Negli Stati Uniti aumenta la quota di reddito da lavoro incassata dagli individui più ricchi, con una dispersione dei salari decisamente più alta che in Europa. Per valutare l’equità di un sistema sociale però si deve tener conto anche della mobilità sociale garantita negli Usa dagli alti livelli di concorrenza e dall’efficacia del sistema educativo e sempre meno legata alla condizioni economiche e culturali della famiglia d’origine, che invece in Italia contano moltissimo.

Gli Usa sono il paese più ricco dell’occidente, ma se valutassimo la loro ricchezza in base al reddito dei cittadini che appartengono al 10 per cento più povero della popolazione, troveremmo che nel 1996 erano solo dodicesimi nella graduatoria dei paesi Ocse. La Francia, la Germania e l’Italia si collocano tra il sesto e il settimo posto.

Disuguaglianza e redditi da lavoro

Dall’inizio degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta negli stati Uniti la quota del reddito incassata dagli individui appartenenti al 10 per cento più ricco della popolazione è aumentata di quasi 10 punti (dal 33 al 42 per cento circa). Il fenomeno riguarda solo i redditi da lavoro.
La quota incassata dal novantacinquesimo percentile nella forma di reddito da capitale è passata, nello stesso arco di tempo, dal 35 al 15 per cento circa e la quota di reddito da lavoro del novantesimo percentile è in costante aumento fin dagli anni Sessanta (25 per cento nel 1962 e 34 per cento nel 1998).
Dal 1980 al 2001 il salario orario reale dei lavoratori americani appartenenti al decimo percentile è aumentato del 6 per cento, mentre quello dei lavoratori appartenenti al novantesimo percentile è aumentato del 26 per cento. Secondo l’OCSE, la disuguaglianza, comunque misurata, è aumentata, negli USA, principalmente nel decennio ’75-’85, mentre è rimasta sostanzialmente invariata dalla fine degli anni ottanta
In Europa la dispersione dei salari è molto inferiore, anche se si è verificato un leggero aumento della disuguaglianza. Ad esempio, in Francia dall’inizio degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta, la quota di reddito complessivo incassata dagli individui appartenenti al 10 per cento più ricco della popolazione è aumentata di soli 2 punti e mezzo (dal 30 al 32,5 per cento circa) e la quota di reddito da lavoro del 10 per cento più ricco, nello stesso arco di tempo, si è mantenuta più o meno costante, intorno al 26 per cento.

Tuttavia, le tendenze in atto in Europa non sono positive. Tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta gli indici di disuguaglianza in Usa non sono cambiati in modo apprezzabile, mentre sono aumentati in Italia (di molto), in Germania e in altri paesi nord europei.
In Usa la “rivoluzione tecnologica” che va dal 1995 al 2001 si è accompagnata a una diminuzione della disuguaglianza salariale: il salario orario reale dei lavoratori del decimo percentile è aumentato del 15 per cento, mentre quello dei lavoratori del novantesimo percentile del 12 per cento.

Le spiegazioni più accreditate della maggiore disuguaglianza in Usa si basano su fattori legati al potere e al ruolo dei sindacati (contrattazione più decentrata e minore copertura), sia su fattori istituzionali e sociali (tendenziale caduta del salario minimo, massiccia immigrazione di lavoratori non qualificati), sia su fattori tecnologici (progressiva deindustrializzazione e crescita dei servizi nei settori marginali, diffusione di tecniche che usano lavoro qualificato con maggiore intensità).

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La percentuale di americani sotto la linea della povertà (definita come il 50 per cento del reddito disponibile mediano) era pari al 17,8 per cento a metà degli anni Ottanta, al 17,8 per cento nel 1994 e al 17 per cento nel 2000. In Germania e Italia, viceversa, la medesima percentuale è aumentata di due punti dal 1984 al 2000 (dal 6,5 all’8,3 per cento in Germania, dal 10,4 al 12,7 per cento in Italia). A seguito dell’aumento della partecipazione alla forza lavoro verificatosi negli anni Novanta, la percentuale di famiglie povere in Usa è passata dall’11,9 per cento del 1992 all’8,6 per cento del 2000. In effetti, la percentuale di individui sotto il livello di povertà non è molto diversa da quella del 1970. Dunque, l’aumento della disuguaglianza dei redditi non ha avuto effetti apprezzabili sugli indici di povertà.

