Rassegna stampa La crisi dell’IG-Metall Il fatto. Niente di decisivo alla riunione dei vertici della IG Metall dell’8 luglio, in cui si dovevano stabilire le responsabilità e trarre le conseguenze politiche della disfatta di fine giugno, quando dopo quattro settimane di scioperi si è dichiarata chiusa con un fallimento la lotta dei metalmeccanici dei Länder orientali per l’ottenimento della settimana di 35 ore, come è previsto dal 95 nelle imprese occidentali. A dire il vero gli occupati delle acciaierie orientali (8000), che fanno parte dell’IG Metall e hanno partecipato per lo stesso motivo agli scioperi, hanno ottenuto con l’accordo siglato già il 7 giugno con l’AGVS (associazione dei datori di lavoro di categoria) di arrivare gradualmente nel 2009 alla settimana di 35ore, fatta salva una clausola di supervisione, per cui se le condizioni economiche dovessero peggiorare in modo drastico i partner contrattuali faranno slittare di un anno l’accordo. Tale accordo non ha riguardato i metalmeccanici (310000), determinando per la prima volta dallo sciopero in Baviera del 1954 la sconfitta delle loro rivendicazioni. . Punti di vista. La riduzione d’orario, presentata come una questione di equità dopo 13 anni dalla riunificazione, avrebbe portato – secondo IG-Metall – ad una maggiore occupazione, in quanto avrebbe suddiviso la stessa quantità di lavoro su più occupati: la differenza nel costo unitario del lavoro, inferiore del 10% all’est rispetto ai Länder occidentali, avrebbe permesso alle imprese di finanziare il taglio d’orario. Conseguenze. Passando in rassegna i punti importanti emersi dal fallito sciopero, vi è senza dubbio il palese contrasto che si sta consumando all’interno dei vertici sindacali, per la successione di Zwickel. Il presidente uscente, che aveva visto nominare suo malgrado come successore Peters al posto del più gradito Huber (designato come vice per dare rappresentanza alle due anime della IG), ha addossato proprio a Peters il fallimento della lotta sostenendo che questi non aveva in realtà dato le giuste informazioni sullo svolgimento e i rischi dello sciopero né fornito i dati reali sulla situazione economica delle imprese orientali; lo stesso Peters aveva dichiarato di non avere avuto il sostegno da parte della centrale sindacale e da alcuni consigli di fabbrica occidentali. In realtà la lotta che si sta consumando e che lacera il più importante sindacato del mondo (2600000 iscritti), determinando ormai da tempo immobilismo ed emorragia di iscritti, è una sfida fra sindacalisti schierati su posizioni tradizionali che vedono nel sindacato una difesa dei propri iscritti (Peters) e riformatori (Huber) che sarebbero pronti a ripensare a un nuovo ruolo per il sindacato, più attento alle mutate condizioni economiche e sociali. Conclusioni: la riunione dell’8 luglio non ha portato ad una soluzione della leadership nell’IG Metall, per cui non è chiaro se al suo interno riusciranno a convivere grazie alla scelta di un tandem le due anime dei metalmeccanici o se vi sarà la prevalenza di una o dell’altra, tenendo presente che molti della base preferirebbero la figura dura e pura di Peters, mentre fra le élite sindacali (medi e alti funzionari) vi è la propensione a scegliere un riformatore. La questione è dunque in discussione fino alla “giornata sindacale”, in cui vi sarà l’investitura del nuovo presidente dell’IG Metall e che da ottobre potrebbe essere anticipata per risolvere la crisi di leadership che grava sul sindacato. “Sächsische Metaller beschliessen Streik“, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 30.5.2003 “Verhärtete Fronten im Metalltarifstreit“, Faz , 3.6.2003 “Streik in Ostdeutschland gescheitert“, Faz, 28.6.2003 “Eine Chance für die IG Metall“, Berliner Zeitung, 30.6.03 “Aufmarsch der Papiertiger “, Der Spiegel, 23/2003 “IG Metall Flucht oder Neuanfang“, Sueddeutsche Zeitung, 7.7.03 “Chronik eines gescheiterten Streiks“, manager-magazin.de, 8.7.2003 “Hartes Ringen in der IG-Metall-Zentrale “, tagesschau.de, 8.7.03 “Machtkampf in der IG-Metall überdeckt tiefe Krise“, Handesblatt.com, 8.7.03 “Zwickel weist Kritik an seiner Führungsstärke zurück“, Financial Times Deutschland, 9.7.03 “Der Machtkampf geht weiter“, tagesspiegel.de, 9.7.03 “Schily attackiert IG-Metall-Vize Peters“, Sueddeutsche Zeitung, 9.7.03 “SPD und Gewerkschaften: Die Zeiten haben sich geändert“, Faz, 10.7.03 “Das Kabinetts-Stück“, Die Zeit, 28/2003
Per il presidente di Gesamtmetall (associazione dei datori di lavoro della categoria), Martin Kannegiesser, la settimana di 35 ore avrebbe compromesso 20000 posti di lavoro e significato una rinuncia all’unico vantaggio competitivo che le imprese hanno nella localizzazione ad est. I datori di lavoro si sono dunque rifiutati sia di stabilire una data per l’inizio della riduzione d’orario, sia di introdurre gradualmente la settimana di 35 ore. Si è anche proposto di affidare ad economisti indipendenti il raffronto di determinati parametri chiave delle imprese orientali – quali produttività o quota di capitale proprio – con quelli delle imprese occidentali e solo quando vi fosse stato un allineamento pensare ad una riduzione dell’orario.
