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Pensionati condonati e pensionati beffati

La promessa di portare tutte le pensioni basse ad almeno un milione al mese rischia di rivelarsi un boomerang per migliaia di pensionati. E molti altri, pur poveri, non possono ottenere l’integrazione. Qui si mostra come l’assenza di un approccio sistematico e non categoriale ai problemi della povertà crei nuove divisioni e nuove ingiustizie.

Come avevano previsto molti osservatori, la promessa di portare tutte le pensioni ad almeno un milione, contenuta nel programma elettorale con cui l’attuale maggioranza ha vinto le elezioni e apparentemente realizzata con la legge finanziaria 2002, si è rivelata un parziale inganno, e in alcuni casi anche una beffa. In questi giorni l’Inps sta revocando l’integrazione a coloro che la hanno ottenuta “indebitamente”. . Si tratta di un numero contenuto di persone – 168.000 su 1.800.000 che hanno ricevuto l’integrazione – anche se si tratta di una cifra provvisoria, dato che i controlli sulle condizioni reddituali dei beneficiari sono arrivati solo fino all’inizio del 2002. E’ probabile quindi che aumenti. In circa la metà di questi casi sarebbe tenuta anche a chiederne la restituzione, sia pure rateizzata. Anzi, lo sta già facendo, anche se il Ministro Maroni ha annunciato in una intervista al Corriere della Sera che aveva meritoriamente denunciato il problema, che chiederà che gli arretrati siano condonati e i pagamenti proseguiti.

Non si tratta di imbroglioni, si badi bene, a differenza dei molti che hanno fruito di ben più sostanziosi condoni in questi anni ed anche nell’ultima finanziaria. In molti casi si tratta di sforamenti minimi della soglia di reddito che dava diritto al beneficio, quindi di persone davvero a reddito molto modesto. Di più, in diversi casi si tratta di coppie, i cui componenti individualmente avrebbero avuto diritto alla integrazione, ma che cumulando le loro pensioni maggiorate superano, magari di poco, il tetto di reddito – 11.503,00 euro annui appunto per una coppia, pari a 884,84 euro per 13 mensilità – al di sopra del quale il diritto cessa. La promessa maggiorazione, infatti, è stata nel regolamento attuativo subordinata al reddito di coppia. Niente di scandaloso: il riferimento al reddito di coppia vale sia per la pensione sociale sia per l’integrazione al minimo della pensione previdenziale. Non sarebbe stato coerente eliminarlo per questa ulteriore integrazione. Se non fosse che la promessa era stata un’altra: portare appunto tutte le pensioni almeno alla soglia del milione di lire – 525,89 euro al mese per 13 mensilità nel 2003.

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In effetti, per quanto 525 euro al mese sembrino pochi per vivere, si tratta di una cifra nettamente superiore alla soglia di povertà relativa, calcolata in 494,07 euro al mese (e per 12 mensilità) nel 2002 per una persona sola, 823,45 per due. Al punto che a suo tempo, molti osservatori, inclusa chi scrive, pur apprezzando l’attenzione per le difficoltà economiche degli anziani ed anche la definizione di quella che sembrava una garanzia di pensione minima decente, si sono chiesti come mai questa attenzione riguardasse solo gli anziani, mentre non era in vista (e continua a non esserci) nulla di anche lontanamente analogo per coloro che anziani non sono, pur essendo poveri, in primis i minori: nessuna garanzia di reddito minimo non dico fino alla soglia della povertà relativa, ma neppure di quella assoluta. Per altro, anche molti anziani che pure appartengono alle fasce più povere, perché fruiscono della pensione sociale che è più bassa della minima Inps, sono esclusi dalla maggiorazione perché non ancora settantenni. Mentre il condono di quanto già ricevuto sembra un atto morale in un paese che di solito condona di preferenza gli abusi dei ricchi, l’annunciato proseguimento del beneficio anche a chi per reddito non ne avrebbe diritto mentre si mantiene l’esclusione di chi ha un reddito più basso non fa che rendere meno accettabile una forma di ingiustizia introdotta da un, pur ben intenzionato, ennesimo provvedimento parziale, categoriale. Esso ha certamente contribuito a fare star meglio un numero non irrilevante di anziani, ma non necessariamente i più bisognosi tra loro. E non è certo ad esso che va imputata la diminuzione della povertà relativa, come sostiene il Ministro. Purtroppo, come è stato rilevato dallo stesso Istat, essa è un un “effetto ottico” dovuto all’inflazione: essendosi impoverito mediamente tutto il paese, coloro che si trovavano appena sotto la soglia della povertà relativa (che è riferita al consumo medio procapite) statisticamente ora si trovano appena al di sopra, senza che nulla nella loro situazione sia cambiato.

