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Dallo scalone alla scaletta

Per contribuire in modo costruttivo al dibattito sulla riforma previdenziale, abbiamo simulato gli effetti della riforma proposta del Governo. Si ottengono risparmi inferiori allo 0,7 per cento del Pil e rimane un forte inasprimento della normativa nel 2008. Non sarà più uno scalone, ma non è neanche uno scalino. Stravolta la filosofia responsabilizzante della riforma Dini: ci sarà molta meno libertà di scelta su quando andare in pensione.

Utilizzando il modello previsivo già descritto sul sito, abbiamo voluto simulare gli effetti della riforma previdenziale annunciata ieri dal Governo e oggi presentata alle parti sociali.

La riforma chiuderà nel 2008 uno dei canali di uscita verso le pensioni: quello rappresentato dalla combinazione di 57 anni di età e 35 anni di contributi. Verrà istituito un nuovo canale che richiede almeno 60 anni di età e 35 anni di contributi, portato nel 2010 a 61 anni di età e 35 di contributi e, nel 2014, e a 62 anni di età e 35 di contributi.
Il Governo sembrerebbe, inoltre, intenzionato a ritardare l’andata in pensione mediamente di sei mesi per tutti gli aventi diritto, chiudendo due delle quattro finestre verso le anzianità.

La simulazione

I risultati della simulazione, per i soli lavoratori dipendenti, sono riassunti nel grafico qui sotto.
Come si vede, la riforma (Tremonti 2) non riesce mai a raggiungere l’obiettivo dello 0,7 per cento del Pil di risparmi, anche quando si tenesse conto della chiusura di due delle quattro finestre (la linea tratteggiata).

Al tempo stesso, non si ha gradualità negli interventi. Fino al 2010 il profilo dei risparmi è lo stesso che si ha nel caso della riforma inizialmente contemplata dal Governo (Tremonti 1, linea continua). Poi le curve si allontanano, per riavvicinarsi solo nella fase in cui i risparmi calano fino a progressivamente scomparire (come già discusso sul sito, la riforma genera un aggravio di spesa nel lungo periodo).

 

Una prima valutazione

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Sin qui le stime. Passiamo a una prima valutazione.
La riforma non sembra imporre maggiore gradualità agli interventi perché mantiene il “blocco” nel 2008 delle stesse coorti coinvolte dalla Tremonti 1.
Questo brusco inasprimento delle condizioni ci fa ritenere probabile che ci saranno maggiori uscite verso il pensionamento da qui al 2008, in virtù dell’effetto di annuncio della riforma. Come scriveva proprio oggi un nostro lettore, “dal 1° marzo entrerò in mobilità lunga fino al 31.12.2009, poiché dal 1°.1.2010 si aprirà la finestra per la pensione. Questo passo, oltre a risparmiarmi quasi sei anni e probabilmente quasi dieci (se passerà la riforma previdenziale), mi garantisce la salvaguardia da qualsiasi cambiamento possa intervenire nel frattempo”.

La riforma stravolge l’impianto flessibile della riforma Dini: dal 2014 in poi si potrà andare in pensione solo dopo aver raggiunto i 62 anni di età. Con il principio responsabilizzante introdotto nel 1996, invece, si poteva farlo a partire dai 57 anni, seppur con importi ridotti.
Riteniamo preferibile stabilizzare la spesa dando libertà di scelta agli individui, piuttosto che imponendo d’imperio un ritardo nel pensionamento.

Infine, la chiusura indiscriminata di due su quattro finestre ha molto in comune con i correttivi iniqui e d’emergenza adottati in passato.

Di positivo c’è l’abbandono del progetto della decontribuzione per i nuovi assunti e l’introduzione del meccanismo del silenzio-assenso per il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. Ma senza incentivi fiscali adeguati potrebbe non bastare a far decollare la previdenza integrativa nel nostro paese.

