La Conferenza intergovernativa di Roma è alle porte. All’Italia la responsabilità di guidare il processo che porterà all’adozione del nuovo testo di costituzione sulla base del progetto elaborato dalla Convenzione. È bene dunque che la discussione su questi temi sia quanto più ampia e informata possibile. Proponiamo perciò la sintesi di un dibattito tra Marco Buti, Alberto Majocchi, Jean Pisani-Ferry e Guido Tabellini sulla proposta Giscard. (Nella rubrica “Pro e contro” la versione integrale in inglese). Migliora l’efficienza decisionale dell’Unione, ma non la sua capacità di affrontare i grandi problemi europei. Sulla governance economica le critiche più accese.

La Conferenza intergovernativa di Roma di ottobre si avvicina rapidamente. Si tratta di una riunione importante perché la Conferenza dovrà decidere se adottare integralmente, oppure riformare il nuovo testo di costituzione europea presentato dalla Convenzione in giugno.

La posta in gioco è assai elevata; molti sono i Paesi che chiedono modifiche, spesso in direzioni opposte. Come presidente di turno dell’Unione, l’Italia ha una grande responsabilità nel guidare il processo e smussare i conflitti. È dunque opportuno sviluppare al più presto il dibattito sul testo presentato della Convenzione, cosa che lavoce.info ha già iniziato (vedi Micossi e Passarelli) e continuerà a fare nelle prossime settimane.

In quest’ottica, pubblichiamo integralmente la trascrizione di un dibattito sulla Convenzione che si è tenuto presso l’Università Cattolica di Milano . I partecipanti al convegno, oltre che illustri studiosi, sono o sono stati direttamente coinvolti nel decision-making a livello europeo e dunque godono di un punto di vista privilegiato sulla questione. Il dibattito si è tenuto in inglese e è di dimensioni molto ampie per gli standard usuali de lavoce.info. Qui e ne propone una sintesi in italiano.

Un giudizio di massima sulla Convenzione

Il dibattito si è sviluppato attorno ad alcune domande fondamentali. Sulla prima, un giudizio generale sui risultati della Convenzione, le opinioni sono tutte moderatamente positive, seppure con accenti diversi.

Marco Buti  nota che tutte le riforme europee di successo del passato hanno avuto tre caratteristiche in comune: innovazione istituzionale, innovazione politica e un calendario preciso per l’attuazione delle riforme. Le proposte della Convenzione soddisfano il primo requisito e in parte il secondo, ma falliscono il terzo, lasciando imprecisato il momento in cui si dovrebbero adottare le procedure a maggioranza qualificata nelle materie dove ora sussiste l’unanimità.

Alberto Majocchi  distingue nettamente tra due risultati della Convenzione. Sul piano dell’efficienza decisionale, cioè del rendere l’Unione capace di funzionare anche con venticinque membri, il suo giudizio è positivo. È invece nettamente negativo per quel che riguarda la capacità di rendere l’Europa in grado di affrontare le sfide del presente, sulla politica estera e la politica economica. Majocchi vede la soluzione desiderabile in un’iniziativa ulteriore dei sei Paesi fondatori.

Jean Pisani-Ferry vede progressi nella capacità decisionale, per le modifiche proposte nelle regole di voto del Consiglio, e nella democratizzazione delle istituzioni europee, grazie al coinvolgimento dei parlamenti nazionali. Il suo giudizio è invece negativo per quanto riguarda l’allocazione delle competenze tra Unione e Paesi membri.

Guido Tabellini  sottolinea altri due aspetti positivi del testo della Convenzione. La capacità di rispondere a un’esigenza di maggiore integrazione tra i Paesi europei in futuro, senza imporla al presente, e la maggiore “politicizzazione” della Commissione europea, che rende prefigurabile per il futuro un maggior conferimento di poteri a questo organismo.

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Il futuro della Convenzione e la Conferenza intergovernativa

Un aspetto interessante è che tutti gli intervenuti, nonostante i rilievi critici, sono concordi nell’affermare che eventuali modifiche effettuate dalla Conferenza intergovernativa, potranno essere solo peggiorative rispetto al testo attuale.

Pisani-Ferry plaude al fatto che la Convenzione abbia presentato un testo privo di opzioni (lasciare opzioni avrebbe riaperto il dibattito su tutto) e vede rischi sia al momento della contrattazione tra Paesi a Roma che al momento della ratifica , visto che numerosi Paesi prevedono referendum per questa fase.

Con più ottimismo, Tabellini nota che il testo della Convenzione già prevede implicitamente che solo un gruppo dei Paesi membri possa firmare il trattato, e considera questa una possibile minaccia contro i Paesi più euroscettici.

La governance economica

Gli spunti più critici sul lavoro della Convenzione vengono espressi quando si discute delle innovazioni previste (o meglio mancate) sul piano della governance economica dell’Unione. Significativamente tuttavia, questo è anche il campo in cui le opinioni su quello che si sarebbe dovuto fare sono più differenziate.

