In una economia di mercato leccessivo aumento dei prezzi è impedito dalla libera concorrenza, unita a una politica monetaria adeguata. E infatti tra le competenze del Comitato euro non cera nessun riferimento al controllo dei prezzi, né avrebbe potuto essere diversamente. Più che continuare a discutere degli effetti delleuro sullinflazione, dovremmo preoccuparci di eliminare gli ostacoli alla concorrenza e aiutare così leconomia italiana a diventare più efficiente e competitiva. Il primo gennaio 1999 il valore della lira fu fissato definitivamente rispetto alle monete degli altri paesi membri dell’Unione monetaria europea (Ume). Il primo gennaio 2002 l’euro fece la sua comparsa mandando in pensione la lira e le altre monete dei paesi dell’Ume. La nuova moneta sostituì la lira a un tasso di cambio di un euro contro 1936,27 lire. Da quel momento i prezzi dovevano essere espressi in euro. Prezzi e funzioni del Comitato Sono stato presidente del Comitato dal settembre 2001 fino al suo scioglimento (sei mesi dopo la cessazione del corso legale della lira, come fissato dall’articolo 2, comma 10, del Dpr n. 268 dell’8 luglio 1998). A ogni modo, l’effetto di questa decisione sull’andamento dei prezzi avrebbe dovuto verificarsi nel 1999 e specialmente nella prima metà di quell’anno. Al contrario, in quel periodo l’inflazione rimase bassa. Questa affermazione ignora il fatto che l’Italia ha una economia di mercato e in tale economia, tariffe controllate escluse, un venditore (di scarpe, di cipolle, di triglie) può stabilire qualunque prezzo per ciò che vende. Se fissa un prezzo più alto degli altri, perderà clienti e sarà costretto ad abbassare il prezzo. Una discussione sterile Date queste premesse, è ovvio che il Comitato euro non aveva, né poteva avere, nessuna responsabilità rispetto al controllo dei prezzi. Il decreto del Presidente della Repubblica, n. 268 dell’8 luglio 1998, che ne specificava le competenze, non faceva nessun riferimento al controllo dei prezzi. E infatti, nessuno ha precisato cosa si dovesse controllare in un sistema di libertà dei prezzi. Nei primi sette mesi del 2002 l’aumento dei prezzi fu inferiore all’anno precedente e solo negli ultimi mesi del 2002 si registrò una crescita. Ma troppo tempo era passato per attribuire questo aumento all’introduzione dell’euro, altri fattori erano entrati in gioco. Se questi ostacoli riducono anche la crescita della produttività, l’inflazione italiana potrebbe diventare cronicamente superiore a quella di altri paesi creando crescenti problemi di concorrenza a livello internazionale.
In questa nota vorrei discutere brevemente due questioni. La prima se l’introduzione dell’euro può aver causato un aumento importante, e non solo marginale, dei prezzi.
La seconda, se il Comitato euro, istituito nel 1996 per coordinare “le problematiche e le azioni correlate con l’introduzione dell’euro nel sistema economico e nell’ordinamento giuridico italiano (…)”, fece qualcosa per impedirlo.
Durante questo periodo, il Comitato, che aveva ampia rappresentanza di istituzioni pubbliche e private, si riunì spesso per affrontare problemi logistici o giuridici connessi con l’introduzione della moneta unica europea e contribuì alla soluzione di molti.
Due ipotesi sono state avanzate per spiegare perché l’introduzione dell’euro avrebbe portato a una accelerazione del tasso di inflazione.
La prima è che nel 1999 l’Italia accettò un tasso di cambio contro le monete degli altri paesi Ume troppo sottovalutato. Per i sostenitori di questa ipotesi, l’Italia avrebbe dovuto insistere su un cambio più alto: per esempio 1.800 lire rispetto all’euro, invece di 1.936.27 lire. Se ciò fosse avvenuto, i prodotti importati sarebbero stati meno cari, riducendo l’inflazione
Questa è una strana ipotesi perché, come si sa e come indicano le discussioni odierne sul valore dell’euro (troppo alto) rispetto al dollaro o al yuan cinese, i governi generalmente preferiscono avere monete sottovalutate (perché aiutano le esportazioni) piuttosto che sopravalutate.
Nel 1999, tutti i paesi dell’Ume volevano entrare nell’euro con valute sottovalutate e non sopravalutate. Gli altri Stati sarebbero stati felici se l’Italia avesse proposto un valore più alto per la lira.
Quindi possiamo scartare questa prima ipotesi.
La seconda ipotesi ha due componenti. La prima sostiene che, a differenza dei cittadini di altri paesi dell’Ume, gli italiani non sanno fare i conti e, per esempio, confondono un euro con mille lire. È difficile per me considerare seriamente questa idea.
La seconda ritiene che i commercianti abbiano bisogno di un pretesto per aumentare i prezzi di ciò che vendono.
Quindi, si può assumere che in ogni momento il venditore chiederà il prezzo più alto che può ottenere senza aspettare l’introduzione dell’euro o qualche altra scusa.
In una economia di mercato non è la presenza della Guardia di finanza che impedisce l’aumento dei prezzi, ma la libera concorrenza insieme a una politica monetaria adeguata. Naturalmente, più prezzi politici (come le tariffe), prezzi amministrati (come quelli dei taxi) o di monopolio ci sono, minore è l’effetto della concorrenza nel contenere l’aumento dei prezzi.
Sfortunatamente, in Italia il libero mercato è ancora oggi meno libero di quanto dovrebbe essere.
