Il confronto tra la Teoria Generale di Keynes e l’articolo quasi contemporaneo di Modigliani è sufficiente a illustrare il suo impatto sulla macroeconomia moderna. Modigliani è stato il primo a dimostrare che la rigidità relativa di salari e prezzi è al centro del modello keynesiano. E il primo a intuire i dilemmi della politica economica, dato che salari e prezzi sono flessibili nel lungo periodo. Mi accingo a spiegare il contributo di Franco Modigliani alla macroeconomia con una strana sensazione di timidezza: me lo immagino reagire alle mie idee come faceva sempre, con precisione, entusiasmo, e un certo grado di aggressività. Me lo immagino vivisezionare lentamente il breve pezzo che segue, demolirlo e ricostruirlo di fronte al suo autore, fino a quando quest’ultimo, esausto, è fortemente tentato di gettare la spugna e lasciar perdere. Non era facile passare il test dell’approvazione di Franco Modigliani su un qualunque argomento che avesse a che fare con la macroeconomia. Figuriamoci descrivere il suo stesso contributo alla macroeconomia! Il contributo di Modigliani Modigliani ha costruito le fondamenta della macroeconomia moderna attraverso due contributi. Il primo è il modello matematico macroeconomico, che ha dato vita all’analisi macroeconomica quantitativa. Il secondo è lo studio dei dilemmi di politica economica. Per intuire la portata del suo genio, bisogna paragonare due opere quasi contemporanee: “The General Theory of Employment, Interest and Money”, scritta da John Maynard Keynes e pubblicata nel 1936, e “Liquidity Preference and the Theory of Interest and Money” pubblicato da Modigliani su Econometrica nel 1944. La sfida della macroeconomia moderna L’idea ispiratrice della macroeconomia creata da Keynes e Modigliani è che variabili come la disoccupazione, l’ampiezza del ciclo economico, la ripartizione del prodotto nazionale tra consumi, spesa pubblica ed investimenti, sono tutte determinanti del benessere nazionale, sia nel breve che nel lungo termine. Una analisi che ci aiuti a comprendere cosa determini queste variabili, e che permetta di identificare misure di politica economica volte a influenzarle positivamente è la sfida della macroeconomia. Questa sfida è stata raccolta elaborando un metodo semplice e diretto. Il punto di partenza sono le identità contabili, e in particolare l’identità tra reddito nazionale e la somma dei consumi, investimenti e spesa pubblica (a cui corrisponde la identità tra risparmi ed investimenti). Il metodo seguito da Modigliani è di trasformare queste identità (che sono, per definizione, sempre vere) in relazioni funzionali ( assoggettabili a verifica empirica), esprimendo i consumi e gli investimenti come funzioni di altre variabili (in particolare il reddito e il tasso d’interesse). L’ultimo tassello logico riguarda la determinazione del tasso d’interesse. Per questo Modigliani propone una domanda della moneta versione moderna, che mette in relazione l’aggregato monetario appropriato con il reddito (più alto il reddito, più alta la quantità di moneta domandata) e il tasso d’interesse (più alto il tasso d’interesse, minore la domanda di moneta). La grande intuizione di Modigliani è che, perché l’intera costruzione logica funzioni, è necessaria una relativa rigidità dei prezzi. Modigliani per primo ha messo in evidenza la chiave del funzionamento dei modelli macroeconomici keynesiani: la relativa rigidità di prezzi e salari. Ossia del fatto che prezzi e salari, pur rispondendo nel tempo alle pressioni relative di domanda e offerta, non riescono ad assicurare l’istantaneo equilibrio in tutti i mercati, e in particolare nel mercato del lavoro. Sono queste poche e semplici relazioni funzionali ad aver dato origine a un corpo di analisi teorica, misurazioni empiriche, e pratiche di politica economica strabiliante nella dimensione e diffusione su scala globale. Da qui sono nate la politica monetaria e la politica fiscale moderne, ossia basate su modelli sistematici che stabiliscono la relazione tra le decisioni delle autorità monetarie e fiscali e gli aggregati economici importanti. Modelli che possono essere, e sono stati, elaborati e raffinati secondo le necessità dai loro utilizzatori, e che possono essere assoggettati a verifica su dati empirici, per cui le ipotesi su cui si basa la politica economica sono sempre falsificabili da test statistici, svolti con la disciplina del metodo scientifico. Il metodo scientifico è entrato, con Modigliani, nei corridoi dei governi e delle banche centrali, e non ne è più uscito. Più democrazia nelle scelte di politica economica La nuova analisi macroeconomica ha anche contribuito alla democratizzazione delle scelte fiscali e di politica monetaria. Questo perché l’oggettività dell’analisi rappresenta una potente difesa contro le pressioni degli interessi speciali sia sulle banche centrali che sui parlamenti e governi. Nelle democrazie più