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Il pasticcio delle “pensioni da un milione al mese” conferma anche i dubbi di coloro che ritenevano inopportuno introdurre questa misura mentre – allora – la discussione sulla eventuale “riforma della riforma” delle pensioni era agli inizi ed il quadro incerto. Oggi il quadro non è molto più chiaro, anche se il confronto è diventato sempre più duro. In compenso la moltiplicazione dei contratti di lavoro flessibili sta creando una futura popolazione di pensionati che farà fatica ad avere accesso alla pensione minima, quindi una futura generazione di pensionati poveri.

In ogni caso, a quella promessa di una pensione di un milione al mese hanno creduto milioni di pensionati, salvo avere brutte sorprese. Prima in molti hanno scoperto che gran parte dell’aumento veniva mangiato dalle imposte, perché faceva passare in una aliquota più alta; ora altri scoprono di aver lucrato un beneficio indebito. Altri ancora saranno incerti tra il provarci, contando eventualmente su un condono, o stare alle regole, sentendosi un po’ stupidi.

Del resto, il primo a sbagliarsi, a fare confusione, sul numero degli aventi diritto (o forse sui criteri per identificarli) è stato il governo, che ha stanziato molti più soldi del necessario e ricevuto molte meno domande del previsto, stante che aveva stimato in oltre sei milioni i pensionati con una pensione inferiore ai 525 euro nel 2002.

Insomma, una brutta storia, che conferma come non sia opportuno procedere in modo casuale e frammentato su un terreno – il sistema di protezione sociale e di sostegno al reddito – che invece richiede di essere liberato dalla improvvisazione e dalle deleterie incrostazioni di iniquità, diritti acquisiti e sprechi che essa alimenta

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Sommario 30 dicembre 2003

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  1. BRUNO POLON

    Chi lavorava nel settore della previdenza aveva capito subito che queste operazioni non sono altro che “ignobili” operazioni elettorali. Il fatto che la concessione dell’aumento fosse fatta sul reddito presunto, avrebbe ovviamente comportato una verifica l’anno successivo del reddito stesso, ma questo non fu spiegato dai mass media ai pensionati, molti dei quali ancora oggi pensano di “avere diritto”. La stessa maggiorazione di £ 300.000 era stata introdotta con la finanziaria 2001 dal governo di centro sinistra, con la sola differenza di essere poco nota. Questi procedimenti di ricalcoli quanto vengono a costare allo Stato e all’ INPS? Forse sarebbe opportuno una seria riforma anche in questo senso, e così si potrebbe portare tutti a percepire una pensione di € 516 al minimo, senza tutte queste capriole che rendono ancora più penosa la vita a questi pensionati. Grazie.

  2. luca nobis

    Sono d’accordo con quanto esposto dal sig. Pollone, il quale sembra appartenere al ramo.Ttempo fa parlando con pensionati che avevano ricevuto il conguaglio, qualcuno mi disse che, quel di più, era già stato divorato dalla diminuizione del potere d’acquisto. Credo sia vero. Buona giornata

    • La redazione

      Il signor Pollone aveva sollevato una questione diversa: i pasticci creati dalla normativa, le attese sollecitate e deluse da una comunicazione poco trasparente. Quello che rileva lei è che, anche quando l’aumento c’è stato e rimane, sarebbe vanificato dal parallelo aumento del costo della vita.
      Probabilmente ha ragione, perché i prezzi che sono maggiormente aumentati riguardano proprio i consumi quotidiani, in particolare quelli alimentari. In questo caso l’aumento della pensione ha almeno consentito di contrastare
      un peggioramento della potere d’acquisto. Cordialmente

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