Per molte carriere retributive è prevedibile che la riforma del 1995 comporterà una drastica diminuzione del tasso di sostituzione tra pensione e ultima retribuzione. Ma il lavoratore italiano non dispone oggi di alcuna informazione sulla sua situazione contributiva ed è abbandonato all’incertezza. Una condizione da risolvere al più presto, altrimenti il passaggio al contributivo sarà traumatico. In realtà, sarebbe possibile eliminare l’incertezza sul grado di copertura della pensione futura consentendo ai lavoratori di integrare volontariamente la contribuzione al sistema pubblico.

Una delle funzioni tradizionali dei sistemi pensionistici è garantire agli anziani un tenore di vita non troppo distante da quello goduto nell’ultima fase della vita lavorativa.
Fino agli anni Novanta il sistema italiano era imperniato appunto su questo obiettivo e garantiva a chi aveva contribuito per quarant’anni una pensione pari all’80 per cento della retribuzione finale. Nel gergo pensionistico, era un sistema a prestazione definita.
La riforma Dini del 1995 lo ha trasformato in un sistema a contribuzione definita, in cui diventa preminente la funzione assicurativa: il sistema imita il funzionamento di un’assicurazione privata e restituisce al singolo i contributi versati durante la vita attiva. Non vi è più alcuna garanzia che la pensione rappresenterà una frazione predeterminata della retribuzione finale.

Se la retribuzione cresce più del Pil

Dal punto di vista del singolo lavoratore, i due sistemi danno risultati simili se il tasso di crescita della retribuzione individuale non si discosta troppo dal “tasso di interesse” con cui vengono rivalutati i contributi versati.
Nella riforma Dini, questo “tasso di interesse” è il tasso di crescita nominale del Pil.
I lavoratori con retribuzioni che crescono più velocemente del Pil, avranno quindi tassi di sostituzione (il rapporto tra pensione e ultima retribuzione) molto più bassi di quelli attuali. Questa situazione può essere molto più diffusa di quanto potrebbe apparire a prima vista.
Vi sono molti motivi, documentati dalla scienza economica, per avere un profilo salariale crescente all’aumentare dell’anzianità, a prescindere dall’andamento del Pil. (1)
L’abbassamento del tasso di sostituzione diventerà evidente, in modo repentino, quando intorno al 2015 ci sarà il passaggio del testimone tra i pensionati con il vecchio sistema e quelli con il sistema contributivo. Come fare per evitare che quel passaggio sia traumatico? Bisogna pensarci oggi.

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Un passaggio potenzialmente traumatico

Il sistema pensionistico pubblico non può garantire, e non è neanche giusto che lo faccia, tassi di sostituzione elevati a chi ha avuto una carriera retributiva veloce. È però possibile aiutare il singolo a fare le sue scelte. Il problema non è tanto che in futuro i tassi di sostituzione delle pensioni pubbliche saranno più bassi, quanto l’incertezza su quale sarà il loro livello.
Chi andrà in pensione in futuro con il nuovo sistema non riceve oggi alcuna informazione su quale sarà presumibilmente la sua pensione. È un’informazione indispensabile per poter decidere il proprio piano di risparmio per integrare la pensione pubblica.
Il sistema contributivo può reggere solo se questa informazione è resa disponibile ai singoli. È fondamentale che – come avviene in Svezia, paese che come il nostro ha adottato un sistema contributivo – gli enti previdenziali (Inps per i lavoratori privati e Inpdap per i lavoratori pubblici) informino periodicamente i singoli della loro situazione contributiva e forniscano a ciascuno una previsione di quale sarà la sua pensione futura, data la dinamica della sua retribuzione (si veda lavoce.info 16-05-2003).

Una possibilità di integrazione

Si può anche fare di più e introdurre un elemento (opzionale) di prestazione definita nel sistema pubblico.
Nel sistema Dini quando la retribuzione annua di un lavoratore cresce più del Pil si determina una diminuzione del suo tasso di sostituzione futuro. In questo caso dovrebbe scattare un avviso dell’Inps o dell’Inpdap al lavoratore: se vuole mantenere il tasso di sostituzione deve integrare la propria contribuzione. Il versamento integrativo sarebbe remunerato con il tasso di crescita del Pil, esattamente come avviene per i contributi obbligatori. In questo modo si consentirebbe ai singoli di perseguire un obiettivo sul tasso di sostituzione della propria pensione futura. Integrando la contribuzione al sistema pubblico, il singolo lavoratore eliminerebbe l’incertezza sul tasso di sostituzione.
Naturalmente il meccanismo dovrebbe essere opzionale: il singolo potrebbe sempre ritenere più conveniente la contribuzione a un fondo privato (dal rendimento incerto, ma forse superiore al tasso di crescita del Pil).

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Un sistema pensionistico moderno deve responsabilizzare gli individui e dare loro la possibilità di scegliere. L’assenza di informazione che oggi caratterizza il sistema italiano equivale ad abbandonare gli individui nell’incertezza. È urgente, più di ogni altro intervento, correggere questa situazione.

 

(1) Non esiste, in effetti, alcuna relazione necessaria tra tasso di crescita del Pil e tassi di crescita delle retribuzioni individuali. Per rendersene conto basta un semplice esempio: un’economia con popolazione costante, in cui ciascuno lavora due periodi, nel primo ha la qualifica di lavoratore “giovane” con salario 100, nel secondo è un lavoratore “esperto” con salario 200. In un’economia siffatta il Pil è costante nel tempo (pari a 150 per il numero totale di lavoratori), mentre le retribuzioni individuali crescono a un tasso del 100 per cento.

 

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