Sembra difficile sostenere che il governo di centrodestra abbia ereditato da quello precedente una situazione dei conti pubblici fortemente deteriorata o che il rallentamento dell’economia mondiale abbia pesato in maniera determinante sugli andamenti di finanza pubblica dopo il 2001. Se così fosse, tra l’altro, i conti pubblici non registrerebbero un ulteriore e pronunciato deterioramento proprio nel 2004, quando si manifestano i primi segnali di una seppur timida ripresa. Mentre è arduo il compito che attende il prossimo ministro dell’Economia.

L’articolo, assai pregevole, di Roberto Perotti offre un bilancio dell’operato del ministro Giulio Tremonti. La ricostruzione del passato va però fatta con i dati che erano disponibili in quel momento, non con le informazioni di oggi. Le valutazioni che ne risultano possono essere assai diverse.

IL LASCITO DEI GOVERNI PRECEDENTI

Il governo di centrodestra ereditò un processo di aggiustamento fiscale del tutto sbilanciato? È questa la tesi di Perotti secondo cui l’aggiustamento fiscale dei governi precedenti fece uso di misure temporanee, privilegiò l’aumento delle entrate e non incise se non de minimis sulla spesa primaria.
Tesi non del tutto convincente se consideriamo che il processo di risanamento fiscale comincia con il governo Amato nel 1992. La Finanziaria di Amato non è però "visibile" negli andamenti effettivi delle uscite in quanto incide sul tendenziale della spesa pensionistica. In assenza di tale correzione, la spesa sociale sarebbe cresciuta, secondo le stime dell’Ocse, di altri 5 punti del Pil. La mera analisi del dato nasconde quindi una correzione radicale dell’andamento dei conti pubblici. E fu proprio il miglioramento del saldo primario indotto dalle misure adottate dai governi precedenti che consentì all’esecutivo guidato da Prodi di intervenire con provvedimenti in gran parte temporanei per accedere all’Unione monetaria e beneficiare di un calo massiccio della spesa per interessi. Semmai la colpa dei governi di centrosinistra è di non avere fatto di più dopo il 1997 per proseguire l’opera di risanamento del bilancio.
Furono gli squilibri di bilancio ereditati dal governo precedente (il disavanzo nel 2001, ci ricorda Perotti, si attesta al 2,6 per cento del Pil) che costrinsero il governo di centrodestra a ricorrere massicciamente alle una tantum? Di nuovo si corre il rischio di un errore di prospettiva.
Fino a febbraio del 2002 (ben dopo quindi l’attacco alle Torri Gemelle), l’esecutivo di centrodestra era convinto che i conti pubblici fossero sotto controllo, che il disavanzo del 2001 non avrebbe superato l’1,1 per cento e che anche la situazione del 2002 non destasse preoccupazioni (il disavanzo tendenziale per quell’anno veniva stimato all’1,7 per cento dalla Relazione previsionale e programmatica). Ci vorranno più di diciotto mesi di revisioni dell’Istat e di sentenze dell’Eurostat perché il disavanzo del 2001 venga rivisto al 2,6 per cento. Si tratta di un dato quindi che non può avere indotto il governo a orientare la politica fiscale in senso restrittivo né per il 2002 né per il 2003. Semmai è vero il contrario. La sentenza Eurostat di luglio 2002 sulle cartolarizzazioni aggravò il saldo del 2001 per una cifra pari a circa 7 miliardi di euro, ma consentì di contabilizzare tali entrate nel 2002 e nel 2003 riducendo quindi le esigenze di una stretta di bilancio per quegli anni.

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RALLENTAMENTI DELL’ECONOMIA E TASSI D’INTERESSE

Le difficoltà di bilancio dopo il 2001 vanno attribuite al rallentamento dell’economia mondiale? Perotti mette in luce come il disavanzo corretto per il ciclo migliori, e di molto, dal 2001 al 2003. Verissimo. Le stime della Commissione pubblicate nell’ultimo rapporto di primavera mettono in luce una riduzione dell’indebitamento strutturale dal 3,2 per cento nel 2001 all’1,9 per cento nel 2003. Ma anche questo dato va considerato con molta cautela, almeno per quattro motivi.
In primo luogo, è completamente cambiata la stima dell’output gap, negativo nelle stime formulate a novembre del 2001 (la produzione effettiva era quindi inferiore a quella potenziale e il disavanzo corretto per il ciclo minore di quello effettivo) ma positivo nei dati rivisti successivamente e utilizzati da Perotti. Utilizzando la stima dell’output gap disponibile nel 2001, il disavanzo strutturale di quell’anno scenderebbe di quasi un punto, al 2,3 per cento.
In secondo luogo, sul dato del 2001 si concentrano tutta una serie di revisioni, molte delle quali – si pensi alla spesa sanitaria – andrebbero attribuite ad anni precedenti. Inoltre, tutto il miglioramento del saldo di bilancio strutturale va attribuito al calo della spesa per interessi – 1,2 per cento – a sua volta frutto della riduzione dei tassi di interessi mondiali e non della diminuzione del debito che rimane invece inchiodato su valori ben al di sopra del 100 per cento. Infine, se è vero che l’avanzo primario corretto per il ciclo non peggiora tra il 2001 e il 2003, questo risultato è stato ottenuto con misure tampone, come i condoni, che peseranno, e non poco, sui conti pubblici nei prossimi anni.

IL FARDELLO DEL PROSSIMO MINISTRO

In conclusione, sembra difficile sostenere che il governo di centrodestra ereditò da quello precedente una situazione dei conti pubblici fortemente deteriorata o che il rallentamento dell’economia mondiale abbia pesato in maniera determinante sugli andamenti di finanza pubblica dopo il 2001. Se così fosse, tra l’altro, i conti pubblici non registrerebbero un ulteriore e pronunciato deterioramento proprio nel 2004, quando si manifestano i primi segnali di una seppur timida ripresa.
L’articolo di Perotti si ferma al 2003 e trascura quindi il periodo in cui i nodi di una politica sbagliata stanno venendo tutti al pettine. Secondo le stime della Commissione, l’avanzo primario corretto per il ciclo si ridurrà infatti nel 2004 di un punto del Pil, circa 13 miliardi di euro.
Per il 2005 gli andamenti sarebbero ancora peggiori. Dovremo aspettare il Dpef per avere informazioni al riguardo, anche se è oramai evidente che il nuovo ministro dell’Economia dovrà fare i conti con un disavanzo che, anche in assenza degli sgravi promessi, è ben al di sopra del 4 per cento e di una dinamica del debito palesemente insostenibile.

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