Buti attribuisce alla relativa “novità” delle istituzioni ereditate da Maastricht l’incapacità della Convenzione di proporre nuove soluzioni. Ritiene che si sarebbe dovuto creare un consiglio Ecofin per i Paesi della zona euro. Inoltre, l’istituzionalizzazione dell’euro-gruppo avrebbe dovuto prevedere la partecipazione, se non la presidenza, della Commissione. I lavori dell’euro-gruppo sono infatti basati su analisi e valutazioni della Commissione.

Pisani-Ferry condivide queste affermazioni, sostenendo che per le specifiche esternalità derivanti dalla partecipazione alla moneta comune avrebbe senso istituzionalizzare un gruppo euro-Ecofin, dando alla Commissione il compito di proteggere gli interessi dei Paesi non membri. Da questo punto di vista, considera un progresso la proposta di attribuire alla Commissione la possibilità di formulare degli early warnings ai Paesi senza l’accordo preventivo del Consiglio.

Majocchi ritiene che l’Unione abbia gli strumenti per perseguire una politica monetaria comune, ma non una politica fiscale comune. E questo è un problema, perché la situazione europea attuale richiederebbe un’azione comune per la crescita, attuando quanto previsto a Lisbona.

Tabellini esprime un giudizio severo sull’attuale assetto istituzionale per la politica monetaria europea, e sull’incapacità della Convenzione di produrre ipotesi migliorative, in particolare in merito all’eccessiva enfasi anti-inflazionistica del Trattato di Maastricht e alle regole decisionali interne alla Banca europea. Al contrario di Majocchi, non crede che vi sia spazio per una politica fiscale comune a livello europeo. Esprime anche perplessità sul ruolo proposto per la Commissione da Buti e Pisani-Ferry, in quanto le regole di Maastricht per il Patto di stabilità restano “stupide” e dare maggior potere alla Commissione per farle rispettare non migliorerebbe la situazione.

Nella replica, Buti nega che il problema sulla politica monetaria sia costituzionale; Il Trattato di Maastricht già attribuisce alla Banca europea gli strumenti per perseguire una propria politica monetaria autonoma. Anche sul patto di Stabilità, ritiene che per quanto i vincoli sul deficit siano arbitrari, sono comunque utili e possono essere intelligentemente applicati dalla Commissione. Il problema è dunque quello di rafforzare l’autorità della Commissione sui Paesi membri.

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Pisani-Ferry condivide questa posizione e nota che i vincoli del patto di Maastricht sono in realtà vincoli sulla Commissione e non sul Consiglio che resta sovrano nell’applicazione delle sanzioni.

Tabellini resta critico; la Commissione non ha sufficiente legittimità politica per poter applicare in modo intelligente, dunque discrezionale, le regole di Maastricht. Casomai, sul piano della politica fiscale, la Convenzione avrebbe potuto prevedere riforme di tipo costituzionale (per esempio, per quanto riguarda la procedure di bilancio) sulla conduzione delle politiche fiscali da parte dei Paesi membri.

Infine, Majocchi solleva il problema delle maggioranze differenziate per i bilanci annuali e pluriennali della Unione, prevedendo soglie di maggioranza più elevate per i bilanci pluriennali, che hanno una valenza quasi costituzionale.

 

Il ruolo della Commissione

Un ultima questione riguarda il ruolo della Commissione europea, cioè se le innovazioni proposte nella Convenzione tendono a rafforzarla o a indebolirla rispetto al Consiglio. Gli intervenuti sono per la maggior parte agnostici..

Buti non crede che sia possibile rispondere alla domanda semplicemente guardando il testo, in quanto le proposte contengono sia aspetti che tendono a rafforzare la Commissione (la maggiore legittimazione del suo presidente e l’estensione del voto di maggioranza nel Consiglio) sia ad indebolirla (la nuova figura di presidente del Consiglio europeo).

Majocchi è più ottimista: le maggiori forze centrifughe derivanti dall’accresciuta eterogeneità dell’Unione, forzeranno comunque i Paesi ad attribuire maggiori poteri alla Commissione.

Pisani-Ferry traccia un interessante parallelo tra la situazione che si verrà a creare in Europa con la Convenzione e l’esperienza francese della coabitazione. In Francia, l’attribuzione effettiva del potere dipende dalla legittimazione popolare e non dalle norme: quando il partito del presidente della Repubblica ha la maggioranza, è il presidente a contare. Viceversa, quando il partito del presidente della Repubblica è minoritario, è il presidente del Consiglio ad avere il potere. Allo stesso modo, e indipendentemente dalle norme, nel confronto con il presidente della Commissione europea, il presidente del Consiglio europeo avrà probabilmente più potere perché deriva la propria legittimità politica dagli Stati e non dal Parlamento europeo come il presidente della Commissione.

Tabellini, al contrario, vede in prospettiva un rafforzamento della Commissione. Le nuove norme le attribuiscono maggiore legittimità politica e è improbabile che il nuovo presidente del Consiglio europeo possa agire da contrappeso, visto che i poteri di quest’ultimo sono limitati e dovrà comunque rappresentare un Consiglio eterogeneo di venticinque membri.

 

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