 

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sommario 17 febbraio 2004

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Un Pil a tonnellate

  1. Alessandro

    Il vostro scenario econometrico, pur contemperando diverse possibilità, si concentra su un dato: la sostanziale incertezza delle previsioni di risparmio formulate come obiettivo dal Governo. Tuttavia, la relazione tecnica di accompagnamento ai tre emendamenti presentati mercoledì al Senato, preparata dalla Ragioneria generale dello Stato, evidenzia che, specialmente per effetto dell’ammorbidimento dello scalone con i nuovi requisiti di pensionamento, tra il 2008 e il 2013 verranno recuperati più di 39,3 miliardi € contro i 36 previsti con l’introduzione del vincolo di 40 anni di contributi. Si spiega inoltre che più di 3 miliardi deriveranno dai minori esborsi per le liquidazioni dei dipendenti pubblici in seguito all’aumento dell’età di pensionamento e alla riduzione delle “finestre”. Il risultato: a regime sempre 0,7% ma con una punta, nel biennio 2015-2016 dello 0,8 per cento. Alla luce di questa maggiore chiarezza sulla natura dell’intervento e sugli esiti prospettati, mi domando come sia possibile che rimangano difformità tra la vostra visione “pessimistica”, e le inferenze della Ragioneria, che dispone dei dati INPS. Francamente, si sarebbe indotti a dar più credito ad essa che ad altre previsioni. Spero possiate fornirmi un chiarimento al riguardo, in particolare sull’ulteriore miglioramento (0.8) indicato dal testo di provenienza governativa. Nel ringaziarvi, porgo i miei più cordiali saluti.

    • La redazione

      E’ vero. La Ragioneria stima risparmi più consistenti di quelli ottenuti col nostro modello previsivo. Parte della differenza si spiega col fatto che, successivamente alle nostre simulazioni, sono state introdotte nuove modifiche alla proposta di riforma, come l’innalzamento dei requisiti anagrafici (e la chiusura delle finestre) per i lavoratori autonomi. Il nostro modello considera solo il lavoro alle dipendenze, quindi non siamo in grado di valutare quanto queste modifiche possano incidere sui risparmi. Nè la relazione tecnica della Ragioneria fornisce queste informazioni.
      Un’altra ragione delle differenze fra le nostre stime e quelle della Ragioneria può risiedere in diverse ipotesi circa il pensionamento dei lavoratori per cui vale il regime misto. Noi ipotizziamo che, dal 2013 in poi, con l’entrata in vigore del regime misto, i lavoratori andrebbero in pensione distribuendosi uniformemente fra le età disponibili fino alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia. Infatti, il cambiamento di regime modifica gli incentivi al pensionamento. La Ragioneria sembra, invece, ipotizzare che il cambiamento fra regime retributivo e regime misto non abbia, di per sè, effetti sulle scelte di pensionamento. Al lettore giudicare il grado di realismo di queste ipotesi. Cordiali saluti.

      Tito Boeri e Agar Brugiavini

  2. Mario

    Scusate, ma guardando i dati presenti nella “Relazione generale sulla situazione economica del paese – 2002”, emerge, a pagina 210, che la spesa previdenziale, in percentuale al PIL, è stata pari al 15,8%. Ma, secondo le previsioni, una cifra simile non si raggiungerà nel 2030?
    Grazie

    • La redazione

      Il grafico cui lei si riferisce include la componente assistenziale della spesa pensionistica (integrazioni al minimo, pensioni sociali e assegno sociale). Nelle proiezioni della Ragioneria dello Stato (e nelle nostre) questa componente non c’è. Questa omissione si spiega col fatto che in principio (solo in principio purtroppo) la parte assistenziale delle prestazioni dovrebbe essere trasferita ad un sistema di assistenza sociale di ultima istanza che valga per tutti i cittadini, indipenentemente dalla loro età, tipo un reddito minimo garantito.
      Cordiali saluti

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