Avviata per introdurre le logiche del mercato e della regolazione incentivante in settori dominati da monopoli, la riforma dei servizi pubblici locali è stata progressivamente svuotata dei contenuti innovativi. Nelle norme recentemente approvate dal Senato non c’è traccia di concorrenza. Ci sono invece contraddizioni e discriminazioni tra operatori che inevitabilmente daranno luogo a un lungo contenzioso. In una incertezza normativa che rafforza il partito dei contrari al processo di liberalizzazione. La riforma dei servizi pubblici locali (Spl) ha percorso, in quattro anni, un piano inclinato. Partita nel 1999 con l’obiettivo di consentire alle logiche del mercato e della regolazione incentivante di penetrare in settori da decenni dominati dai monopoli pubblici locali e dalle concessioni sempre rinnovate (senza gare) a operatori privati, è stata progressivamente svuotata di quasi tutti i contenuti innovativi. Discriminazioni e conseguenze dell’incertezza normativa Il testo approvato dal Senato, apparentemente fatto apposta per non cambiare nulla della situazione attuale, contiene in realtà varie contraddizioni e qualche discriminazione. Perché nominare la tutela della concorrenza? Forse perché quest’ultima è materia di esclusiva competenza statale e quindi giustifica un intervento in una materia di competenza esclusiva delle Regioni. Ma è dubbio che basti nominarla per ingannare la Commissione europea, le Regioni e i giudici costituzionali che saranno chiamati a pronunciarsi sui ricorsi delle Regioni. Inoltre, alcune aziende che gestiscono i servizi in regime di concessione o di affidamento diretto sono già società per azioni e hanno già un azionariato privato, entrato grazie a procedure diverse dalla gara, per esempio, attraverso una semplice offerta pubblica di vendita. Cosa succederà a tali aziende? Perderanno la concessione al 31 dicembre 2006 (articolo 15 bis del Dl 269/03). E a quel punto, pare di capire, dovranno partecipare a una gara per vedersi ri-affidare il servizio, al contrario di quanto dovranno fare le società miste “in regola” con il Dl 269/03. Un’altra discriminazione che non trova giustificazione e che, probabilmente, darà luogo a ricorsi e interventi. Intanto, l’incertezza normativa ha cominciato a produrre i suoi effetti. Il 2003 era l’anno in cui dovevano essere bandite le gare nel settore dei trasporti locali. La prospettiva di ricorrere agli affidamenti in house o a privatizzazioni parziali, con affidamenti diretti ha dato altra forza al partito trasversale contrario alle gare, che già si era applicato a trovare i modi per vanificare le gare stesse: dai criteri di prequalificazione soddisfatti soltanto dall’azienda del comune (l’Atm di Milano) alla gara per un lotto unico di dimensioni monstre pensata per la Satti di Torino e per Trambus-Metro di Roma. A Bari hanno fatto di più: hanno subito sfruttato il Dl 269 e hanno affidato in house i servizi all’azienda comunale Amtab. Allo stesso modo, si sta arrestando il già ridottissimo flusso di gare per i servizi idrici integrati. Gli interessi È interessante osservare il ruolo svolto da Confservizi nella vicenda. L’associazione delle aziende che gestiscono Spl (prevalentemente pubbliche o a capitale misto) ha sempre cercato di frenare il processo di liberalizzazione, difendendo gli affidamenti diretti, sostenendo con ciò di voler difendere l’industria nazionale, che verrebbe spazzata via dalle aggressive imprese estere, qualora si aprisse la fase delle gare. Nella XIII legislatura, Confservizi ha contribuito a far annacquare prima e naufragare poi il Ddl 7042. Quanto all’atteggiamento assunto nella XIV legislatura, è istruttivo leggere le modifiche proposte da Confservizi al Dl 269/03 (1). L’impianto anti-liberalizzatore del decreto non viene in alcun modo toccato, così come non viene toccata la discriminazione contro le imprese private. Viene corretta, giustamente, la discriminazione contro le aziende in cui gli azionisti privati sono entrati grazie a una opv. Del resto, tutte le aziende così discriminate sono associate a Confservizi. La Confindustria, dopo aver appoggiato con convinzione il progetto di riforma della XIII legislatura, criticandone le timidezze, ha condotto un’opposizione assai tenue all’articolo 35 della Finanziaria 2001 ed è stata addirittura silente sul disegno di legge sulla delega ambientale. Solo di recente, di fronte all’ulteriore peggioramento contenuto nell’articolo 14 del Dl 269 e alla menzionata discriminazione contro i gestori privati, Antonio D’Amato ha elevato i toni della critica. Forse troppo tardi. I sindacati hanno sulla questione mantenuto un basso profilo. Ma il loro scarso feeling con le liberalizzazioni è noto. A livello regionale hanno sempre premuto per far accettare “clausole sociali” capaci di vanificare il sistema delle gare nei trasporti pubblici locali. È improbabile che si straccino le vesti per come stanno andando le cose. (1) Si veda il sito http://www.confservizi.net/.
Oggi ci troviamo di fronte a una non-riforma, in molti punti contraddittoria e che potrebbe portare a ingiustificate discriminazioni tra operatori e, quindi, a una lunga serie di ricorsi e contro-ricorsi.
Si fa una legge nominalmente a tutela della concorrenza (“le disposizioni del presente articolo (
) concernono la tutela della concorrenza”), ma di concorrenza non c’è traccia. Anche la concorrenza “per il mercato” rimane una delle tante opzioni.
Sotto questo profilo, coerente appariva il disegno di legge presentato nel luglio scorso a firma dei senatori Amato, Bassanini, Treu e Vigneri che realmente si limitava a fissare regole a tutela e promozione della concorrenza, lasciando alle Regioni il compito di legiferare su tutti gli altri aspetti. I contenuti di tale Ddl sono stati ripresentati come emendamento sostitutivo dell’articolo 14 del Dl 269/03. Emendamento caduto con il voto di fiducia.
Per di più, l’opzione della concorrenza “per il mercato” è obbligatoria solo se si ha in animo di affidare i servizi a società private. Che significa anche dire: i servizi gestiti da società private devono andare in gara, quelli gestiti da aziende pubbliche o miste (purché il socio privato sia stato scelto con gara) non devono andare in gara. E questa è discriminazione contro i privati. Una discriminazione, presumibilmente, inaccettabile per la Commissione europea (e per il buon senso).
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