppione della conferenza Stato-Regioni.

LA COMPOSIZIONE DEL NUOVO SENATO

Sulla composizione del Senato, la proposta è invece più discutibile. Visto che sono le Regioni ad avere il potere legislativo, si capisce poco perché 21 posti dei 100 complessivi siano lasciati ai sindaci (uno per ciascuna Regione, oltretutto eletti dai consiglieri regionali). Tuttavia, in Italia i municipi hanno avuto storicamente un ruolo più importante delle Regioni e la composizione del Senato riflette un riequilibrio dei poteri tra i due livelli di governo che è già in essere. Più preoccupante è il fatto che i 74 senatori residui (5 sono di nomina presidenziale) siano distribuiti in modo da riflettere poco la popolazione, visto che c’è un numero minimo di seggi (tre) attribuito a ciascuna Regione (tranne Molise, Val D’Aosta e le province di Trento e Bolzano, che ne hanno uno ciascuno). Questo significa che le Regioni più popolose avranno pochi seggi in più di quelle più piccole. È vero che è quello che succede normalmente negli stati federali (nel Senato americano ogni stato ha due senatori, indipendentemente dalla popolazione), ma in quei casi accade perché la federazione si è formata come unione di stati sovrani e la rappresentanza uniforme serve appunto a garantire gli interessi degli stati. (2) Il rischio è che in Italia questa allocazione dei seggi conduca a politiche distorte a favore delle Regioni più piccole (come puntualmente succede negli Usa), benché il fatto che il Senato si occupi solo di alcune materie dovrebbe ridurne i pericoli.

Leggi anche:  L’indicazione geografica che piace al consigliere regionale

IL CONTENZIOSO COSTITUZIONALE

Ma perché mai gli enti territoriali dovrebbero avere un ruolo diretto nella formazione delle leggi sulle materie che li riguardano? Soprattutto, per evitare il pasticcio che si è creato con la riforma del Titolo V del 2001 che ha dato competenze legislative concorrenti alle Regioni su un vastissimo ambito di materie, con l’effetto di creare un gigantesco contenzioso di fronte alla Corte Costituzionale. In teoria, nelle funzioni concorrenti, allo Stato spettano i principi generali e alle Regioni la legislazione di dettaglio. Ma siccome nessuno ha mai capito cosa fossero i primi e cosa fossero le seconde, il conflitto di competenze è risultato inevitabile.
Non si tratta di un problema di second’ordine, anche da un punto di vista strettamente economico. La moltiplicazione delle leggi ha generato costi crescenti per la collettività; e l’incertezza su quale legislazione fosse in vigore, se regionale o nazionale, è stata di forte ostacolo all’attività economica. Il fatto che le Regioni stesse siano ora coinvolte nella elaborazione delle leggi che le riguardano, e che l’area delle funzioni loro attribuite venga ridotta, dovrebbe servire a depotenziare il contenzioso costituzionale. Non solo ma, opportunatamente, la nuova Costituzione reintroduce la possibilità dello Stato di legiferare sulle materie non di sua competenza quando è in gioco “l’interesse nazionale”, espressione che può significare tutto o nulla, ma che dovrebbe di nuovo scoraggiare il contenzioso costituzionale, dando automaticamente una preminenza alla legislazione nazionale in caso di conflitto.

I RAPPORTI STATO-REGIONI

E che cosa fanno le nuove Regioni? Intanto, nella nuova costituzione scompare la distinzione tra funzioni concorrenti ed esclusive. Tutte le funzioni sono esclusive o dello Stato o delle Regioni, tuttavia con il correttivo che lo Stato può legiferare anche nelle materie delle Regioni nel caso, appunto, che sia in ballo l’“interesse nazionale”. La nuova costituzione inoltre dimagrisce le funzioni delle Regioni. Molte di quelle improprie (energia, banche, reti infrastrutturali, etc.) ritornano allo Stato mentre rimangono alle Regioni solo quelle più direttamente collegate al territorio (programmazione del territorio, organizzazione dei servizi sanitari e dell’istruzione, reti di trasporto locale, beni culturali, ambiente, eccetera). Restano numerose ambiguità, ma lo sforzo di semplificazione in questo campo è innegabile.
Eccetto che per togliere la parola “province” (come del resto accade ovunque nel nuovo testo costituzionale) la nuova Costituzione non tocca invece l’articolo 119, che descrive i rapporti finanziari tra governi. È un male, perché quell’articolo si è mostrato ingestibile, soprattutto nella parte che disponeva che i trasferimenti agli enti territoriali potessero essere solo di tipo perequativo. Questo ha costretto il legislatore (nei decreti delegati attuativi della legge delega del 2009) a inventarsi compartecipazioni inesistenti a vari tributi regionali o nazionali per garantire comunque i trasferimenti attuali, complicando ulteriormente e inutilmente i rapporti finanziari tra governi.

