Il Codice delle comunicazioni deve essere approvato in fretta per non incorrere in procedure di infrazione. Le nuove norme muteranno quindi più la forma che la sostanza del sistema delle comunicazioni elettroniche. Restano aperti tutti i problemi legati allo sviluppo della concorrenza, a partire dalle frequenze radio per finire all’accesso e interconnessione fra reti. E il ministero sembra volere mantenere competenze di controllo che l’Europa assegna a autorità più decentrate.

Tra poche settimane verrà approvato il Codice delle comunicazioni, predisposto dal ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri. Il nuovo Codice sostituirà il vecchio Codice postale in vigore dal 1973, ormai inadatto a normare un mercato completamente trasformato dallo sviluppo tecnologico che lo ha investito in questi ultimi anni.. Il Codice recepisce un pacchetto di cinque direttive comunitarie in materia di comunicazioni elettroniche.

Le direttive comunitarie “in pillole”

Il principio-guida della riforma comunitaria è che l’attività regolatoria debba essere meno intrusiva nei mercati ritenuti più competitivi. Secondo le nuove linee, le Autorità nazionali di regolazione (Anr) dovrebbero preoccuparsi di garantire un insieme minimo di servizi disponibile a tutti gli utenti a un prezzo ragionevole e la salvaguardia dei diritti fondamentali dei consumatori. Il nuovo pacchetto nasce dalla constatazione che il recepimento delle precedenti direttive da parte dei singoli Paesi ha generato un mosaico di normative, che di fatto hanno ostacolato lo sviluppo della concorrenza a livello europeo. Inoltre, uno stesso servizio è stato sottoposto a regole diverse solo perché veicolato con differenti tecnologie. L’obiettivo del pacchetto e della Direttiva è stato quindi quello di creare un quadro normativo comune per le reti e i servizi di comunicazione elettronica.

Quale recepimento in Italia?

Un primo “mito” da sfatare riguarda la paternità delle principali novità contenute nel nuovo Codice. I cambiamenti più radicali previsti sulla carta altro non sono che il dovuto recepimento delle normative comunitarie. Al contrario, notiamo una certa resistenza del nostro legislatore ad adottare politiche di promozione della concorrenza. La riprova di questa riluttanza è in primo luogo nei tempi di adozione e di discussione.

È bene ricordare che le direttive sono state pubblicate a inizio 2002, dopo anni di dibattito, e prevedono la loro trasposizione nei Paesi comunitari entro il 24 luglio 2003. Il nostro Paese, quindi, non solo è obbligato a recepirle, ma deve farlo in tempi ormai brevissimi per non incorrere in procedure di infrazione. Di fronte a scadenze vicine, tipicamente capita di fare il minimo necessario (agendo esclusivamente sul lato della forma), poi, per la sostanza, si vedrà.

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I proclami del Governo sull’imminente approvazione del Codice ci sembrano quindi fuori luogo. Va detto, però, che il ministro è in buona compagnia: anche l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha brillato per assenza di proposte o di discussioni che entrassero nel merito dei cambiamenti.

Le competenze dell’Autorità

Le direttive comunitarie prevedono un intervento ex ante solo quando: a) ci sono evidenti distorsioni nel mercato e b) la legislazione antitrust non è sufficiente a correggerle. L’intenzione del quadro normativo europeo è di assicurare un passaggio morbido da Autorità di regolazione ad Autorità antitrust nell’ottica di rendere l’attività di controllo decentrata e meno intrusiva.

Non viene menzionato il passaggio di competenze al ministero, cosa che invece sembra si voglia fare nel nuovo Codice italiano: col generico termine “Autorità”, nell’attuale bozza del Codice, si può intendere, a seconda dei casi, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni o il ministero. Questa estensione non viola le disposizioni comunitarie, ma sicuramente ne stravolge lo spirito. Basti ricordare – come si legge all’articolo 3 della direttiva quadro relativo all’attribuzione dei compiti di regolazione – che alle Anr si deve garantire l’indipendenza e l’autonomia gestionale.

Le autorizzazioni

La direttiva sulle autorizzazioni 2002/20/Ce – il legislatore europeo, dunque, e non quello italiano – prevede che si debba sostituire il vecchio sistema di licenze individuali con uno basato su autorizzazioni generali, valide cioè per tutto il settore delle “comunicazioni elettroniche”. Un caso specifico e rilevante riguarda le frequenze radio. Il principio innovatore, fatti salvi problemi come l’interferenza, è che un operatore possa offrire i servizi che vuole una volta ottenute le frequenze. In questo modo verrebbe eliminata una delle più grosse distorsioni nel mercato delle frequenze che ha tipicamente lasciato a un pianificatore centrale il compito di attribuire porzioni diverse di spettro ai vari usi (televisione, telefonia, usi militari), di fatto comportando allocazioni inefficienti e senza riferimento ai parametri di mercato.

In Italia si consentirà solo il trasferimento di licenze, non un vero e proprio mercato per lo spettro. Il trasferimento delle licenze è certo un buon primo passo, ma assai piccolo rispetto alla creazione di un mercato delle frequenze. In termini di struttura di mercato, tutto rimarrà sostanzialmente come prima: ad esempio, gli operatori mobili potranno rivendere pezzi di licenza tra di loro, ma saranno in buona misura isolati dalla concorrenza di nuovi entranti. Gli orticelli protetti dal pianificatore centrale resteranno inattaccabili.

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L’interconnessione

Infine, alcune osservazioni sul problema dell’accesso e interconnessioni tra reti.

La direttiva sull’accesso e interconnessione (2002/19/Ce) specifica che gli accordi di accesso e/o interconnessione possano essere lasciati alla negoziazione tra le parti. Ciò vale, però, solo se nel mercato rilevante non vi sono operatori con notevole forza di mercato. In questo caso, la normativa comunitaria prevede che la Anr sia obbligata a imporre rimedi, tra cui la fissazione dei prezzi di accesso definiti ex ante.

Una situazione simile non è poi così lontana dalla realtà dei fatti in Italia, dove si ha un mercato fortemente concentrato. Nel nostro Paese, due operatori (Telecom Italia e New Wind) insieme hanno il 90 per cento del mercato al dettaglio in termini di ricavi – fortemente sbilanciato in favore di Telecom Italia.

In questo contesto, lasciare ogni accordo di interconnessione alla negoziazione, con l’Autorità (quale?) come giudice di ultima istanza, ci sembra francamente troppo. Quali interventi adottare se il mercato è lontano da una situazione di competizione efficace? Quali rimedi proporre? A oggi, è un mistero fitto.

Per saperne di più

Carlo Cambini e Tommaso Valletti, Il mercato delle telecomunicazioni, il Mulino (2003).

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