Il condono edilizio, pilastro della manovra finanziaria, è stato varato. Ma alcune Regioni lo attaccano. Appellandosi a passate decisioni della Corte costituzionale, sottolineano come la sanatoria potrebbe compromettere la propria gestione del territorio. Inoltre, invocano la maggiore autonomia garantita dal Titolo V. Unanalisi della giurisprudenza costituzionale mostra come il conflitto tra i due livelli di governo sia assai incerto negli esiti. Se con l’articolo 32 del Dl n. 269/2003 (il cosiddetto “decretone”) il Governo ha fatto squillare le trombe del condono edilizio, alcune Regioni, in particolare Campania e Toscana, non hanno esitato a suonare le loro campane, opponendosi a una misura che accusano di nuocere all’integrità e allo sviluppo equilibrato del territorio. Da Nicolazzi a Tremonti I condoni edilizi non sono certamente una novità. Sul condono del 2003 pende il severo monito che la Corte costituzionale lanciò proprio nel 1995, quando decise sul ricorso proposto dalla Regione Emilia Romagna. Toscana e Campania, prime “ribelli” Consapevole di questi problemi, il nuovo condono cerca di rendersi presentabile, prestando un formale ossequio alle potestà regionali sul governo del territorio e giustificandosi come una misura ancora una volta eccezionale, motivata da talune riforme legislative recenti: il Testo unico sull’edilizia (Dpr n.380/2001) e il nuovo Titolo V della Costituzione Anche la Campania, in attesa del Piano territoriale regionale e dell’entrata in vigore della riforma urbanistica, ha deciso di opporsi. In questo caso, le contromosse sono addirittura tre: un disegno di legge anti-condono e un ricorso alla Corte, come in Toscana, oltre a una modifica immediata (con atto amministrativo della giunta) delle linee guida per la programmazione territoriale. Uno scontro frontale Secondo l’articolo 117 della Costituzione, in materia edilizia, lo Stato dovrebbe stabilire i principi fondamentali e le Regioni dovrebbero applicarli con loro leggi e regolamenti. Nella sentenza del 1995, la Corte costituzionale affermò, tra l’altro, che l’abusivismo dopo il 1985 era rimasto un fenomeno di massa, anche per la “scarsa (o quasi nulla in talune Regioni) incisività e tempestività dell’azione di controllo degli enti locali e delle Regioni”. Per saperne di più Il “decretone” è in Gu 2.10.2003, n. 229, So n. 157 e in: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/decreti/03269d.htm(pdf) La sentenza della Corte citata è la n. 416/1995 (ma sono interessanti anche la n. 427/1995 e la n. 369/1988 sul Nicolazzi).Tutte le decisioni sono in http://www.giurcost.org> decisioni > cronologica (html) I provvedimenti toscani sono spiegati nei comunicati stampa ufficiali in http://www.regione.toscana.it/primapagina/index.php?CODICE=2686&SOTT_C=147(html) La nuova legge urbanistica toscana (Lr 5.8.2003, n. 43) è in http://www.consiglio.regione.toscana.it/lpbin22/lpext.dll?f=templates&fn=main-hit-h.htm&2.0 I provvedimenti campani sono in http://www.regione.campania.it/burc/pdf03/burc46inf_03/indexburc436nf_03.htm (pdf) La nuova disciplina dei giudizi di legittimità in via principale è in: http://www.cortecostituzionale.it/ita/testinormativi/fontididisciplina/legge_131.asp (html) La Costituzione (cfr. art. 117) è, tra l’altro, in:
La vicenda è molto complessa e vale la pena di ripercorrerla.
Nel lontano 1985 fu approvato il cosiddetto “condono Nicolazzi”. Contemporaneamente era stata varata una disciplina completamente nuova sull’urbanistica e sugli abusi edilizi: il Parlamento deliberò il condono perché serviva a fare tabula rasa delle leggi precedenti, farraginose e desuete e, nel contempo, a chiudere con il passato, consentendo la sanatoria degli illeciti pregressi.
Ma il provvedimento di quest’anno più che al condono Nicolazzi, assomiglia a quello introdotto dalla legge n. 724/1994 (Finanziaria 1995).
Entrambi fanno parte della manovra annuale e sono collegati a esigenze finanziarie, più che di governo del territorio. Entrambi stabiliscono alcuni limiti alle possibilità di sanatoria (massimo di 750 metri cubi sanabili, esclusione per le aree colpite da incendi e per i soggetti colpevoli di taluni delitti, per esempio).
La Corte “promosse” quel condono soltanto per il suo carattere “del tutto eccezionale in relazione anche a ragioni contingenti e straordinarie di natura finanziaria”. Ma avvertì che “ben diversa sarebbe, invece, la situazione in caso di altra reiterazione di una norma del genere, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio”. Perché “la gestione del territorio sulla base di una necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica e o ricorrente possibilità di condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunità”.
E in effetti (forse per una curiosa coincidenza?) il nuovo condono si presenta proprio a nove anni dal precedente e a diciotto da quello anteriore, formando un ciclo quasi esatto.
Adesso, il Parlamento ha sessanta giorni per convertire il “decretone” in legge: nel procedimento di conversione il testo del provvedimento può ancora essere modificato.
Il problema è che diverse Regioni il condono non lo vogliono affatto. Né si accontentano di derogare qua e là il decreto statale.
Alcune Regioni hanno già adottato una nuova legge urbanistica, aggiornata al Tu sull’edilizia e al Titolo V.
