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L’Italia tra il bastone e la carota

Se la cesura è la Legge Bossi-Fini, la continuità nella politica italiana verso l’immigrazione extracomunitaria è rappresentata dagli accordi di riammissione. Ma più che fermare i flussi di clandestini, gli accordi sembrano aver solo modificato le rotte. E la loro efficacia sarà messa ulteriormente alla prova dall’allargamento dell’Unione europea. Per contenere le pressioni migratorie dovute a crisi nei paesi d’origine è quindi preferibile ricorrere a piani di aiuti per stabilizzare quelle economie.Con il Governo di Centrodestra, la politica italiana verso l’immigrazione extracomunitaria ha manifestato non solo cesure, ma anche tratti di continuità.

La cesura è simbolizzata dalla Legge Bossi-Fini: è stato ribaltato l’approccio “integrazionista” della precedente Legge Napolitano-Turco. Sono stati ridotti i fondi per il Piano nazionale di asilo; si è stabilita la corrispondenza tra durata del contratto di lavoro e permesso di soggiorno; è stato accresciuto il carico degli adempimenti burocratici nel meccanismo delle quote di ingresso; alcune leggi, come l’assegno al secondo figlio, non garantiscono agli immigrati regolari gli stessi diritti dei cittadini italiani.

Dunque, sebbene successivamente moderata dall’apertura di Fini sul voto agli immigrati regolari, la virata è stata verso più bastone e meno carota, laddove il bastone dovrebbe scoraggiare gli afflussi di clandestini, rendendo più efficace il meccanismo delle espulsioni.

Gli accordi di riammissione

Vi è stata invece sostanziale continuità per quanto riguarda il perseguimento degli accordi di riammissione con i paesi d’origine. Mirano anch’essi a ridurre gli afflussi di illegali, ma in questo caso la scelta di “più bastone” passa attraverso il rafforzamento della capacità di enforcement anti-emigrazione nel paese d’origine e nell’oliare i meccanismi di riammissione dall’Italia. E l’accordo con la Tunisia firmato dal ministro Giuseppe Pisanu in dicembre ne è un esempio.

A distanza di vari anni dall’introduzione degli accordi (il primo è del 1996 con la Slovenia), è opportuno chiedersi se e quanto abbiano effettivamente contribuito a frenare l’immigrazione clandestina.

Una misurazione dei loro effetti è resa difficile dalla natura stessa degli accordi (prevedono l’immediata riammissione dei cittadini degli Stati contraenti o di Stati terzi transitati attraverso il territorio della parte contraente) e dalle alterazioni delle rotte migratorie che ne sono seguite. Basti pensare che, dopo l’accordo di riammissione con l’Albania (siglato nel novembre 1997) e il potenziamento dei controlli sulle coste pugliesi (le ore di pattugliamento nel Canale d’Otranto si sono quintuplicate tra la media del 1991-93 e quella del 1997-99), la quota dei clandestini sbarcati in Puglia sul totale nazionale è crollata da oltre il 75 per cento a fine anni Novanta al 14 per cento nel 2002, mentre quella della Sicilia è salita al 77 per cento. (1)

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Tuttavia, se le rotte sono cambiate, la pressione migratoria ha continuato a crescere. I provvedimenti di espulsione irrogati in Italia nei confronti di irregolari sono passati da 34.100 nella media 1991-93 a 49.300 nel 1994-96 e a 84.800 nel 1997-99. Sono ancora aumentati a 130.791 nel 2000, a 133.655 nel 2001 e a 149.783 nel 2002.

È difficile stabilire quanto dell’incremento sia dovuto all’aumento dei pattugliamenti e quanto dipenda invece dall’accrescersi dei flussi di clandestini. In ogni caso, si conferma quanto già emerso per gli Stati Uniti: la crescita dei pattugliamenti tende a spostare più che a deprimere i flussi dei clandestini (vedi Boeri).

