Investimenti in opere civili per favorire il rilancio delleconomia? La loro efficacia è dubbia perché il settore non genera innovazione e non ha grandi ricadute occupazionali. Senza dimenticare che molte delle grandi opere progettate difficilmente potranno sottrarsi ai vincoli di bilancio europei perché sono inutili e non arricchiscono il Paese. E il rischio è che diventino anche infinite, come spesso accade in Italia. Tutti, ma proprio tutti, sembrano d’accordo sulla necessità di investimenti infrastrutturali. Nonostante il 95 per cento di quelli proposti siano opere civili di trasporto (strade, ponti, ferrovie, tunnel), la priorità di questa strategia non è il miglioramento dei collegamenti, ma il rilancio dell’economia. Vediamo, sommariamente, alcune “contro-deduzioni”. Perché non rilanciano l’economia Esistono rilevantissime alternative di strategie di spesa per il rilancio economico. Il ministro Giuliano Urbani è persino troppo timido nel richiedere che una quota delle risorse della Legge obiettivo sia dedicata ai beni artistici e culturali (che generano flussi turistici certi, duraturi e in crescita, data l’unicità del patrimonio italiano). Ma la ricerca, la scuola, ed i settori high-tech in generale sono alternative altrettanto valide. Opere grandi, ma inutili Ciò premesso, consideriamo le opere “per se stesse”. Alcune sono utilissime e urgenti: risolvono problemi di congestione stradale insostenibili, o assicurano collegamenti ferroviari veloci, con più modesta redditività, ma ambientalmente e funzionalmente giustificabili. Due considerazioni finali. Opere di dubbia redditività economica (redditività che non coincide automaticamente con autofinanziabilità, si badi) non dovrebbero comunque poter godere della “golden rule”, cioè sottrarsi ai vincoli di bilancio europei, perché non arricchiscono il Paese. Da qui, un’ulteriore urgenza di stime quantitative rigorose e neutrali per stabilire gerarchie di spesa. In secondo luogo, la tempistica delle opere civili appare molto dilatata nel tempo anche in presenza di grande accelerazioni di spesa: aprire i cantieri ha scarsissimo significato economico, e l’Italia ha una grande tradizione di cantieri aperti per opere “infinite” (si pensi al passante ferroviario di Milano, ma anche ha molte linee dell’Alta Velocità). Il significato anticiclico di un programma di spesa in questo settore appare discutibile anche da questo punto di vista: il problema maggiore non è certo aprire i cantieri come scritto nel “contratto” del presidente del Consiglio, ma chiuderli (cioè finire le opere).
Molte altre opere suscitano forti dubbi, come il Ponte sullo Stretto. Oppure, il Frejus: i francesi manifestano perplessità non solo ideologiche, ma anche basate sulle analisi dei costi e del traffico previsto. Altre tratte autostradali e ferroviarie andrebbero valutate con cura, in un confronto trasparente e “neutrale” fondato su dati quantitativi di costi e benefici. Anche in questo caso esistono strategie alternative di spesa. Per esempio, la gran parte dei traffici e della congestione avviene nelle aree urbane e metropolitane: qui si generano i maggiori costi per le imprese (e per l’ambiente). Perché non pensare almeno a una allocazione di risorse più equilibrata tra “archi” e “nodi” del sistema dei trasporti?
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