Dopo un tentativo di accordo vi è stato un progressivo allontanamento delle parti, anche su punti dove in precedenza si era trovato consenso: i datori di lavoro avevano offerto un corridoio contrattuale di 35-40 ore, in cui le imprese potevano decidere sul volume di ore lavorative, a partire dal primo aprile 2005 vi sarebbe poi stata una riduzione da 38 a 37 ore con conseguente aumento della retribuzione oraria del 2,7%, ma nessuna ulteriore riduzione fino al 31 dicembre 2008. L’IG Metall proponeva da parte sua un primo taglio dell’orario a partire dal gennaio 2004 e il raggiungimento delle 35 ore nel 2009, lasciando alle parti aziendali le decisioni in merito alla realizzazione e accettando eccezioni per le imprese in difficoltà. Pur dichiarando di non voler essere coinvolti in questa battaglia sindacale, diversi importanti esponenti politici non hanno mancato di prendere posizione, sottolineando l’isolamento in cui questa battaglia ha portato il sindacato. Lo sciopero è stato considerato con scetticismo dallo stesso cancelliere e il ministro degli Interni Schily ha espresso valutazioni negative sui funzionari che avevano guidato la protesta, così come aveva preso le distanze dal sindacato il presidente SPD della Sassonia Anhalt (uno dei Land coinvolti nello sciopero). Non solo la presidente del gruppo parlamentare Csu-Cdu Angela Merkel, ma anche il ministro dell’economia Wolfgang Clement, sostenuti in questa posizione dal prof. Zimmermann del Diw (uno degli istituti di ricerca economica), hanno dichiarato che sarebbe invece auspicabile seguire l’esempio dell’est e ricorrere a orari di lavoro più lunghi anche all’ovest. Comunque respiro di sollievo sia nella maggioranza che nell’opposizione per la fine di questo sciopero che aveva bloccato la produzione anche in alcune imprese occidentali, fra cui VW e BMW, come conseguenza dell’astensione dal lavoro di imprese dell’indotto orientale.
Un altro punto importante è il rapporto fra contratto collettivo e contratti d’impresa; questo sciopero per le 35 ore ha rappresentato in un certo senso solo un evento di facciata e anche se si fosse risolto positivamente sarebbe stato unicamente una vittoria simbolica: già ora solo 300 delle 3000 imprese metallurgiche fanno parte dell’associazione dei datori di lavoro e di queste secondo uno studio della Otto Brenner Stiftung (fondazione vicina al sindacato) solo la metà si attiene alle 38 ore stabilite contrattualmente, nel resto del settore si lavora più a lungo. D’altra parte vi sono già imprese (non più di una dozzina) che si possono permettere per produttività questo taglio di 3 ore settimanali, per le altre ciò potrebbe significare lo spostamento delle produzioni nella Repubblica ceca, dove i lavoratori dell’auto lavorano per un quinto del salario. Con questo fallimento vi è ora il rischio che venga definitivamente decretata la fine della contrattazione collettiva: possibilità temuta non solo dai sindacati ma anche da una parte dei datori di lavoro che per bocca dello stesso Kannegiesser mettono in guardia da sentimenti di trionfo di fronte a questa sconfitta storica e invitano a ricostruire il quadro contrattuale a cui abbinare clausole di apertura, altrimenti non si farà che portare il conflitto all’interno di ogni impresa. Anche Hundt, presidente della Bundesvereinigung der Deutschen Arbeitgeberverbände (Unione delle associazioni dei datori di lavoro), invita a non erodere ancor di più la contrattazione collettiva cercando di ottenere il taglio dell’orario attraverso contratti aziendali.
Un altro punto che emerge da questa lotta sindacale è la volontà di alcuni politici e rappresentanti dell’economia di riformare nel quadro di una revisione del diritto del lavoro anche le norme riguardanti il diritto di sciopero. Lo stesso Hundt, ma anche il vicecapogruppo della CSU-CDU Friedrich Merz, chiedono una protezione legale della maggioranza, per cui in futuro minoranze di lavoratori non possano più decidere attraverso gli scioperi di bloccare le produzioni. Nelle fabbriche i consensi ottenuti fra gli aventi diritti al voto, ovvero gli iscritti all’IG Metall, erano a seconda dei Länder 78,8-79,94% e quindi superavano la maggioranza prevista per lo sciopero (75%), ma rispetto agli addetti del settore erano meno del 10%.
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