Risolta, forse, la questione del numero dei membri della Commissione, resta il problema delle regole di voto per le decisioni a maggioranza qualificata nel Consiglio. La Spagna si oppone con forza alla soluzione proposta dalla Convenzione. Ma un fallimento della Conferenza intergovernativa non sarebbe un vantaggio per nessuno, tanto meno per l’Europa intera. Per uscire dall’impasse perché non considerare l’ipotesi di far valere la minaccia di una Unione a due velocità? Un’integrazione più forte tra i paesi disposti a firmare subito la Convenzione e una più blanda per gli altri.

I tempi per l’approvazione del testo della Costituzione europea sono ormai agli sgoccioli. La Conferenza intergovernativa di domani e dopodomani rappresenta l’ultima possibilità per approvarla durante il semestre di presidenza italiana. Un eventuale fallimento segnerebbe uno smacco pesante per il Governo italiano ma anche per l’Europa intera, che si troverebbe alla vigilia delle prossime elezioni priva di regole adeguate per una Unione a venticinque membri.

Quanti membri per la Commissione?

Ricapitoliamo i problemi fondamentali. I punti critici del testo licenziato dalla Convenzione a giugno sono numerosi, ma il dibattito politico si è concentrato soprattutto su due aspetti: il numero dei membri della Commissione e le regole di voto per le decisioni a maggioranza qualificata nel Consiglio dei ministri.

Sul primo punto, una convergenza sembra sia stata trovata. Come noto, il progetto iniziale della Convenzione prevedeva quindici commissari con diritto di voto a rotazione tra i venticinque paesi. L’opposizione dei piccoli paesi, sostenuti dalla Commissione, ha spinto la presidenza italiana a trovare una soluzione di compromesso. I commissari saranno venticinque per i prossimi dieci anni, uno per ciascun paese. Poi il numero dovrebbe ridursi, nel senso che ciascun paese dovrebbe rinunciare a un turno su tre. Una soluzione in parte discutibile, perché aumentandone il numero dei membri, riduce la capacità decisionale e l’autorevolezza della Commissione. Tuttavia, una qualche compensazione doveva essere trovata per i piccoli paesi, soprattutto alla luce della perdita oggettiva di influenza indotta dalle nuove regole decisionali proposte per il Consiglio. Inoltre, ci si può domandare quale effettiva influenza politica avrebbe potuto avere la Commissione nel caso in cui, per il meccanismo della rotazione, fossero stati simultaneamente assenti i rappresentanti dei principali paesi.

Non solo, ma il problema della composizione della Commissione deve anche essere messo in relazione con le nuove procedure previste per le cooperazioni rafforzate, un punto generalmente sottovalutato dai commentatori. Queste procedure infatti, consentono a gruppi di paesi membri dell’Unione (almeno un terzo del totale nelle proposte della Convenzione) di perseguire politiche di maggiore integrazione nella quasi totalità delle materie, con un semplice voto a maggioranza qualificata nel Consiglio. Poiché queste sub-unioni potrebbero risultare dannose per gli altri membri dell’Unione, ora o nel futuro, è necessario che esse superino il vaglio di un organo di garanzia. Questo ruolo è adesso demandato alla Commissione, che ha il potere, a secondo dei casi, di bloccare o condizionare la proposta di una cooperazione rafforzata avanzata da un gruppo di paesi. Ma, naturalmente, questa funzione di garanzia può essere svolta molto meglio da una Commissione dalla composizione ampia piuttosto che da una in cui siano rappresentati solo una parte dei paesi membri.

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Le regole di voto nel Consiglio

Il problema delle regole per il voto a maggioranza qualificata nel Consiglio si sta invece dimostrando assai più ostico da risolvere. L’attuale sistema, partorito al vertice di Nizza del 2000, dopo una lunghissima maratona notturna che ha probabilmente ottenebrato le menti dei partecipanti, rappresenta un vero e proprio mostro, assai più dannoso per la sopravvivenza dell’Unione europea del mantenimento di spazi ampi per le decisioni all’unanimità previsto dalla Convenzione.
I paesi riuniti a Nizza avrebbero dovuto proporre regole decisionali capaci di funzionare anche con una Unione a venticinque; invece, hanno finito con il fare esattamente l’opposto.
Il sistema attuale rende l’approvazione di ogni decisione molto più difficile. Le regole prevedono infatti che, per essere approvata, una decisione deve avere il 72 per cento dei voti dei membri del Consiglio, che rappresentino più del 50 per cento dei paesi e più del 62 per cento della popolazione europea. Ma con una soglia di maggioranza così alta, e un numero così elevato di paesi coinvolti, è facile costruire coalizioni di veto che blocchino ogni decisione. Per esempio, si stima che la probabilità attesa di approvazione di una proposta è ora di solo il 2 per cento, cioè non molto lontana da quella prevalente sotto il sistema dell’unanimità.
La proposta della Convenzione prevede l’eliminazione del vincolo del 72 per cento dei voti, rendendo molto più facile l’operato del Consiglio. Così facendo, tuttavia, implicitamente rafforza il ruolo dei paesi più popolosi, che diventano decisivi in un numero più ampio di casi. E questo in particolare peggiora la situazione di paesi come la Spagna e la Polonia, che erano riusciti a strappare a Nizza una distribuzione dei voti nel Consiglio particolarmente favorevole. La loro opposizione, e quello della Spagna in particolare, rappresenta il principale ostacolo sulla strada dell’approvazione del nuovo testo costituzionale.
L’obbiettivo di rendere più efficace la capacità decisionale del Consiglio avrebbe potuto essere ottenuto con altri mezzi. Per esempio, riducendo la soglia della maggioranza dei voti richiesta per l’approvazione di una proposta. Ciò non avrebbe rafforzato così tanto i grandi paesi. Inoltre, la recente decisione dell’Ecofin di sospendere le sanzioni per Francia e Germania per deficit eccessivo, giusta o sbagliata che sia, ha rafforzato l’opinione che esistano due pesi e due misure e che quello che vale per la piccola Irlanda non vale per la grande Germania. Il che ha dato ancora maggior forza alla posizione della Spagna, un paese oltretutto virtuoso sul piano finanziario.
Tuttavia, la regola decisionale prevista dalla Convenzione ha il pregio di essere semplice e trasparente, una necessità sempre più sentita in un’Unione in deficit democratico. Comunque, è ormai troppo tardi per proporre alternative sensate. Non pare dunque possibile tornare indietro.

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Senza la Spagna

Se il veto della Spagna dovesse permanere, restano due sole strade. L’una è quella di demandare la soluzione alla Conferenza intergovernativa, nella speranza che l’Irlanda trovi in tempo per le prossime elezioni europee l’uovo di colombo, cioè le compensazioni vere o fittizie che consentano alla Spagna di fare un passo indietro senza perdere la faccia. L’altra è che si consideri la possibilità di andare avanti solo con i paesi che sono disponibili a firmare l’attuale Convenzione, lasciando agli altri forme di integrazione più modeste.
Uno degli ultimi articoli della stessa Convenzione già prevede che in caso di approvazione da parte dell’80 per cento dei paesi membri, il problema possa essere riportato in sede di Consiglio europeo. Che potrebbe anche decidere di andare avanti in ordine sparso. In altre parole, la minaccia di un’Europa a due velocità, adombrata da Francia e Germania in questi giorni, è credibile e ha un sostegno legale. Piuttosto che annacquare ulteriormente la già debole capacità decisionale dell’Unione, la possibilità di farla valere dovrebbe essere presa in seria considerazione. Forse si può ballare anche senza il flamenco.

 

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