In molti paesi europei il confronto televisivo tra i leader delle principali coalizioni in campagna elettorale, senza essere un obbligo, è una prassi consolidata perché si tratta di un luogo di dibattito democratico imprescindibile. Nei sistemi non presidenziali, crea qualche problema la scelta dei protagonisti e la definizione delle regole. Che devono favorire confronto equo, ma finiscono spesso per essere troppo rigide e rendere meno efficace la discussione. E la molteplicità dei temi trattati in tempi molto brevi impedisce di approfondire le questioni. Oltre a essere un grande evento mediatico, il dibattito elettorale televisivo tra i leader delle principali coalizioni rappresenta un luogo di confronto democratico imprescindibile. Tre dibattiti all’americana Nell’esperienza statunitense i formati del dibattito elettorale possono essere tre: il primo assomiglia a una conferenza stampa, con domande fatte dai giornalisti e brevi risposte. Questo formato garantisce domande pertinenti e interlocutori esperti, all’interno di un contesto cui i leader sono abituati. Il rischio può essere costituito da un atteggiamento critico e accusatorio dei giornalisti, o da domande lunghe e complicate. Un altro formato è quello del “town hall meeting“, con domande poste da persone del pubblico, generalmente elettori indecisi selezionati dagli istituti di sondaggi. È molto simile al talk-show e ha il vantaggio di coinvolgere il pubblico. Può comportare, però, domande confuse e non attinenti, o colpi di scena non favorevoli ai candidati. Il “faccia a faccia” tra due candidati è una delle forme preferite dai media e dal pubblico, perché potenzialmente più ricco di colpi di scena e di “drammaticità” rispetto al confronto fra molte voci. L’esempio più noto è il dibattito tra candidati presidenti. Dal 1976 in Usa i dibattiti sono stati organizzati con regolarità e sono diventati un’abitudine, un appuntamento atteso a cui non è obbligatorio partecipare, ma è praticamente impossibile sottrarsi senza essere accusati di aver paura. Nel 1992 George Bush non riusciva ad accordarsi con Bill Clinton per l’organizzazione dei dibattiti e questo venne percepito dall’opinione pubblica come una volontà di fuggire l’avversario. La pressione dei media e i dati dei sondaggi (il 63 per cento pensava che temesse Clinton) lo convinsero a dibattere. I faccia a faccia europei In regimi presidenziali con voto a doppio turno il dibattito è il culmine della campagna. In Francia il primo “Grand débat” tra i candidati al secondo turno si è svolto nel 1974, tra Valéry Giscard d’Estaing e François Mitterrand, e da allora si è ripetuto ad ogni elezione fino al 2002. Un candidato può rifiutare di dibattere con l’avversario al ballottaggio: Jacques Chirac nel 2002 non ha voluto confrontarsi con il leader di estrema destra Jean Marie Le Pen. Candidati e regole Nell’organizzazione di un faccia a faccia non presidenziale il primo problema da affrontare è infatti quello dei protagonisti. Se ci sono più forze in campo, chi ha l’autorità per dibattere? Con quale criterio alcuni vengono esclusi? Nel 2002 in Germania un terzo candidato, Guido Westerwelle (che raccoglieva 14 per cento di preferenze personali), aveva chiesto invano di partecipare al dibattito. Nel 1996 in Italia, Berlusconi non voleva confrontarsi con Romano Prodi, ma con un leader di sinistra della coalizione.
In molti paesi europei non c’è un vero e proprio obbligo di dibattere con gli avversari, ma si tratta di una prassi consolidata, un momento istituzionalizzato e un rito con cui culmina la campagna elettorale, soprattutto nei paesi in cui il presidente o il premier vengono eletti direttamente.
L’ultimo formato prevede domande da parte di un solo moderatore, che vigila sul rispetto delle regole e dei tempi. Favorisce una discussione approfondita sui temi prescelti, consente domande di chiarimento e alcuni momenti di dialogo tra i candidati, ma richiede grande abilità del moderatore.
Il primo dibattito presidenziale televisivo si è svolto negli Stati Uniti nel 1960 ed è spesso preso a esempio dell’importanza dell’immagine in un confronto simile: un John Kennedy giovane, abbronzato, a suo agio in tv, aveva brillato di fronte all’avversario Richard Nixon, pallido e stanco dopo un’operazione, che aveva scelto il vestito del colore sbagliato.
Nei sistemi non presidenziali l’organizzazione di un faccia a faccia televisivo può creare maggiori difficoltà. In Europa, un esempio particolare è quello della Germania, dove il primo dibattito “all’americana” tra due candidati si è svolto in occasione delle elezioni del 2002: Gherard Schröder e Edmund Stoiber, candidati cancelliere delle principali coalizioni, si sono sfidati in due duelli televisivi. Tutti i tentativi di organizzare dibattiti simili in precedenza erano falliti – fin dal 1961, quando Konrad Adenauer rifiutò di confrontarsi direttamente con Willy Brandt per non legittimare il suo avversario.
In Italia la legge sulla par condicio prevede confronti tra candidati, ma non un faccia a faccia tra i due leader principali. Il primo faccia a faccia televisivo è stato quello tra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto del 1994, deciso dopo una lunga contrattazione sulle modalità del confronto e sui partecipanti.
Il secondo problema nell’organizzazione del dibattito elettorale sono le regole, decise con una mediazione tra i due candidati e con i media: ogni aspetto viene negoziato, dai contenuti e dalla durata delle risposte fino alla lunghezza del tavolo e al colore dello sfondo nello studio tv.
Il criterio generale è la parità di condizioni.
In Germania nel 2002 i due candidati avevano novanta secondi per ogni risposta e se qualcuno parlava di più il tempo veniva attribuito anche all’avversario facendogli una domanda supplementare alla fine. In Francia esiste perfino una “par condicio” visiva: inquadrature simili per entrambi i candidati, con il divieto di mostrare le espressioni di chi non sta parlando.
Tali regole favoriscono un confronto equo, ma possono rendere meno efficace il dibattito, anche perché spesso i candidati non possono rivolgersi la parola. Il formato del dibattito televisivo viene spesso criticato per tale rigidità e anche perché la molteplicità dei temi trattati, in tempi brevi, rende impossibile approfondire le questioni e articolare un confronto di idee.
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