Durante le numerose riunioni del Comitato si era spesso discussa la possibilità che l’introduzione dell’euro potesse avere qualche effetto sui prezzi. Le preoccupazioni erano due. In primo luogo, c’era il probabile effetto dovuto agli inevitabili costi di conversione: nuovi registratori, costi di addestramento, adeguamento di bancomat, eccetera. richiedevano alcune spese. Era stato anticipato che potessero portare a un aumento dei prezzi di circa lo 0,5 per cento all’entrata in vigore dell’euro.
Stranamente, uno studio recente del Fmi ha stimato che l’introduzione dell’euro in Italia può aver contribuito a circa un quarto dell’inflazione del 2002. Un quarto di quella inflazione è molto vicino allo 0,5 per cento.
In secondo luogo, c’era la preoccupazione che l’introduzione dell’euro potesse portare ad aumenti ingiustificati nelle tariffe e nei prezzi regolamentati. Il Cipe, nella seduta del 15 novembre 2001, aveva emanato una delibera che forniva alcuni indirizzi operativi per scongiurare questa possibilità.
Ad ogni modo, secondo le stime ufficiali dell’Istat, l’introduzione dell’euro non portò a un aumento dell’inflazione nei primi mesi del 2002, il periodo nel quale quell’aumento sarebbe stato più probabile.
Si dovrebbe abbandonare questa sterile discussione sull’effetto dell’euro sui prezzi e cominciare seriamente ad attenuare i numerosi e diffusi ostacoli alla concorrenza che continuano a esistere in Italia e che contribuiscono a mantenere i prezzi più alti di quanto dovrebbero essere.
Meno discussioni e più riforme vere aiuterebbero l’economia a diventare più efficiente e competitiva
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VICO
E più che plausibile la difesa che VT fa dell’opera del Comitato che è stata opera basata sui moduli della economica e non si avvaleva di esperienze analoghe (salvo quella della introduzione del franco pesante che fu accompagnata dall’obbligo di indicare per un certo periodo i due prezzi e di tale suggerimento).
Ma fattore rilevante è stato in Italia quello di carattere psicologico e di costume:per un verso l’homo economicus italicus nello applicare i prezzi di conversione ha pensato bene di accomodarsi gli affari senza preoccuparsi della “concorrenza” inconsciamente certo che lo stesso avrebbero fatto gli altri “concorrenti” e per altro verso davvero abbiamo subito un processo di “appiattimento” tale sull’euro per cui mentre tutto prima era fondato sulla “mille” che era la vera unita di misura standard della lira ora c’era l’euro che le era funzionalmente equivalente e nella adesione a tale disciplina il fattore conversione ,per nostra pigrizia, si è evaporato.
E condivisibile dunque che l’euro rappresentata da “Moneta spicciola”(altro formidabile fattore psicologico di obbiettivo deprezzamento) trapassi al rango di Moneta tout court simile al dollaro.
La redazione
Il commento del Signor/Signora Vico si basa sull’idea che c’e’ un Homo economicus italicus che e’ diverso dagli homo economicus di altri paesi e cosi’ riesce a sfidare con successo le leggi dell’economia.
Nella mia lunga esperienza in tanti paesi del mondo ho molte volte incontrato questo argomento.Spesso mi si diceva che le leggi dell’economia non si applicano a noi perche’ siamo differenti. Il consigliere economico di Stalin
diceva addirittura che il comunismo aveva cambiato le leggi dell’economia. La mia esperienza mi ha convinto che le leggi economiche vincono sempre.
Vito Tanzi
Roberto Evangelista
Con 2 anni di ritardo leggo il suo articolo, ma la polemica non mi sembra ancora finita. non sono uno studioso ne un esperto di economia e delle sue leggi, ma a me sembra che finora a vincere siano state le distorsioni delle leggi economiche, ovvero una sorta di cartello generalizzato e trasversale, conscio o inconscio che sia stato, che ha portato ad allineare i prezzi con un cambio pari tra lira ed euro. ne ho la riprova ogni volta che faccio un acquisto: dai coni gelati, passati da un minimo di 1500lire a 1.5euro, alle scarpe (90000lire=80euro per lo stesso modello) o una pizza (5000lire=4euro).
Claudio Rui
Ho letto l’articolo e i commenti… anche se a distanza di 6 anni! Anzi ciò mi da lo spunto per confermare ciò che affermavo nella risposta data al lettore. L’economia vince sempre, peccato che se uno vince vuol dire che c’è qualcun altro che perde. In questo caso chi ha perso è stato ciascuno di noi in particolare chi stava nella classe bassa e medio – bassa, quella legata al proprio stipendio o meglio al proprio lavoro. I prezzi sono raddoppiati, tantè vero che nell’ultimo anno si sono precipitosamente abbassati anche del 20-30% (scarpe – vestiario di marca – servizi). Penso che il punto non sia se l’economia vince, ma se i soggetti della politica ovvero i cittadini stanno vincendo. Con la politica economica del lasciare andare senza alcun controllo chi ha vinto è chi poteva di più. Un caro saluto.
antonio
La creazione di imprese sviluppa più concorrenza meno inflazione più ricchezza reale più lavoro etc una economia sviluppata al 100% deve avere peto una base monetaria pubblica cioè moneta emessa di proprietà dello stato che non deve più indebitarsi con le banche o le banche centrali come succede ora. La massa monetaria con un economia sviluppata non ha bisogno di crescere essa può aumentare solo creando altre imprese altro lavoro. Oggi la massa monetaria aumenta per finanziare la spesa pubblica aumentando le tasse per pagare il debito. Ne consegue la chiusura di imprese fallimenti etc. Le tasse dovrebbero servire solo per fermare l’inflazione e non per pagare i debiti; infine le banche devono solo guadagnare una piccola percentuale sul diritto di intermediazione del credito e non come avviene ora anche sulla creazione della moneta e sul debito. Bisogna fermare il meccanismo di fare soldi coi soldi senza creare lavoro sviluppo reddito.