Intervista a Pippo Ranci, presidente dell’Autorità dell’energia elettrica e del gas, sulla liberalizzazione dei mercati energetici, a cura di Michele Polo.


Il processo è a buon punto per il settore elettrico, anche se resta la questione della posizione dominante dell’Enel nella generazione. Più difficoltà per il gas, soggetto a contratti di lungo periodo. Criteri di trasparenza nel fissare le tariffe. Da sfatare la leggenda che liberalizzare implichi una peggiore qualità del servizio. E sull’indipendenza delle autorità ribadisce che la politica ha tutto da guadagnarne perché crea fiducia negli investitori e nei consumatori.

A cura di Michele Polo

Michele Polo. I cittadini percepiscono l’attività dell’Aeeg principalmente attraverso la vostra attività di regolazione delle tariffe. Potrebbe descrivere quali sono state le linee guida generali che avete seguito in questi anni nel ridisegno delle tariffe per i clienti finali nell’elettricità e nel gas?

Pippo Ranci. Innanzitutto la separazione dei costi delle diverse fasi che costituiscono il servizio. Ora il consumatore sa quanto paga per la generazione di elettricità, quanto per la trasmissione nel sistema nazionale, quanto per la distribuzione locale, quanto per sussidiare le rinnovabili e così via. Le attività che rimangono in monopolio, come la trasmissione, hanno una tariffa destinata a restare; ma nelle altre attività la tariffa viene sostituita da un prezzo liberamente contrattato man mano che la liberalizzazione si completa. Così oggi le imprese che acquistano elettricità o gas sul mercato libero contrattano liberamente il prezzo della fornitura, ma il prezzo include una parte (il trasporto) soggetta a tariffa amministrata.
Per tener bassi i prezzi e stimolare l’efficienza serve la concorrenza, dove è possibile averla. Dove non è possibile, come nel trasporto, la tariffa è stata fissata in base a due criteri: aderenza ai costi, stimolo al miglioramento.
Il livello iniziale della tariffa è fissato in corrispondenza con il costo medio rilevato. Poi la tariffa viene ridotta annualmente a una velocità prestabilita, in modo che le imprese per guadagnare devono accrescere la loro efficienza almeno alla stessa velocità. Naturalmente, la velocità di discesa corrisponde a una stima ragionevole dei miglioramenti che possono essere introdotti. Decisioni come questa implicano una stima opinabile: prima di arrivare a emettere un provvedimento consultiamo tutte le parti interessate, in modo trasparente.
Ci sono poi aspetti più complessi: ad esempio, la tariffa di trasporto dell’elettricità è quasi indifferente alla distanza, assomiglia al francobollo per spedire una lettera. Quella del gas è definita da una stima del costo che ogni metro cubo trasportato genera per il sistema, e che varia con la distanza, ma anche a seconda della conformazione della rete e a seconda se l’invio è lungo il flusso esistente o in direzione opposta (un invio controflusso ha un costo molto basso perché compensa parte del flusso e libera capacità di trasporto).

M.P. Come valuta lo stato di avanzamento nel processo di liberalizzazione del settore elettrico oggi in Italia? Quali sono i punti nodali ancora da affrontare e chiarire?

P.R. Il processo è ben avviato, oltre il punto di non ritorno. C’è un inizio di mercato libero, sorgono nuovi soggetti, si formano professionalità adatte alla contrattazione in concorrenza, si cominciano a vedere i risultati di una pressione concorrenziale verso l’efficienza.
Ma il sistema è ancora soggetto a rischi di instabilità finché non è completata la trasformazione. Faccio un solo esempio, per evidenziare i problemi della transizione: il passaggio da una contrattazione dell’energia elettrica per forniture annuali a una contrattazione nella Borsa elettrica con un prezzo per ogni ora, o anche ogni quarto d’ora. La borsa, evidenziando prezzi stagionali, settimanali, giornalieri, orari, consente comportamenti più efficienti sia nella produzione che nel consumo, visto che l’energia elettrica non si può conservare economicamente. Tuttavia si teme che i prezzi in Borsa possano essere in media più alti, dato che c’è un produttore, l’Enel, in grado di fissare il prezzo marginale del sistema e quindi il prezzo di Borsa nella maggior parte delle ore, quando la capacità di generazione dei concorrenti non è comunque sufficiente a coprire la domanda. Nella contrattazione di forniture annuali il prezzo di mercato ha comunque un limite superiore dato dalla tariffa; ma è più difficile utilizzare calmieri di tipo amministrativo nella Borsa, se non la si vuole uccidere prima che nasca. Se la liberalizzazione fosse giunta a eliminare la posizione dominante dell’Enel nella generazione, anche con il rafforzamento delle interconnessioni con l’estero, non ci sarebbe questo problema.
Un aspetto importante è la regolazione della qualità del servizio, per salvaguardare le caratteristiche di servizio di pubblica utilità, conservare la fiducia dei cittadini, sfatare la credenza che liberalizzazione significhi peggioramento della qualità e riduzione delle garanzie. Possiamo dire che oggi la qualità del servizio è migliore e le garanzie più solide che all’inizio del processo: lo mostrano indicatori disponibili e controllabili.
I punti nodali sono il potere di mercato degli ex monopolisti, soprattutto dell’Eni sul mercato all’ingrosso del gas; la faticosa definizione dei nuovi soggetti, dei loro ruoli e delle loro responsabilità (sarà interessante l’esito dell’indagine che stiamo conducendo sull’emergenza sperimentata il 26 giugno nel sistema elettrico); l’adeguamento delle infrastrutture di generazione elettrica, di trasmissione di elettricità, di trasporto di gas, di rigassificazione del gas naturale liquefatto importato via nave.
Rispetto alla media europea l’Italia non è indietro. Sul punto cruciale del libero accesso alle reti siamo un po’ più avanti, avendo separato la rete elettrica dall’Enel e quella del gas dalla Snam, anche se la completa indipendenza della rete da chi la usa non è ancora realizzata: ma Francia e Germania hanno molta più strada da fare. Le nuove direttive europee, approvate in giugno, impongono di costituire società separate per le reti, ma non impediscono che le società restino entro il gruppo d’origine.