Leggi anche:  Nuove regole fiscali europee: è pur sempre una riforma*

IL FISCAL COMPACT

Infine, un problema importante che resta aperto è quello del rapporto tra la nuova articolazione dei poteri e i vincoli europei, come introdotti nella nostra legislazione dal nuovo articolo 81 e dalla successiva “legge rafforzata”. Quest’ultima implica per i governi territoriali il mantenimento dell’equilibrio di bilancio, non consentendo cioè il finanziamento con debito neppure degli investimenti. Un bel problema, visto che gli enti territoriali generalmente sono responsabili per oltre due terzi degli investimenti pubblici e visto che a seguito della crisi gli investimenti si sono più che dimezzati. La legge rafforzata lascia comunque un’apertura: il rispetto dell’equilibrio di bilancio è a livello regionale, per tutti gli enti che incidono sul territorio regionale, compresa la Regione stessa. Questo significa che il comune A può accendere un debito nell’anno t per finanziare un investimento, purché un altro comune B sia in surplus nell’anno t e sia disponibile a mettere il suo surplus a disposizione di A. Naturalmente, B sarà disponibile a farlo solo se si aspetta di poter avere indietro il suo surplus (magari con un interesse) da A o da qualche altro comune, qualora dovesse servigli. Nella legge rafforzata l’ente che dovrebbe garantire questi “contratti” tra comuni è la Regione. Ma l’oggettivo indebolimento delle Regioni nel nuovo modello costituzionale insieme al fatto che ancora una volta la finanza locale (cioè la gestione dei trasferimenti agli enti locali) non sia stata attribuita alle Regioni, rende estremamente difficile la possibilità di svolgere questo ruolo. Del resto, la solidarietà orizzontale tra enti è già prevista per legge ordinaria e non ha mai funzionato. Ancora più difficile possa farlo in futuro con la nuova costituzione. (3)

(1) La legislazione di rango costituzionale include naturalmente anche l’articolo 81 sui vincoli di bilancio. Se la Camera propone una revisione del fiscal compact, ha bisogno anche del voto del Senato.
(2) Anche nel Bundesrat tedesco la rappresentanza è distorta a favore dei Länder più piccoli, ma in quel caso nel Senato sono rappresentati gli esecutivi regionali (con vincolo di voto conforme per ciascun senatore appartenente allo stesso Land), non consiglieri di diverso orientamento politico per regione, come nel caso italiano.
(3) Il nuovo testo mostra comprensione del problema quando cita, tra le competenze delle Regioni, quella “di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica”. Tutta da vedere la possibilità che queste intese si possano stipulare, in assenza di un potere regolativo proprio delle regioni nei confronti dei propri enti sub-regionali.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  L’indicazione geografica che piace al consigliere regionale

Precedente

Il Punto

Successivo

Prima di investire, conoscere il territorio

21 commenti

  1. rob

    “È vero che è quello che succede normalmente negli stati federali (nel Senato americano)”. La nostra è una “bufala federalista” non facciamo paragoni assurdi, il Molise ha gli abitanti del Tuscolano di cosa parliamo. “La nuova costituzione inoltre dimagrisce le funzioni delle Regioni. Molte di quelle improprie (energia, banche, reti infrastrutturali, etc.) ritornano allo Stato mentre rimangono alle Regioni solo quelle più direttamente collegate al territorio (programmazione del territorio, organizzazione dei servizi sanitari e dell’istruzione, reti di trasporto locale, beni culturali, ambiente”. Istruzione, sanità ambiente sono cosa locale? Certamente, nel Paese dei cachi come il nostro.