E, a distanza di uno o due anni dall’accordo, non sempre si manifesta l’attesa flessione nel flusso di illegali dal paese che ha firmato l’accordo. Ad esempio, i provvedimenti di espulsione verso l’Albania passano da 9.500 nel 1997 a 20.000 nel 1998 e a 33.600 nel 1999. Per la Romania si passa da 4.900 provvedimenti nel 1997 (anno di introduzione dell’accordo) a 3.900 nel 1998 e a 9.100 nel 1999. Ma, naturalmente, non è dato sapere quale sarebbe stata l’evoluzione senza l’accordo.

Dopo l’allargamento della Ue

Nondimeno, anche ove gli accordi avessero funzionato in passato, la loro efficacia in futuro potrebbe essere messa in forse dal prossimo allargamento dell’Ue, con nuovi confini da disegnare e nuovi accordi da negoziare. Pertanto è difficile confidare nel solo bastone e pare invece auspicabile una adeguata politica che prevenga le cause scatenanti.

L’esperienza recente dell’immigrazione nell’Ue è in gran parte condizionata dalle regole e pratiche imposte dalle autorità locali nei singoli Stati membri e dai grandi sforzi di cooperazione fra Stati compiuti a partire dai primi anni Novanta.

Tuttavia, vari studi indicano che i principali fattori scatenanti dell’immigrazione irregolare sono la preesistenza di network informali nei paesi di destinazione, che forniscono strutture di sostegno di base ai nuovi arrivi, e il verificarsi di conflitti interni e di crisi economiche e finanziarie nei paesi di origine. Fatte salve, naturalmente, le tradizionali determinanti della migrazione: gap salariali al netto dei costi della migrazione, maggiori livelli di protezione sociale, vicinanza linguistica, culturale e religiosa.

La presenza di reti etnico-nazionali esercita un ruolo chiave nella scelta della destinazione finale, perché riduce i costi iniziali necessari per la ricerca di un lavoro. Tali reti possono andare dal contesto fisiologico dell’aiuto di amici, parenti e conoscenti a quello patologico dei “mercanti di schiavi”.

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Specie per un paese ricettore come l’Italia, che ha una tradizione di periodiche sanatorie (2), i grossi network di nazionalità estere già presenti potrebbero continuare a esercitare un forte effetto di attrazione di nuovi clandestini, contrastando l’impatto calmierante degli accordi di riammissione.

Vi è poi l’effetto delle crisi, di fronte alle quali poco possono gli accordi. In particolare, alcuni contributi recenti indicano che crisi di natura politico-economico-finanziaria nel paese di provenienza si accompagnano a significativi aumenti (sia contemporanei che successivi) degli afflussi di clandestini in Italia.

Per contenere la pressione migratoria dovuta a crisi nei paesi d’origine potrebbe perciò servire “più carota e meno bastone”. In altre parole, quando i paesi d’origine (specie quelli geograficamente a noi più vicini) entrano in crisi, la politica più efficace consiste nell’aiutarli a stabilizzarsi.

Da questo punto di vista, quindi, sebbene motivati da altruismo o solidarietà, gli aiuti concessi a paesi in crisi avrebbero ricadute efficaci sul controllo dell’immigrazione illegale anche quando gli accordi di riammissione potrebbero rivelarsi inadeguati.

Per saperne di più

Boeri T. “Immigrazione illegale: leggi italiane e lezioni dagli Stati Uniti”, lavoce.info, 12 settembre 2002.

Boeri T. “Immigrati, la via del realismo”, il Sole 24Ore, 3 giugno 2003.

Chiuri, De Arcangelis e Ferri (2003) “Crisis in the countries of origin and illegal immigration into Italy” http://cidei.eco.uniroma1.it/~gdearc/Research.htm

Corriere della Sera (2003) “Fuga dall’Africa: in viaggio con i clandestini”, 25 dicembre 2003.

Jordan e Düvel (2002) Irregular Migration, Edward Elgar, Cheltemham

Venturini, A. (2002), Le migrazioni e i paesi sudeuropei – Un’analisi economica, Utet Libreria, Torino.