Tra queste, c’è la Toscana che, per tale motivo, ha dichiarato che il condono non è assolutamente applicabile nel suo territorio. La giunta regionale toscana ha inoltre approvato un disegno di legge che conferma la disciplina vigente e blocca la sanatoria edilizia. E, per maggior sicurezza, intende impugnare il decreto di condono davanti alla Corte costituzionale.
Entrambe le Regioni vanno di corsa, attraverso gli strumenti normativi, ma anche con la richiesta alla Corte costituzionale di sospensione immediata del condono, in attesa della decisione definitiva, come previsto dalla recente legge La Loggia. Un eventuale annullamento da parte della Corte, ma forse anche una sospensione, in linea di principio, dovrebbe avere effetto su tutto il territorio nazionale.
Ma ora lo scontro è frontale: lo Stato è andato ben oltre i principi, stabilendo nei minimi dettagli la disciplina sul condono. Le Regioni, dal canto loro, ritengono che stia accadendo oggi quello che la Corte già aveva previsto anni addietro, ossia una ennesima, illegittima, reiterazione del condono.
In questo conflitto, si intrecciano leggi e regolamenti. Così come le Regioni hanno impugnato la legge statale, lo Stato ha facoltà di fare altrettanto. Sicché, oltre alle fonti del diritto, potrebbero incrociarsi anche i giudizi della Corte costituzionale, in un groviglio istituzionale con pochi precedenti.
Non è possibile formulare previsioni sugli esiti di questo complicato contenzioso.
Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Bolzano dichiarano di volersi unire a Toscana e Campania. È probabile dunque che per alcuni mesi in molte regioni italiane regni una notevole incertezza sulla questione. Quantomeno, questo potrebbe causare qualche discontinuità nel flusso di entrate che il Governo prevede di ricavare dalla manovra finanziaria per il 2004.
La situazione, però, oggi sembra diversa. Le riforme hanno conferito alle autonomie territoriali poteri più forti e più ampi, molte Regioni hanno fatto dello sviluppo ordinato del territorio un punto fondamentale del proprio programma politico.
Forse sarebbe stato più prudente, per lo Stato, prima di approvare il condono, cercare con serietà un’intesa con gli enti territoriali, che devono essere considerati non più soggetti subordinati o fastidiosi centri di opposizione politica, ma interlocutori necessari nelle decisioni più importanti sullo sviluppo economico e sociale del paese.
Come la Corte ha già ricordato, soprattutto dopo la riforma del 2001, i diversi livelli di Governo dovrebbero cooperare tra loro in uno spirito di leale collaborazione. La fase parlamentare di conversione del “decretone” offre l’occasione per una riflessione più ponderata su questi problemi.
http://www.quirinale.it/costituzione/costituzione.htm
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luca
Forse mi sbaglio, ma a memoria recente mi sembra di aver capito che i 750mq non riguardano un edificio ma un “singolo elemento abitativo “. Ecco come fa a condonare un condominio enorme composto da molti moduli abitativi da 500 mq l’uno (dunque 100 singoli elementi abitativi), potrebbe essere condonato. Giusto o errato ?
La redazione
Egregio lettore,
La ringrazio della lettura e dell’attenzione.
La sua affermazione e’ parzialmente esatta. Il tetto massimo della sanatoria – a seguito della conversione del d.l. n. 269 in l. n. 326/03 – e’ fissato in “750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente
i 3.000 metri cubi” (art. 32.25). Quindi, 750 mc anche per una singola unita’ abitativa, purche’ l’intero edificio non superi 3.000 mc: questo secondo limite e’ stato pero’ introdotto soltanto in sede di conversione del d.l., insieme a qualche altro correttivo. Intanto, come annunciato, alcune Regioni hanno impugnato l’art. 32 (Campania, Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Umbria) ed hanno approvato leggi contro il condono (es.: l. Toscana n. 55/03; l. Friuli-Venezia Giulia n. 22/03):
altre hanno invece dato via libera alla sanatoria, con qualche modifica (es.: l. Puglia 28/03). Con ord. 20.11.2003, n. 27, il TAR di Parma, ha sollevato eccezione di incostituzionalita’ sul medesimo art. 32. Secondo il TAR, il condono e’ “un sistema moralmente discutibile per reperire subito e comunque risorse finanziarie” e “realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi, che si vedono privare di quei beni che anch?essi avrebbero potuto costruire violando le norme, e che… sarebbero costretti… a subire il degrado urbanistico prodotto
dall?illegalità edilizia, riemersa con ostentazione e legalizzata, con rischio che in futuro si producano le condizioni per un ulteriore degrado”.
Michele Massa
Paolo
Pensando all’intervento di Tito Boeri del 30-12-2003 (“L’ottimismo delle regole”) e raccogliendo il suo invito, non posso non pensare e citare un altro esempio di regola modificata ex-post.
La prima pagina del Corriere della Sera del 7 gennaio 2004 titola così: “Maroni: sanatoria sulle pensioni”. Parole del Ministro: “Ci sono pensionati con posizioni IRREGOLARI per somme cui NON avevano diritto? Ci sarà la sanatoria, troveremo le risorse.”
La domanda che mi pongo è la seguente: per quale motivo prima si stabiliscono dei criteri e poi, una volta accertata la loro assenza, si sanano invece di essere “applicati”? Le regole, per essere definite tali, devono essere credibili ex-ante, altrimenti cessano di svolgere il loro ruole e diventano inutili. Povera Italia!
La redazione
Grazie. Sì tratteremo molto molto presto di questo tema.