  2. asterix

    Il crepuscolo della democrazia in Italia. Si sta proponendo una modifica della Costituzione per creare un Senato di nominati dai consiglieri regionali e comunali. Cioè gli italiani non voteranno i loro rappresentanti, lo faranno per conto loro gli enti locali. Il Pd ha già la maggioranza per approvare tale riforma, ma gli serve l’alleanza con Berlusconi per raggiungere la maggioranza dei 2/3 delle due Camere per evitare che gli italiani possano essere chiamati con il referendum ad approvare la riforma.
    Gli oppositori interni del Pd (i Mineo, i Chiti) non impediscono che la riforma sia approvata (né potrebbero con i loro numeri) ma con il loro voto contrario possano restituire ai cittadini italiani il diritto di potersi esprimere con referendum sulla riforma della Costituzione. Nello stesso tempo stanno raddoppiando le firme necessarie per presentare un referendum abrogativo delle leggi approvate. Cioè si vuole rendere più difficile l’approvazione di referendum contro il nucleare e contro la privatizzazione dell’acqua pubblica. Lo fanno per ridurre i costi della politica (ma basterebbe allora ridurre i parlamentari della metà di entrambe le camere, da 945 attuali a 472). Da quando la democrazia in Italia è un costo che non possiamo più permetterci?

    • Gigi

      Non credo proprio che il dimezzamento del numero di parlamentari rappresenti una soluzione. Il problema dei nominati è un non-problema (a mio sommesso avviso) e l’articolo ne illustra molto bene i motivi. Perché nominare i senatori se non hanno potere di fiducia al Governo, ne possono legiferare su temi di levatura nazionale quali il bilancio? Perché la loro nomina quali esponenti “territoriali” fatta dal territorio (e da eletti) è sovversiva e antidemocratica? Perché dobbiamo avere questa corta visione temporale e limitarci a dire che oggi il Pd nominerebbe tutti quando fino a poco tempo fa non esisteva nelle regioni del nord? A me “tutto sommato” piace questo minimo comune multiplo che sta venendo fuori (nel senso che è meno peggio dell’attuale bicameralismo che di perfetto ha solo la facoltà di veto delle minoranze, 30 anni di non decisioni su alcunché e un contenzioso costituzionale di cui vergognarsi).

      • asterix

        Se il problema era dare rappresentanza territoriale si potevano prevedere collegi uninominali modello riforma Segni che esprimevano candidati che erano espressione del territorio, oppure riformare il ruolo della Conferenza Stato Regioni. Invece si è scelto una soluzione di compromesso che fa acqua da tutte le parti.. senza spiegare le finalità vere che si vogliono raggiungere.. togliere la possibilità delle regioni di opporsi a scelte del governo su tematiche strategiche: gestione dei rifiuti tossici, collocazione dei depositi di scorie nucleari, futura collocazione delle centrali nucleari (dopo che saranno approvate le nuove regole sul referendum popolare il Governo reintrodurrà la normativa), gli appalrti sulle vie di comunicazioni strategiche (tav) e sulle reti energetiche (TAP)la privatizzazione dell’acqua pubblica.. Secondo voi il Senato degli enti locali cosa sceglierà tra aumentare le imposte comunali o ridurre gli sprechi di spesa pubblica locale ? voglio vedere come sia possibile togliere la competenza in tale materia. .Stiamo creando un mostro che graverà sui cittadini per i prossimi 50 anni e lasciamo solo a 4 senatori di opporsi a tale scempio?

    • rob

      C’è una sola e forse unica condizione per fermare questa deriva. La discesa in piazza non-violenta di facce nuove mai viste. Quelle che non sfasciano le vetrine, non tirano sanpietrini ma mostrano la faccia di chi non è mai sceso perché dedito al proprio lavoro. Facce nuove mai viste. C’è un piccolo ma significativo precedente storico la marcia dei 40 mila in Fiat che mise i sindacati e i loro comportamenti arroganti e distruttivi con le spalle al muro. Con tutto il rispetto qui si viene a paragonare il federalismo Usa con la “barzelletta federalista all’ italiana”.

