Pur tra mille cautele, la liberalizzazione dei servizi pubblici locali inizia nel 1999. Un disegno di legge stabilisce il principio della gara pubblica per affidarne la gestione a società di capitale. Il progetto viene presto abbandonato per l’opposizione di operatori ed enti locali. Con la Finanziaria 2002 ne sono stati riproposti i punti fondamentali, fermati questa volta da una procedura di infrazione comunitaria e dal ricorso alla Corte costituzionale di alcune Regioni. Né le proposte ora in discussione sembrano avere maggiore chiarezza d’intenti. La riforma dei servizi pubblici locali è iniziata nella XIII legislatura. Il disegno di legge 7042 del 1999, pur con i suoi difetti, metteva in chiaro che i Spl “di rilevanza industriale” dovessero essere affidati a società di capitale (pubbliche, miste o private) che avessero acquisito il diritto alla gestione tramite una gara pubblica. Affermato il principio, il disegno di legge prevedeva una barocca struttura di “periodi transitori”, volti a diluire il più possibile l’impatto della riforma sugli operatori esistenti (ex municipalizzate trasformate in Spa e concessionarie private). Ciononostante, l’opposizione degli operatori e degli stessi enti locali a qualsiasi forma di apertura al mercato trovò ampia udienza tra i parlamentari e il governo Amato, in considerazione anche del mutamento nel quadro delle competenze introdotto dalla riforma del Titolo V della Costituzione, scelse di abbandonare quel progetto. Tutti apparati normativi che, pur tra mille cautele, introducevano una certa dose di liberalizzazione. La XIV legislatura Nella nuova legislatura, il governo Berlusconi ha tentato di riprendere il bandolo della matassa con l’articolo 35 della legge 448/2001, cioè la Finanziaria per il 2002. L’articolato di legge riprendeva alcuni dei capisaldi del Ddl 7042. In particolare, riproponeva la separazione tra proprietà e gestione delle reti da un lato e gestione dei servizi dall’altro: cosa di grande importanza quando è previsto un regime di concorrenza “nel mercato” nella gestione dei servizi “a valle”. Tuttavia, ancora una volta la concorrenza nel mercato era esclusa a priori tra le possibili forme di gestione. L’avvio di una procedura di infrazione comunitaria (per mancato rispetto delle norme sulla concorrenza) bloccava di fatto la emanazione del cruciale regolamento attuativo della legge. I passi indietro Si mettevano a questo punto in moto due distinti processi. Ma la storia non è finita, perché nel frattempo, alla Camera, una maggioranza trasversale votava un emendamento alla legge sulla delega ambientale, volto a escludere i trasporti pubblici locali dalla disciplina prevista dalla “riforma” contenuta nel Dl 269/03, ripristinando per questo settore le norme previste dal Dlgs 400/99: in sostanza l’obbligo di porre a gara le gestioni dei servizi entro il 31 dicembre di quest’anno. (1) Tu delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, articolo 113, comma 5 e Legge 448/01, articolo 35, comma 5.
La concorrenza “nel mercato” non veniva nominata, ma almeno la concorrenza “per il mercato” diveniva la norma.
Del resto, alcuni settori, come la distribuzione del gas e dell’energia elettrica (che hanno oltre il 10 per cento del totale degli addetti e il 25,4 per cento del fatturato) e i trasporti locali (quasi il 50 per cento degli addetti e il 23,6 per cento del fatturato), erano già stati riformati nel corso della passata legislatura, mentre al settore idrico (12,7 per cento degli addetti e 15 per cento del fatturato) si doveva applicare la “Legge Galli” del 1994.
In ogni caso la legge manteneva fermo il principio delle gare per accedere alla gestione dei servizi, anche se con una breccia aperta per i servizi idrici integrati (1), ma non necessariamente per la gestione delle reti. Quanto al periodo transitorio, si giungeva a una articolazione ancora più barocca di quella prevista nel vecchio Ddl 7042.
Nel frattempo, alcune Regioni presentavano ricorso alla Corte costituzionale in quanto, a loro avviso, la legge violava l’attribuzione alle Regioni della competenza esclusiva in materia di Spl.
Da un lato, per rispondere alle obiezioni comunitarie, il Governo tentava di riformare l’articolo 35, inserendo un articolo nel disegno di legge sulla delega ambientale.
Dall’altro alcune Regioni (con la Toscana in testa) varavano leggi regionali in materia di Spl.
La cosa singolare è che tanto il Governo quanto la Toscana intervenivano per rendere assai meno liberalizzatore il tono della legislazione. Ricomparivano gli affidamenti diretti a società di capitali controllate dagli enti locali (affidamento in house) e a quelle società miste in cui il socio privato viene scelto con procedura a evidenza pubblica.
In sostanza, si uniformava la normativa relativa ai servizi a quella già prevista per la gestione delle reti. Considerato il lento iter parlamentare della delega ambientale, il Governo decideva poi di inserire l’articolo sui Spl nel decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (articolo 14), su cui ha posto e ottenuto il voto di fiducia lo scorso 30 ottobre al Senato.
Contemporaneamente, il Senato votava la fiducia a un testo che prevede lo stralcio dei settori del gas e dell’energia elettrica dalla riforma, ma nulla diceva sui trasporti locali.
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