La mobilità sociale

La disuguaglianza “statica” (cioè relativa ai risultati economici raggiunti da una popolazione in un dato istante di tempo) non è il solo fattore da prendere in considerazione per valutare il grado di equità del sistema sociale. Innanzitutto, una larga parte dell’opinione pubblica americana la ritiene accettabile, se deriva da scelte deliberate (diversa produttività e diverso impegno delle persone sul lavoro).
In secondo luogo, la disuguaglianza statica non tiene conto della mobilità sociale.
Se, ad esempio, tra il 1980 e il 2001 il salario del decimo percentile è aumentato del 6 per cento, ciò non vuol dire che il salario di un individuo che apparteneva al decimo percentile nel 1980 sia aumentato del 6 per cento nel corso del decennio. I dati sui livelli salariali nei due anni considerati non si riferiscono, infatti, alle medesime persone. Chi apparteneva al decimo percentile di reddito nel 1980 potrebbe appartenere a un percentile di reddito superiore nel 2001. Poiché dovremmo preoccuparci soprattutto della disuguaglianza tra individui, il grado di mobilità sociale è fondamentale per valutare l’equità dei sistemi sociali. In particolare, è la mobilità che rende possibile una maggiore uguaglianza delle opportunità e contribuisce alla coesione sociale (oltre a consentire l’uso migliore dei talenti individuali).

Il grado di mobilità sociale nei paesi industrializzati è piuttosto elevato. Ogni anno in USA, tra il 25 ed il 30 per cento della popolazione passa ad un quintile di reddito superiore. In un decennio, questa percentuale è circa uguale a 60. Secondo uno studio di Sawhill, il dato Usa sarebbe simile a quella dell’Europa continentale.

Uguaglianza di opportunità

Se concentriamo la nostra attenzione sulla mobilità sociale, anziché sulla disuguaglianza statica, dobbiamo prestare molta attenzione all’insieme dei fattori che possono ostacolare il successo degli individui.
Una misura dell’uguaglianza delle opportunità, usata da Smeeting e Rainwater, è data dal reddito relativo dei bambini. Questi autori calcolano che il rapporto tra il reddito per bambino delle famiglie con prole appartenenti al 10 per cento più povero e il reddito mediano degli Stati Uniti era pari a 35 in Usa (nel 1997), 40 in Germania (nel 1994), 44 in Francia (nel 1994) e 48 in Svezia (nel 1995). Dunque, un bambino povero in Usa ha solo il 35 per cento del reddito mediano, mentre in ogni altro paese Ocse (escluse l’Australia e la Gran Bretagna) la percentuale è superiore a 40.
Tuttavia, le condizioni economiche e culturali delle famiglie non sono i soli fattori che possono ostacolare le opportunità dei giovani. Si stima che la carriera degli individui sia sempre meno correlata alla condizione economica e culturale della famiglia di origine. In Usa, dagli anni Sessanta a oggi tale correlazione è diminuita del 50 per cento. Sono anche importanti l’efficacia dei sistemi educativi, la presenza di criteri di selezione meritocratica, la disponibilità di credito (per spese scolastiche e universitarie o per progetti d’investimento) e l’assenza di pratiche anticompetitive (che limitano l’accesso alle professioni o la concessione di licenze per attività imprenditoriali).

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Se, da una parte, la disuguaglianza statica può costituire un ostacolo alla mobilità sociale, in quanto penalizza chi nasce in famiglie disagiate, dall’altra, può essere il costo necessario per generare un’elevata mobilità sociale basata su un sistema meritocratico e competitivo.
Si potrebbe avanzare la congettura che, se in Europa la mobilità sociale è garantita principalmente dai minori livelli di povertà e di dispersione salariale, in Usa sia prodotta dai maggiori livelli di concorrenza e dall’efficacia del sistema educativo.

I dati recenti relativi all’Italia sono negativi sia per quanto riguarda la disuguaglianza statica che per quanto riguarda la mobilità sociale. A fine anni novanta, gli individui del noventesimo percentile di reddito guadagnavano, nel nostro paese, circa 4,5 volte ciò che guadagnavano gli individui del decimo decile. Questa percentuale è paragonabile a quella dei paesi anglosassoni (Inghilterra e Stati Uniti sono al 4,5 e al 5,6, rispettivamente) ed è molto al di sopra dei paesi del Nord Europa (che si attestano tra il 2,5 ed il 3). Gli indici di disuguaglianza statica sono aumentati fortemente in Italia nel corso degli anni ’90. Inoltre, secondo i dati forniti da Checchi et al. la mobilità sociale in Italia sembra essere inferiore a quella degli USA.

 

Per saperne di più

Piketty, T. e Saez, E. “Income inequality in the US, 1913-1998”, CEPREMAP, manoscritto

Piketty, T. “Income inequality in France, 1901-1998”, CEPR Discussion Paper n. 2876, 2001.

Forster, M. e M. Person, “Income distribution and poverty in the OECD area: trends and driving forces”, OECD Economic Studies No. 34, 2002/I.

Sawhill, “Opportunity in the United States: Myth or Reality?” in N. Birdsall e C. Graham, New Markets, New Opportunities?: Economic and Social Mobility in a Changing World, Brookings Press, 1999.

Checchi, D., Ichino, A. e Rustichini, A., “More equal but less mobile? Educational financing and intergenerational mobility in Italy and in the USA” Journal of Public Economics, 74, 1999, 351-393.

Smeeting, T. M. e L. Rainwater, “Comparing living standards across nations: real incomes at the top, the bottom, and the middle”, mimeo. Syracuse University, 2002.

 

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