  3. Candide Voltaire

    Quindi perché anche all’interno del Pd ci sarebbe una “fronda” a favore dell’eleggibilità dei senatori?

  4. Ludovica S.

    Sono doverose, a mio parere, alcune precisazioni . Anzitutto deve essere chiaro che il nuovo Senato, sia nel testo del Governo che in quello dei Relatori, è titolato ad occuparsi di tutto, poichè può richiamare qualunque progetto di legge esaminato dalla Camera, quindi senza alcuna distinzione tra quelli che riguardano o meno funzioni svolte dagli enti territoriali. L’unica diversità è che nel primo caso emette un parere rafforzato. Che senso ha concedere la possibilità di intervenire sull’universo mondo, salvo poi far sì che questi pareri – non vincolanti – siano carta straccia ? Si tratta di una inutile perdita di tempo e risorse. Non era più sensato dimezzare Camera e Senato e ripartire coerentemente le funzioni ? Esempi nel mondo e nei progetti depositati dal 1993 ad oggi ce ne erano a valanga. Si poteva lavorare sul prodotto dei saggi presidenziali e di quelli del Governo Letta. Si è scelta invece una strada nuova e confusa.
    Per la legislazione di rango costituzionale il Senato mantiene effettivamente un ruolo paritario con la Camera, con l’effetto che su di essa potranno influire in maniera decisiva i senatori di nomina presidenziale i quali restano in numero di 5 anche se il numero complessivo dei senatori viene ridotto di oltre due terzi (come se oggi fossero 16 o 17!) . In pratica 100 persone non elette dai cittadini potranno metter mano alla Costituzione. Sembra davvero un passo avanti “decisivo” ? Che senso poi abbiano i senatori presidenziali in un senato territoriale francamente mi sfugge. Per quanto riguarda il fatto che il decisore finale è la Camera, si tratta di soluzione già adottata nei passati progetti di riforma, seppure con sfumature diverse. E’ appena il caso di notare che nei parlamenti bicamerali vi sono, sul punto, soluzioni diverse, per impedire navette infinite. Ma al di là dei tecnicismi, la positiva costituzionalizzazione della legge 400 del 1988 rispetto ai decreti legge rischia di venire vanificata dalla costituzionalizzazione di ciò che finora era rimesso unicamente alla cosiddetta ghigliottina, cioè a fonte regolamentare. Consentire al Governo – in Costituzione – di porre in votazione proposte senza emendamenti a data prefissata equivale a concedere una possibilità di mettere una fiducia mascherata senza passare dal Consiglio dei Ministri.
    E per queste proposte non varranno i vincoli di omogeneità, per cui si tratterà di emendamenti omnibus, che potranno avere un iter spedito tanto quanto i decreti legge e sottratti al vaglio del Capo dello Stato.
    In conclusione il Senato non è un doppione della conferenza Stato-Regioni, perchè quest’ultima ha competenze precise, agisce sugli atti del Governo ( e non della Camera) in modo preventivo, più ampio ed efficace.
    Quanto alla composizione, le province di Trento e Bolzano continueranno a beneficiare di una allocazione dei seggi strabica, ma nel testo dei relatori è stato ridotto da 3 a 2 il numero di senatori minimo per regione.
    Con scelta del tutto illogica non si è dunque previsto che il Senato si occupi di materie regionali, dove avrebbe potuto svolgere quel ruolo di armonizzazione e coordinamento che – specialmente in termini di spesa – è necessario per i vincoli comunitari. Ne’ si è scelto di attribuirgli quel ruolo di collegamento tra UE-Stato ed Autonomie che pure è indispensabile nel quadro della partecipazione all’Unione europea. Invece, rispetto alla proposta iniziale del Governo, è stato ampliato – concessione alla Lega – la competenza legislativa delle regioni leggi e il pasticcio che si è creato con la riforma del Titolo V del 2001 non sembra risolto nel momento in cui la locuzione “disposizioni generali e comuni” fa rientrare dalla finestra la competenza concorrente uscita dalla porta. Così come il riferimento ad “enti di area vasta” non limitato a città metropolitane e unioni di comuni rischia di far resuscitare sotto nuova sigla le province lessicalmente abolite, poichè alle leggi regionali viene demandata l’istituzione di questi nuovi enti. In generale, il diritto comparato – che pure offriva molte soluzioni e modelli – è stato violentato da un testo che rappresenta un patchwork tra modello tedesco, austriaco e francese, il tutto approvato con una fretta ed una approssimazione lessicale che non sembra suscitare alcuna perplessità. Queste, come al solito, emergeranno a danno compiuto. Avevamo l’occasione di superare il nostro malfunzionante bicameralismo e riformare l’intero assetto (oggi squilibrato ed inefficiente) dei rapporti tra Governo e Parlamento. Occasione perduta, ma preoccupa di più la sciatteria e la leggerezza del metodo.

