Credo sia arduo trovare un esperto di politiche industriali che non sia d’accordo sul fatto che, in Italia, il sistema di incentivi alle imprese vada riformato e, relativamente ad alcune tematiche, sicuramente ridimensionato. Seppur in quantità limitata, visto che da tempo non sono ammesse dalle linee guida della UE, vi sono ancora forme di sussidio che riguardano tipologie di investimento che poco hanno a che fare con fallimenti del mercato.
Vi è poi il problema delle sovrapposizioni e duplicazioni di interventi dovute soprattutto all’agire di diversi livelli di governo (la Commissione europea, il governo centrale coi suoi diversi ministeri e, infine, i governi regionali), ma anche alla possibile complementarietà delle politiche (si pensi, ad esempio, al binomio innovazione-tutela dell’ambiente).
Il consenso tra esperti si riduce notevolmente quando si passa alla fase operativa: quali incentivi azzerare del tutto e quali ridimensionare?
UNA QUESTIONE DI METODO
La ricetta proposta dal “Rapporto Giavazzi“, ribadita nell’intervento di Francesco Giavazzi e Fabiano Schivardi su lavoce.info del 6 settembre (“Un taglio ai sussidi per ridurre le tasse“), è la seguente: tagliamo tutti i sussidi che, oltre a riguardare attività che non sono caratterizzate da fallimenti del mercato, non generano addizionalità, vale a dire investimenti aggiuntivi da parte delle imprese agevolate.
La ricetta sarebbe di facile applicazione se esistesse una metodologia consolidata per stabilire quali incentivi stimolano investimenti addizionali e quali no e se vi fosse un’ampia evidenza empirica a sfavore. Giavazzi e Schivardi sostengono che è così quando affermano che “Esiste un corpo consolidato di studi rigorosi che hanno analizzato l’efficacia di molti dei provvedimenti utilizzati e l’evidenza che ne emerge è chiara: gran parte dei trasferimenti alle imprese non generano alcuna addizionalità.”
In realtà, se si guarda al panorama internazionale, i risultati degli studi empirici sono tutt’altro che univoci.
La tabella che segue è tratta dal lavoro di García-Quevedo (2004) Do Public Subsidies Complement Business R&D?, citato anche nel “Rapporto Giavazzi”:
Poco più della metà degli studi effettuati a livello internazionale ha verificato la presenza di addizionalità (complementarity, nella tabella). Un quarto ha concluso che il sussidio ha spiazzato gli investimenti privati (substitutability): ciò significa che le imprese hanno investito in R&S le stesse risorse che avrebbero investito comunque e, in termini brutali “si sono intascate” il sussidio. Infine, circa un quarto degli studi ha prodotto risultati non significativi: ciò potrebbe indicare che l’investimento delle imprese è aumentato quanto il sussidio (non c’è stata addizionalità, ma l’investimento delle imprese è comunque aumentato).
La tabella successiva è tratta da Parsons e Phillips (2007) An Evaluation of the Federal Tax Credit for Scientific Research and Experimental Development, lavoro sempre citato nel “Rapporto Giavazzi”.
Gli studi indicati con il segno + hanno verificato la presenza di addizionalità (sempre nei sussidi o negli investimenti pubblici in R&S), quelli con il segno – la presenza di spiazzamento e, infine, quelli segnalati con 0 non hanno prodotto risultati univoci. È facile verificare che i segni positivi sono largamente dominanti. Anche se si guarda alla più esaustiva (ma lunghissima) tabella 13 prodotta nello stesso lavoro, i risultati confermano grosso modo quelli già evidenziati da García-Quevedo e, quindi, smentiscono l’affermazione di Giavazzi e Schivardi.
LO STUDIO DI BANKITALIA E QUELLA DEL MINISTERO
Ma passiamo all’Italia. A questo riguardo Giavazzi e Schivardi citano i risultati della Banca d’Italia, Indagine 2005 sulle imprese industriali. Questa “domanda alle imprese percettrici di un sussidio agli investimenti cosa avrebbero fatto in mancanza di quel sussidio. Il 74 per cento dichiara che avrebbe fatto esattamente gli stessiinvestimenti. Del restante 26 per cento, il 17 per cento dichiara che l’investimento sarebbe stato comunque fatto, ma in un periodo successivo. Solo il 2 per cento dichiara che l’incentivo ha permesso di intraprendere un investimento che l’impresa non avrebbe potuto sostenere a causa della mancanza di altre fonti di finanziamento. […] il messaggio generale che emerge dall’analisi dei sussidi alle imprese è chiaro: sono in larga parte una voce di spesa improduttiva.”
Relativamente all’Italia esistono parecchi studi che, invece, concludono in modo opposto. Evito di elencarli e mi limito a riportare i risultati di un’indagine effettuata dal ministero dello Sviluppo economico (2008; si veda al termine il riferimento completo), che non viene citata nel “Rapporto Giavazzi”.
Le percentuali di imprese che senza il sussidio o credito d’imposta non avrebbero effettuato l’investimento con lo stesso ammontare sono quasi opposte a quelle precedentemente indicate: con un’unica eccezione (comunque pari al 35 per cento) esse vanno dal 63 a più del 75 per cento.
Con questo non voglio affatto sostenere che i risultati dell’indagine della Banca d’Italia siano “sbagliati” e quelli del ministero dello Sviluppo economico “giusti”: probabilmente, come sempre avviene, le tipologie di incentivo esaminate erano diverse, diversi i campioni di imprese considerate e diverso l’anno (o gli anni) di riferimento. Infine, è possibile che le imprese intervistate dal ministero dello Sviluppo, che in parte o in toto le ha finanziate, abbiano risposto in modo fin troppo accondiscendente. Anche ammettendo che ciò sia avvenuto, è comunque difficile giustificare risultati così discordanti.
Il punto è che, nel campo della valutazione dell’efficacia delle politiche pubbliche, la presenza di risultati ampiamente discordanti non è l’eccezione ma la norma. Sostenere che ciò non si applica al caso degli incentivi alle imprese è scorretto. Proporre ingenti tagli di risorse pubbliche sulla base di risultanze di “un corpo consolidato di studi rigorosi” che non esiste affatto è scorretto.
Riferimenti:
– José García-Quevedo (2004) Do Public Subsidies Complement Business R&D? A Meta-Analysis of the Econometric Evidence, KYKLOS, Vol. 57 – 2004 – Fasc. 1, 87–102
– Ministero dello Sviluppo Economico (2008) Strumenti automatici e valutativi nelle politiche di incentivazione alle imprese: n’analisi basata sui casi degli incentivi alla ricerca e sviluppo (legge 46/1982-FIT) e del credito di imposta per le aree sottoutilizzate (art. 8 legge 388/2000). Documento scaricabile dal sitohttp://www.sviluppoeconomico.gov.it.
– Mark Parsons and Nicholas Phillips (2007) An Evaluation of the Federal Tax Credit for Scientific
Research and Experimental Development, Department of Finance (Canada), Working Paper 2007-08.
LA RISPOSTA DEGLI AUTORI
Francesco Giavazzi e Fabiano Schivardi
L’autore del commento suggerisce che gli studi del ministero dello Sviluppo economico potrebbero essere più attendibili di quelli effettuati dall’ufficio studi della Banca d’Italia. Rischioso affidarsi a studi prodotti da chi amministra un programma.
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