 

(1) Fonte: Annuario Caritas 2003, su dati ministero dell’Interno.

(2) Le sanatorie sono state fatte nel 1987 per 118mila stranieri, nel 1990 per 235mila, nel 1995-96 per 238mila, nel 1998 per 308mila e nel 2002-03 per oltre 600mila.

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sommario 17 febbraio 2004

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Un Pil a tonnellate

  1. Filippo Zanella

    Cio’ che non vedo emergere da i due filoni di articoli (conti pubblici e immigrazione) de “lavoce” incluso quest’ultimo (“Bastone e la carota”…) e’ una quantificazione e qualificazione scientifica di cosa serve al paese in termini di “risorse umane”.
    Le domande che ho in mente io, prima di iniziare a parlare di “giustizia”, “equità'”, “voto agli immigrati” etc. sono piuttosto banali, ma non ho trovato una risposta. Mi piacerebbe che qualche esperto si impegnasse a tracciare uno “scenario” di immigrazione, un “desiderata”.
    Per esempio:
    Quanti immigrati servono e congiuntamente, con che qualifiche professionali per:
    – tenere in piedi il sistema previdenziale cosi’ come lo conosciamo
    – far andare avanti l’economia italiana
    – avere una massa critica di persone da impiegare nel sistema di difesa
    -sviluppare il sistema/paese (fare impresa)
    – creare un ricambio generazionale credibile di classe dirigente
    E poi. Da dove sarebbe meglio venissero in termini di “time to market” (integrazione, velocita’ d’inserimento, lingua…)queste persone?
    – paesi a tradizione cristiano/cattolica o meno?
    – paesi (tipo Argentina) ex ricettori di nostra emigrazione nel passato?
    – paesi con cui abbiamo delle forti relazioni diplomatico/commerciali (Albania…)
    – asia (Filippine/India/Cina…)
    Sarebbe meglio venissero con le loro famiglie o no? Far immigrare famiglie (adulti e minori) che pro e contro presenta?
    Localizzazione. Dov’e’ che ci servono?
    – Citta’ Nord?
    – provincia Nord?
    – citta’ Centro?
    etc.
    Grazie dell’attenzione

    Saluti
    Filippo Z.

    • La redazione

      Troppe domande, a molte delle quali non è peraltro possibile dare risposte. Un incremento dell’immigrazione dell’1% comporta mediamente un incremento del prodotto dello 0,3%. In Italia l’effetto è ancora più forte perchè gli immigrati vanno soprattutto nelle regioni a relativamente alta produttività (e carenza di manodopera) del nord, nord-est.
      Gli immigrati dei nuovi paesi dell’Unione Europea sono mediamente più istruiti dei lavoratori italiani. Potrebbero contribuire grandemente alla nostra crescita economica e al finanziamento dei nostri sistemi di protezione sociale e non avrebbero particolari difficoltà di integrazione. Ma il nostro Governo (assieme ad altri governi europei) sembra intenzionato a sbattere loro la porta in faccia.

      Tito Boeri

  2. ER

    voglio esporre il pensiero di un cittadino comune:

    a)devono venire in italia solo i cittadini extracomunitari richiesti espressamente per iscritto da una data azienda che non riesce a trovare cittadini italiani atti a ricoprire il posto diciamo dopo sei mesi di ricerca

    b) gli ex. dovranno venire a lavorare con un contratto a tempo determinato ed i costi sanitari e di alloggio dovranno interamente gravare sulla azienda richiedente che sara’ anche corresponsabile civilmente e penalmente dei loro comportamenti

    c)su ogni posto di lavoro affidato ad ex. gravera’ una tassa di solidarieta’ corrisposta dal datore o lavoratore a favore delle famiglie italiane con uno o piu’ figli

    d)al termine del contratto determinato l’ex. verra’ rimpatriato a cura della sua azienda sempre cooresponsabile di una eventuale sua permanenza in italia.

    con queste piccole misure il contribuente italiano sara’ completamente soddisfatto.

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