    • rob

      in un Paese serio le Regioni non dovrebbero legiferare per nulla ma solo dare indicazioni su programmi nazionali impostati dal Governo nazionale ( in Val d’ Aosta si accendono i termosifoni prima che in Puglia). In un Paese serio! Negli USA governo federale per eccellenza uno Stato della federazione ( Texas 25 milioni di abitanti – Molise l’equivalente di 4 condomini del Quartiere Tuscolano) per decidere di seminare il grano deve ricevere autorizzazione dallo Stato Centrale la cui agenzia verifica il cereale più richiesto dal mercato

    • Guest

      Condivido in toto le perplessità e I vari dubbi esposti.
      A me pare una via di mezzo tra un modello ”verticalmente integrato” con le ‘defunte (?) province, ed un processo ‘stocastico’ che si sforza di riconciliare le tessere di un puzzle. In breve: caos, o caso. Singolare, che all’esito di un decennale dibattito su ruolo e funzioni del Senato, non si sia neppure riusciti a fare un cut&paste di modelli già esistenti altrove. Eppure, dato il ‘rank’ da emerging nel Gci (world economic forum) in termini di competitività del sistema Paese, pare più che evidente che non è questione di sperimentare (rectius: brevettare) soluzioni inedite, quanto piuttosto di implementare best practice già altrove testate. Approssimazione assoluta. Probabilmente, costituzionalisti e giuristi saranno già in ferie.

    • IlGranchio

      Più che occasione perduta, sembra un ulteriore complicazione e deterioramento dell’architettura istituzionale. La fretta su materie estremamente delicate suona incomprensibile, se non come desiderio di portare a casa modifiche che consolidano la propria posizione di potere prima che un ormai prevedibile ulteriore peggioramento della situazione economica le renda impossibili.

  5. Salvatore

    Molti argomenti interessanti, ma il problema è: il Mose doveva costare 1 miliardo di euro e ad oggi siamo arrivati a 6 miliardi. Sicuro che il primo problema italiano sia la riforma del Senato? E delle leggi contro la corruzione, l’autoriciclaggio, falso in bilancio, etc. ce ne siamo dimenticati?

    • kappaxx

      Benaltrismo all’ennesima potenza.

  6. Zuldazar

    A me questa riforma fa paura. Fa paura perché sparisce di fatto uno strumento, il Senato, composto da personaggi non tanto gli eletti dal popolo ma spesso al di là di interessi di partito. Sparisce uno strumento atto a controllare e visionare le leggi proposte dalla camera. I Sindaci hanno già il loro bel da fare per mandare avanti i comuni perché sovraccaricarli di altro lavoro? Sono estremamente scettico sulla funzionalità di questa riforma. Magari sbaglio ma la mia paura è vedersi personaggi di dubbia utilità per la cosa pubblica arrivare al Senato partendo da un comune a fare niente: in pratica il Senato cosi com’è non serve a niente. E’ come un ente che deve controllare su qualcosa ma non può legiferare su esso. Cioè questa cosa non va bene ma non posso fare nulla per cambiarla. Se il Senato viene snaturato chi vincerà alla Camera con l’Italicum si troverà padre e padrone del Paese per 5 anni. Per me c’è da non dormire la notte.