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M.P. La liberalizzazione del settore del gas naturale appare generalmente in tutti i paesi europei più indietro rispetto a quella del settore elettrico. Quale valutazione può offrire sulla situazione italiana attuale?

P.R. È vero, ci sono maggiori difficoltà per il gas. Il sistema gas europeo è costruito sul modello della società integrata verticalmente. I gasdotti sono costruiti per dare esecuzione a contratti di lungo termine e i contratti lunghi occupano la capacità dei gasdotti, cosicché non è facile l’accesso a nuovi operatori, non è facile organizzare mercati a breve, nessuno costruisce un gasdotto se non per eseguire un contratto lungo. Questa è l’idea di sicurezza della fornitura che è diffusa in Europa. E in Europa il gas arriva prevalentemente da paesi produttori dove prevale l’impresa monopolistica di Stato.
Trasformare un sistema del genere in concorrenziale è cosa già ardua in sé, addirittura impossibile in un paese solo (che non abbia i giacimenti di gas in casa, come il Regno Unito). Serve quindi un’azione decisa a livello di Unione europea.
Tuttavia, molto si può fare in Italia. Si può investire in terminali per il gas liquefatto, che ha un mercato mondiale concorrenziale. Si possono aprire all’accesso dei terzi le nuove interconnessioni e gli ampliamenti di quelle esistenti. Si può cercare di superare l’isolamento del mercato italiano, che è dovuto a scarsità fisica delle interconnessioni, ma anche ad aspetti normativi e societari, e integrarlo nel mercato europeo.

M.P. Quali valutazioni può offrirci sul progetto, di cui molto si è parlato nei mesi scorsi, di riforma e riordino delle autorità indipendenti, che secondo una versione comportava addirittura una trasformazione dell’Aeeg da autorità indipendente a agenzia sottoposta al controllo del ministero delle Autorità produttive?

P.R. L’indipendenza di un’autorità indipendente non è un’idea pacifica nella nostra tradizione politica e giuridica, perché sembra contrastare con il principio democratico della rappresentanza e con l’unitarietà della direzione politica. È un principio che va meglio compreso anche per la regolazione dei servizi di pubblica utilità, come mi pare sia stato compreso per la banca centrale e per l’antitrust. Affermato con forza nella legge 481 del 1995, il principio è stato poi criticato e talvolta negato, ma non c’è da stupirsene. Il nuovo modello deve farsi strada mostrando non solo la sua coerenza dottrinale, ma anche i suoi buoni risultati pratici. È questa la sfida che abbiamo vissuto in questi primi sette anni.
Il rischio principale di una distribuzione non chiara e non netta delle competenze consiste nell’opportunità che in tal modo si offre alle organizzazioni degli interessi più forti di scegliersi l’interlocutore e appoggiarsi al Governo o all’autorità di regolazione a seconda della possibilità che si offre loro di promuovere le loro richieste. Naturalmente l’autorità di regolazione è stata disegnata per ascoltare tutti, ma non poter negoziare e non aver motivo di negoziare.
Dei vari progetti di riforma si è dibattuto molto e, a fronte delle ipotesi più estreme di declassamento dell’Autorità per l’energia, si è verificato un ampio consenso in campo politico ed economico per mantenere lo stato di autorità indipendente. Considero questo un risultato molto soddisfacente e confortante.
Lo statuto delle autorità, e della nostra in particolare, e il confine delle loro competenze con quelle governative dovrà comunque essere progressivamente precisato, se vogliamo allontanarci dal modello vecchio della gestione statale dei servizi, delle politiche industriali fatte di agevolazioni minute e di mera composizione degli interessi particolari. Sarebbe consigliabile riconoscere molte decisioni tecniche come tali. La politica energetica investe grandi temi come l’apertura del mercato, l’integrazione europea, le strategie per la sicurezza, la sfida ambientale, la promozione dell’innovazione; su questi deve compiere le grandi scelte. L’indipendenza della regolazione garantisce gli investitori e i consumatori, crea fiducia. Si dovrebbe capire che essa serve a rafforzare la politica.

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