mature, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, prima di Keynes-Modigliani, la politica monetaria veniva elaborata con un’attenzione forse eccessiva agli interessi della comunità finanziaria. E il dibattito sulla politica fiscale era forse troppo influenzato dai gruppi che direttamente beneficiavano e venivano danneggiati da spesa pubblica o tasse. L’analisi macroeconomica introduceva i concetti di prodotto nazionale, crescita e disoccupazione: concetti assolutamente neutrali rispetto ai diversi gruppi e le diverse industrie, che pur riflettono egregiamente le priorità e l’interesse nazionale. Utilizzare concetti neutrali per guidare le scelte pubbliche significa ribilanciare in senso democratico il processo di formazione delle scelte pubbliche. Ripercorrendo la storia della Banca d’Italia nel secondo dopoguerra è facile scorgere in quell’istituzione l’assoluta coscienza che l’applicazione del metodo di analisi macroeconomica era la miglior salvaguardia dell’oggettività, trasparenza e imparzialità dell’istituzione e delle sue politiche. Esiste anche una dimensione internazionale nell’applicazione del modello macroeconomico à la Modigliani. Istituzioni come l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e il Gruppo dei 7 paesi industriali sono cresciute applicando il metodo prima descritto in un ambito internazionale. Se la nuova analisi macroeconomica ha contribuito alla democratizzazione delle scelte nazionali, in ambito internazionale essa ha contribuito allo sviluppo e pratica della cooperazione, intesa come coordinamento delle politiche. I dilemmi della politica economica Concludo con un accenno al secondo grande contributo di Modigliani, evoluzione naturale del suo primo modello: l’intuizione dei dilemmi fondamentali di politica economica. È stata sviluppata quando Franco ha stabilito la relazione tra il suo modello keynesiano e l’approccio monetarista, inizialmente suo concorrente. L’intuizione origina dall’osservazione che, nel tempo, anche i prezzi e i salari devono aggiustarsi. Questo aggiustamento fa sì che le scelte di politica economica abbiano costi e benefici che cambiano nel tempo. Ad esempio, è inutile aspettarsi che la banca centrale influenzi in maniera duratura l’attività economica con politiche espansive: nel lungo periodo l’espansione monetaria continuata si riflette in maggiore inflazione, e col passare del tempo gli stimoli monetari perdono d’efficacia. Franco Modigliani non ha scritto tutta la macroeconomia, ma la sua influenza intellettuale è riconoscibile anche in molti importanti contributi che hanno raffinato queste idee, e in particolare nel filone che ha collegato il concetto di neutralità della moneta nel lungo periodo con la formazione delle aspettative sull’inflazione da parte delle imprese e dei sindacati. Questa analisi ha messo in evidenza le instabilità dei paesi con alta inflazione, il problema della credibilità nell’azione monetaria, e le sfide della stabilizzazione dell’inflazione. In economia si usa spesso citare una cinica frase di Keynes sull’influenza di idee obsolete ben oltre la vita dei loro padri. Modigliani è morto, ma le sue idee hanno contribuito in maniera permanente al progresso della conoscenza economica e al progresso sociale in molti paesi. Spero non vengano mai dimenticate.
Non c’è dubbio che Modigliani apparteneva a una generazione accademica successiva a Keynes: nel 1944 Franco aveva 26 anni, e quell’articolo era la sua prima pubblicazione scientifica. Keynes ne aveva 61 e il suo intelletto dominava l’economia mondiale, sia nei circoli accademici che in quelli di politica economico-finanziaria. Quello che colpisce è la diversità di questi due testi. Il libro di Keynes, scritto in splendido inglese, è denso e faticoso da leggere. Spesso appare un trattato di filosofia. Contiene pochissime equazioni e fa uso di una notazione matematica piuttosto astrusa. L’articolo di Modigliani, che tratta lo stesso argomento della General Theory, contiene massicce dosi di algebra e di grafici, il linguaggio è magari un po’ inelegante, ma allo stesso tempo semplice e diretto.
Per un economista della mia generazione la General Theory è “difficile” e Modigliani 1944 è “facile”. È evidente che questa sensazione deriva in gran parte dal fatto che la teoria macroeconomica della seconda metà del Novecento è ispirata da lavori come quello di Modigliani. Ma anche un estraneo alla teoria economica, ma familiare con il metodo scientifico, verrebbe colpito dalla snellezza dell’analisi dall’articolo di Modigliani, dall’estrema concisione dei modelli, e dalla loro potenza logica.
Modigliani, in quell’articolo del 1944, aveva una volta per tutte spiegato chiaramente e correttamente come funzionava il modello keynesiano. E quel modello e quell’approccio rimangono a tuttora il modo migliore per spiegare come funziona il mondo.
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