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Un bilancio ad interim

E’ stato il ministro delle una tantum e ha giocato d’azzardo sperando in una ripresa del ciclo e in un allentamento dei vincoli europei. Ha perso e lascia i conti pubblici in una situazione preoccupante. Eppure, rischiamo di rimpiangere Giulio Tremonti. Di fronte a un prevedibile rialzo dei tassi, dovremmo ridurre la spesa primaria che ha ripreso a crescere. Invece per il prossimo ministro delle Finanze varranno le leggi del ciclo politico, che comportano un aumento del deficit pubblico di circa mezzo punto di Pil in occasione di ogni tornata elettorale.

Come Jacques Necker, ministro delle Finanze di Luigi XVI, Giulio Tremonti ha goduto di un grande potere. Come Necker, Tremonti ha finito per essere vittima delle sue stesse creazioni. È stato il ministro delle una tantum. E di una tantum oggi perisce. Ha giocato d’azzardo sperando in una ripresa del ciclo e in un allentamento dei vincoli europei. E ha perso. Ci lascia un eredità pesante. Ma le sue dimissioni rischiano di spianare la strada al peggiore dei cicli politici. Potremo anche rimpiangerlo.

Il potere di Tremonti

Tremonti è stato il primo ministro dell’Economia della storia repubblicana, il che gli ha permesso di accorpare su di sé le funzioni precedentemente ricoperte dai titolari del ministero del Tesoro e delle Finanze e, se vogliamo risalire indietro nel tempo, dai ministeri delle Partecipazioni Statali e del Bilancio e della Programmazione Economica. È stato ministro di un governo con la più solida maggioranza parlamentare (in entrambi i rami del Parlamento) dopo il sesto Governo De Gasperi. Ha potuto gestire la politica economica del Governo Berlusconi avendo di fronte a sé un’associazione degli industriali molto arrendevole. Ha dovuto fronteggiare un sindacato non disposto a concedere sconti, ma anche fortemente diviso al suo interno.

Nonostante dovesse attuare un programma che prevedeva una forte riduzione delle tasse e della spesa pubblica, è riuscito in questi anni solo a espandere la spesa, cresciuta di ben due punti del Pil. La congiuntura non è stata per lui particolarmente favorevole, ma neanche così ostile come spesso paventato. È più facile tagliare le tasse e la spesa pubblica in periodi di crescita economica. Ma sotto il suo regno è continuata la discesa dei tassi di interesse, una manna per chi deve gestire il “terzo debito pubblico del pianeta”. Sarà più difficile il compito del suo successore, adesso che si è interrotta la fase dei tassi calanti.

Vittima delle sue creazioni

Tremonti è stato di una fantasia rara nell’inventare misure una tantum, un genio nella finanza creativa. Questo ha permesso al nostro paese di rispettare i vincoli presi a livello europeo. Non è stato certo il primo a usare le una tantum (ce ne sono state anche nella passata legislatura), ma senz’altro il più assiduo. Nelle sue intenzioni, sarebbero dovute servire a guadagnare tempo, in attesa di momenti migliori. Ma il rinvio dei problemi agli esercizi futuri e la finanza creativa hanno finito per allentare anche i vincoli di bilancio percepiti all’interno della coalizione, permettendo agli alleati di governo di sottoscrivere accordi per il pubblico impiego che recepivano in pieno la piattaforma sindacale. E quando il quadro preoccupante dei conti pubblici è risultato evidente a tutti, è stato facile per gli alleati incolpare Tremonti di averli truccati.

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Sotto la sua reggenza dell’Ecofin, si è consumata la rottura del Patto di Stabilità e crescita, con la riunione dei ministri delle Finanze dell’Unione che ha deciso di non applicare le sanzioni a Francia e Germania in cambio di un atteggiamento più morbido nei confronti dell’Italia (quello che oggi ci ha permesso di evitare l’early warning). Il messaggio secondo cui le regole ci sono solo per non essere applicate, il protratto sforamento dei vincoli di Maastricht da parte dei nostri principali partner europei hanno, di fatto, indebolito l’azione di Tremonti sul fronte interno. È stato costretto a dimettersi alla vigilia di una riunione Ecofin decisiva per il nostro paese. Segnale chiaro del fatto che i vincoli europei non sono stati presi troppo sul serio da molti ministri.

Un’eredità pesante

Abbiamo documentato su questo sito lo stato attuale dei conti pubblici. Il consuntivo degli ultimi tre anni è sintetizzato in un dato: il saldo primario della Pa nel 2003 è stato peggiore di 1,7 punti di Pil rispetto al risultato del 2000. Solo la riduzione della spesa per interessi (1,2 punti di Pil), il dividendo dell’euro, ha consentito di mantenere il disavanzo complessivo al di sotto della soglia del 3 per cento. Di fronte a un prevedibile rialzo dei tassi, bisognerà ridurre la spesa primaria che, invece, ha ripreso a crescere (un punto nel solo 2003), dopo essere rimasta costante tra il 1996 e il 2000. Non tanto per nuove misure, ma perché l’azione di contrasto è stata debole, basata su interventi tampone (vedi taglia-spese), con lenti progressi nella costruzione di un moderno sistema di monitoraggio e controllo (come testimonia la diatriba tra Tesoro e Banca d’Italia sull’emersione di nuovo debito pubblico alla fine dello scorso anno vedi Perotti) e di un compiuto sistema di relazioni finanziarie tra Stato centrale e autonomie territoriali.

Anche le entrate sono cresciute (due punti di Pil rispetto al 2000) sotto la reggenza Tremonti, ma è una crescita che contiene i germi di andamenti molto meno favorevoli in futuro.

La successione di condoni ha fortemente incrinato il rapporto tra fisco e contribuenti (vedi  Bordignon). Segnali evidenti sull’andamento delle entrate “strutturali” (al netto dei condoni) sono presenti già nel 2003. L’aumento dell’evasione, per una sorta di contrappasso, potrebbe divenire la pietra tombale sulle ipotesi di riduzione delle aliquote dell’Irpef. Buona parte delle entrate aggiuntive è venuta dai proventi della vendita del patrimonio pubblico, non destinati a ridurre il debito, ma solo a tenere insieme l’equilibrio dei conti. Anche qui con costi potenziali non trascurabili (vedi Scip2).

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Negli ultimi mesi il gioco d’azzardo, la politica dell’attesa di tempi migliori è divenuta insostenibile: il disavanzo viaggia verso il 4 per cento del Pil e il tempo per mantenere le promesse elettorali si sta esaurendo.

Cosa accadrà ora?

Difficile cercare di leggere nella sfera di cristallo, almeno fin quando non si saprà chi sostituirà Tremonti. Ma una cosa è certa: chiunque siederà alla scrivania di Quintino Sella in via XX Settembre, magari in affitto, difficilmente potrà accentrare su di sé lo stesso potere del suo predecessore e vivrà in un clima di assalto alla diligenza.

Dietro alla richiesta di collegialità, si legge un tentativo di procedere a uno smembramento delle competenze del ministro dell’Economia, con la ricostruzione di fatto del dualismo fra Finanze e Tesoro e si parla anche di un ministero per il Mezzogiorno. Una collegialità virtuosa può invece venire da una maggiore trasparenza della politica di bilancio che renda il vincolo finanziario chiaramente percepibile a tutti: ministri, gruppi di interesse e opinione pubblica. Per evitare il saccheggio del bilancio pubblico è necessario un sistema di regole rigide e una “casa di vetro”.

Varranno poi per il successore di Tremonti le leggi del ciclo politico, che comportano un aumento del deficit pubblico di circa mezzo punto di Pil in occasione di ogni tornata elettorale. Tremonti sembrava in procinto di gestire il ciclo politico riducendo le tasse, anche senza copertura. Nel suo mesto messaggio di congedo, in quel suo “non mi hanno lasciato tagliare le tasse”, si intuisce che il suo successore verrà spinto dai colleghi ad aumentare il disavanzo nel modo più tradizionale: aumentando la spesa, anziché riducendo le tasse.

Dato lo stato dei nostri conti pubblici, il ciclo politico, che rischia di essere molto lungo data la minaccia continua di elezioni anticipate, è comunque una sciagura. Non si sa cosa scegliere fra disavanzo con più spesa “per lo sviluppo”, disavanzo con più devolution o disavanzo con meno tasse. Con l’interim di Berlusconi, rischiamo di averle tutte e tre. In questo interim elettorale potremo anche rimpiangere Tremonti.

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Le imposte di Tremonti

  1. Franco Zannoner

    Ma Tremonti avra’ fatto qualcosa di giusto ?

    • La redazione

      Certamente sì. Si è ad esempio opposto al “salvataggio” Alitalia, come non abbiamo mancato di rilevare sul sito. Comunque non ci proponevamo di offrire una valutazione dell’operatro complessivo di Tremonti, ma intervenire solo sulla sua gestione dei conti pubblici, guardando in avanti, al dopo-Tremonti. Sul contributo a tutto tondo di Tremonti torneremo quanto prima.
      Cordiali saluti

  2. Renato Tubére

    Chi scrive è un elettore medio di Forza Italia, che scopre di aver dato fiducia a un politico scopertosi non all’altezza della sua fama. Il fiscalista di Sondrio è stato soprannominato “piccolo Colbert”, cioé un modo elegante per dire che poteva essere tutto, tranne che a favore del libero mercato.
    Tremonti alla vigilia dell’Ecofin di lunedì ci ha lasciato una pesante eredità! Condoni e misure una tantum come se piovesse, conti pubblici terribilmente in disordine, riforme preparate da colleghi bravi non attuabili per mancanza di fondi (i cordoni della borsa li ha sempre tenuti lui, poche chiacchiere!)
    Il fabbisogno della spesa pubblica è ora in pericoloso aumento, e lui si è messo – e ci ha messo, mannaggia a lui! – contro poteri forti come Fazio, fondazioni bancarie, Confindustria e Trimurti sindacale.
    Se alle europee Forza Italia ha perso (compreso il mio!) quasi 4 milioni di voti, il principale responsabile è proprio l’ex superministro! L’elettorato di centro-destra vuole fatti, non inutili manfrine: e di queste ultime Giulio Tremonti si è purtroppo dimostrato insuperabile maestro!

  3. Adolfo Tancredi

    Tremonti, e poi? La domanda non mi sembra peregrina, specie oggi che Berlusconi si candida a Ministro dell’Economia, non si sa per quanto tempo. Credo che abbia già fatto abbastanza danni e non vorrei dover rimpiangere il suo predecessore. Di populismo e pressappochismo si vive poco.

  4. Roberto BERA

    La spesa pubblica é enorme. Ma la spesa pubblica é fatta di varie voci. Ci si lamenta che in Italia si spende troppo poco per la ricerca, troppo poco per la scuola… ma allora dove si spende?
    Scusate la mia ignoranza, ma mi piacerebbe avere un grafico “grossolano” delle voci di spesa italiane paragonato con quello di stati di cultura analoga (tipo Germania e Spagna non Singapre o Qatar o Kenya..)

    Dalle voci che debordano il successore di Tremonti saprá dove intervenire.
    Grazie.

    • La redazione

      La ringrazio per la domanda che è utile a chiarire qual è la questione fondamentale dei nostri conti pubblici. La spesa pubblica italiana, in rapporto al PIL, per i principali settori di intervento (sanità, istruzione, difesa, ecc.) è in genere più bassa di quella degli altri paesi della UE. L’eccezione è la spesa per pensioni, ma anche lì il divario non è poi
      enorme. Nel 2003 (sono dati appena pubblicati nel sito dell’ISTAT), la spesa pubblica al netto degli interessi in Italia è al 43,6 per cento del PIL, contro il 45,2 dell’Europa a 15 (la Germania è al 45,8, la Francia al 51,9; spendono significativamente meno di noi solo il Regno Unito e l’Irlanda). Il nostro problema è nella spesa per interessi, che pesa quasi il doppio che altrove (5,4 per cento del PIL in Italia, contro 3,2 per cento media UE15). Insomma dobbiamo pagare il conto delle politiche degli anni ’70 e ’80 (non
      solo spesa facile, ma anche cattivo funzionamento del sistema tributario). Negli ultimi anni le cose, dopo l’ingresso nell’euro, sono andate meglio: i tassi di interesse sono scesi per tutti ma i nostri più di quelli degli altri (a metà anni ’90 i nostri titoli di Stato pagavano ancora 4-5 punti in
      più di quelli tedeschi, oggi pagano lo stesso interesse). Bisogna continuare su quella strada. Il pericolo di tornare alla situazione del 1996, quando la spesa per interessi era addirittura l’11,5 per cento del PIL, è sempre dietro l’angolo.

  5. lorenzo longo

    gentile redazione e gentili lettori,
    pur condividendo i giudizi esposti qui circa l’operato dell’ormai ex-ministro Tremonti, a sua parziale difesa mi sembra comunque necessaria una considerazione. Credo che sia universalmente riconosciuto che, in ultima analisi, i problemi di bilancio attuali e pregressi del nostro paese derivino in massima parte dagli sprechi e le inefficienze (siano esse dolose colpose) che caratterizzano la gestionestio della “cosa pubblica” a tutti i suoi livelli, dai consigli di zona fino al parlamento nazionale. Quella di Ministro dell’economia, soprattutto dopo l’accentramento delle cariche, è sicuramente una posizione privilegiata per poter mettere mano a questa situazione, ma essa permette solo di ragionare al livello di macro-voci aggregate, senza poter entrare nel merito delle singole operazioni dei vari ministeri o enti collegati dove si annidano gli sprechi. Il povero Tremonti aveva anche elaborato un provvedimento che prevedeva la riduzione indiscriminata delle spese di tutti i ministeri, ma questo fu duramente attaccato da tutti componenti della maggioranza in nome di politiche “keyneseiane” di sostegno all’economia (che se Keynes fosse vivo,sono sicuro esclamerebbe”not in my name”!!). Non mi sembra giusto,quindi,riversare sul ministro uscente tutte le colpe di quella che è un malcostume diffuso per estirpare il quale servirebbe una radicale evoluzione culturale. Concludendo, mi sento di convenire con Montanelli quando affermava che, forse, il vero grande vantaggio che il nostro paese avrebbe potuto trarre dall’entrata in Europa era quello di, un giorno, essere governato dai tedeschi!
    cordiali saluti e perdonatemi se mi sono dilungato,
    Lorenzo Longo

    • La redazione

      Mah, i tedeschi non stanno dando gran begli esempi. Quanto a Tremonti, sicuramente c’è chi nella maggioranza (e anche tra le fila dell’opposizione) è pronto ad una gestione peggiore della sua dei conti pubblici. Ma questo non toglie nulla al nostro giudizio critico — e al tempo stesso equilibrato perchè attento al contesto in cui si è trovato ad operare — sul suo operato. Cordiali saluti

      Tito Boeri

  6. Lorenzo Posocco

    I creditori che attingono interessi dall’enorme debito pubblico italiano, sono ormai esterni a questo Stato ed il debito andrà comunque pagato dai… nostri eredi, se saranno così bravi da riuscirci. Quello che non posso accettare è la non punibilità (in senso lato), di chi il debito, in circa dieci anni, l’ha creato. Tutti i passati governi di centro prima e di centro sinistra poi, ne sono altamente responsabili. Si sono “salvate” e finanziate imprese che non lo meritavano e se ne sono affossate altre, per meri interessi di bottega. Ritengo che i recenti provvedimenti inclusi nella finanziaria e quelli che comunque prevedano un aumento delle tassazioni, non possano essere accettati da una moltitudine di operatori ed Imprese che si ritengono offesi dall’ignobile comportamento di entità che sono state votate per rappresentare i cittadini e che invece negli anni hanno favorito l’interesse di pochi ed affossato il Paese. Ritengo che molti rivolgeranno le proprie iniziative all’estero, lasciando in Italia le briciole. Molte saranno le Imprese che si frazioneranno limitando al massimo l’attività, e che vi sarà un definitivo arresto alle assunzioni. Certo ci penserà il Governo ad aumentare le assunzioni all’interno di uno stato che nel Mopndo è quello che più spende per mano d’opera, impiegati e funzionari. Ci penseranno loro ad assumere gli immigrati, a mantenere le pensioni a questi livelli, a continuara la redditiva attività dell’assistenzialismo di Stato. Qualcuno ha mai provato a fare un elenco degli Enti inutili o quasi, normalmente assistiti? Qualche tempo fa l’ho fatto, ed è troppo lungo per essere quì incluso.
    Forse la strada del Canada o del Brasile è quella migliore da suggerire ai nostri figli. Ho una figlia che free-lance nel settore della stampa, lavora da tre anni 17 ore al giorno per circa 1400 € mensili senza contributi. Quanto durerà secondo voi, prima cheusi il suo passaporto in modo realisticamente utile?

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