Eni si è difesa dalla maggior concorrenza dovuta alla liberalizzazione del mercato del gas mantenendo direttamente o indirettamente il controllo su tutta la filiera. Così, i prezzi finali restano elevati. E’ perciò necessario continuare con la politica di liberalizzazione, fino a una completa separazione proprietaria tra società che gestisce le infrastrutture e imprese che esercitano le attività di vendita di gas. Il passaggio a una vera e propria Borsa presuppone però una crescita della liquidità ottenibile solo con operazioni di gas release.

Le conclusioni dell’indagine sulla liberalizzazione del mercato del gas, condotta congiuntamente dall’Autorità antitrust (Agcm) e dall’Autorità per l’energia (Aeeg), hanno ancora una volta evidenziato un differenziale significativo fra il prezzo del gas praticato in Italia e negli altri paesi europei. Un fatto denunciato anche dalle imprese grandi utilizzatrici di gas, che stimano un aggravio del 20 per cento circa. L’indagine ha il pregio di dimostrare contemporaneamente che il gruppo Eni, principale importatore e sostanzialmente unico produttore di gas in Italia, ha costi di approvvigionamento minori rispetto agli altri operatori. Il differenziale di prezzo è dunque riconducibile agli extra-profitti dell’ex-monopolista. I prezzi per l’uso delle infrastrutture sono infatti tenuti sotto controllo da Aeeg e si sono ridotti nel corso degli ultimi tre anni, sotto l’influsso del price-cap.

Vincoli alla crescita

La diffusione dei risultati dell’indagine contribuisce anche ad alimentare il dibattito sulla competitività dell’economia italiana. Ciò che emerge in questo caso, così come in altri, è che la competitività dell’economia è parente stretta del grado di concorrenza che caratterizza i singoli mercati. Le rendite di monopolio, nell’ambito di un mercato energetico ingessato, contribuiscono all’affanno di molte imprese che si confrontano con concorrenti sempre più agguerriti nei mercati dei prodotti manifatturieri. Tali rendite si configurano dunque come vincoli alla crescita.
Nel caso del mercato del gas naturale, la liberalizzazione ha consentito l’entrata di nuove imprese, ma l’ex-monopolista si è difeso dalla minaccia di maggior concorrenza mantenendo direttamente o indirettamente il controllo su tutta la filiera, dall’importazione alla vendita, passando per il trasporto sui metanodotti e lo stoccaggio in giacimento. I tetti antitrust nell’importazione, imposti dal decreto legge164/00 per far spazio ai debuttanti sul mercato, si sono rivelati inefficaci, perché Eni li ha aggirati: ha venduto gas di sua proprietà ai nuovi concorrenti nazionali, sfruttando il controllo che ancora mantiene sui metanodotti internazionali. Questa abile operazione di intermediazione ha creato un mark-up a beneficio di Eni e contribuisce a mantenere elevati i prezzi finali. Dopo di essa, la capacità di trasporto internazionale di gas in Italia è stata sostanzialmente saturata. I margini attualmente disponibili per importazioni indipendenti dall’ex-monopolista, facendo ricorso alle infrastrutture esistenti, sono ormai risicati.

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Nuove infrastrutture?

La soluzione proposta, oltre alla regolazione europea delle autostrade del gas, è la costruzione di ulteriori infrastrutture di importazione da parte di imprese nuove entranti. Progetti concreti per l’importazione di gas via nave (Gnl), sostenuti fra gli altri da Enel, Edison e British gas, dovrebbero partire a Brindisi e a Rovigo. I risultati di tali progetti, il cui decollo è soggetto a una lunghissima trafila di autorizzazioni, si vedranno comunque nel lungo termine. Tuttavia, una politica di liberalizzazione più attiva ha ancora spazi da conquistare anche nel breve e nel medio termine.
Se è vero che l’Italia si distingue da altri paesi europei per un quadro di regole più avanzate in tema di liberalizzazione, è altrettanto vero che è necessario spingersi ancora oltre per cogliere i frutti della concorrenza. Ad esempio, la separazione societaria fra Eni e le società controllate che si occupano di trasporto (Snam Rete gas) e di stoccaggio (Stogit) non è sufficiente per assicurare la neutralità delle infrastrutture essenziali, utilizzate contemporaneamente da Eni e da tutti i suoi concorrenti. Occorre una completa separazione proprietaria, che renda realmente indipendente la società che gestisce le infrastrutture dalle imprese che esercitano le attività di vendita di gas. Solo il governo e il Parlamento possono disporre simili provvedimenti, ma il decreto Marzano non prevede ancora soluzioni così avanzate.

Una Borsa per il gas

Per affrontare il problema fondamentale della scarsità di capacità per importare gas non-Eni, resta ancora da sperimentare l’effetto di un provvedimento che richieda a Eni di cedere all’asta parte del suo gas (gas release). Eni non è solo il principale importatore, ma controlla praticamente l’intera produzione nazionale. E indirettamente, tramite la Stogit, controlla anche notevoli quantità di gas bloccate nei giacimenti di stoccaggio per ragioni di sicurezza delle forniture. Solo un’analisi benefici-costi potrebbe dimostrare l’opportunità di immobilizzare quantità di gas così notevoli a titolo di riserva strategica. Fra i benefici di un loro parziale smobilizzo, quello di liberare spazio per le attività di stoccaggio (oggi razionate) dei concorrenti di Eni, nonché la creazione di maggior liquidità per scambi di gas su un mercato centralizzato nel quale il prezzo fluttui in base alla legge della domanda e dell’offerta. Il mercato per scambi bilaterali di gas, attualmente in funzione, ha dimensioni trascurabili. Il passaggio a una vera e propria Borsa, con determinazione anonima dei prezzi, presuppone però una crescita della liquidità ottenibile solo con operazioni di gas release.
L’indagine conoscitiva ha già annunciato operazioni di questo tipo da parte di Agcm, ma il controllo della produzione nazionale e degli stoccaggi è nelle mani del ministero delle Attività produttive.Per il momento, non vi sono segnali di modifica delle regole vigenti in materia.

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