    • gfza

      Non ho capito: ma perché vuoi una camera dei deputati, eletta magari anche con le preferenze, se poi non ne hai alcuna fiducia al punto che hai bisogno di un doppione senato che sistematicamente ne blocchi o annulli le decisioni, come sempre successo negli ultimi sessantasei anni?

  7. Guest

    In breve- mi correggano se sbaglio – all’esito della riforma in cantiere:
    (i) i Senatori verrebbero nominati dai capigruppo dei Consigli Regionali e dal Presidente della Repubblica
    (ii) i Deputati verrebbero nominati dai segretari dei partiti con le liste bloccate e senza preferenze e con un premio di maggioranza considerevole (un ”ipermaggioritario”, nei fatti)
    ° Tutti i predetti soggetti, quindi, potranno eleggere (rectius: in realtà li nominerebbe il partito di maggioranza relativa che con il premio diventa di maggioranza assoluta):
    a) il Presidente della Repubblica
    b) i giudici della Corte Costituzionale e
    c) i membri del CSM.
    ° Infine il Presidente della Repubblica, nominato dal partito di maggioranza, nominerebbe il Presidente del Consiglio ed i ministri.
    >In parallelo, si portano da 50.000 a 250.000 le firme per presentare una proposta di legge e da 500.000 a 800.000 quelle per indire un referendum abrogativo, che però potrà essere cassato dalla Corte Costituzionale dei nominati non appena
    raggiunte le 400.000 firme .
    E così? Non nutro tutti questi motivi di entusiasmo, pur scrivendo dall’estero.

    • asterix

      Ha perfettamente compreso la riforma.
      Hanno eliminato la possibilità ai cittadini italiani di votare o ridotto in modo sensibile la possibilità di scelta e i già scarsi mezzi di democrazia diretta quali i referendum e le leggi di iniziativa popolare.
      Con la scusa del taglio dei costi della politica sono riusciti in quello che Gelli aveva provato per anni con il Piano Propaganda. Dare il Parlamento in mano alle lobby, ai gruppi mafiosi-politici locali. Passare da una repubblica parlamentare ad un repubblica presidenziale gestita da pochi partiti, che sono comunque espressione della medesima élite, eliminando la rappresentanza delle minoranze a livelli simbolici.
      E tutto questo con la scusa della crisi economica e dell’Europa lo chiede.
      Ha fatto bene ad andare all’estero.

    • gfza

      Visto con lenti strabiche: si

      • Guest

        Esatto, centra – casualmente, evidentemente – il tema
        ( Tanto che ci hanno fatto un articolo: Com’è strabica questa Italia, di D.Marini, su Il Sole 24 Ore. Tra la dissonanza cognitiva, e lo strabismo, per l’esattezza, con fondi di pantalone a perdita d’occhio (à perte de vue, pour l’épistémologie gauche caviar). bonne chance

    • Luca

      Ma come si fa ancora, da parte di persone si suppone informate, a chiedere le preferenze? Le preferenze sono il peggior sistema per
      eleggere i deputati, sono fonte di corruzione, clientelismo e correntismo. Un mostro contro cui non a caso si abbatterono i referendum di inizio anni ’90. Ma si sa che la memoria degli italiani è quella di
      un’ameba e ora tutti a chiedere le preferenze, baluardo della democrazia!

    • henricobourg

      Ottima sintesi, superiore all’analisi di Bordignon. Manca la ciliegina: questa doppia rappresentanza nominata deciderà – a doppia maggioranza qualificata – anche delle revisioni costituzionali, cioè dei loro poteri, delle procedure elettorali, dei controlli giudiziari, delle garanzie dei diritti. Serve un rimedio drastico: l’iniziativa popolare vincolante con referendum in tutte le materie.

  8. kappaxx

    Grazie dell’articolo, finalmente qualcuno che va oltre la diatriba tra senatori eletti e nominati (tra gli eletti abbiamo avuto Cuffaro e tra i nominati Razzi) e si concentra sulle competenze del nuovo senato. Patetico il vittimismo/allarmismo di certi commenti con l’immancabile riferimento al Piano rinascita democratica di Gelli.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén