La necessità delle grandi opere non sembra essere messa in discussione da nessuno. Ma le ricerche indipendenti dimostrano che i costi sono ben superiori ai benefici. E per coloro che dovrebbero utilizzarle, imprenditori e cittadini, non sono una priorità. Eppure quella del cemento è una tentazione a cui difficilmente i politici resistono perché assicura una visibilità immediata, mentre i problemi di efficienza sono nascosti o comunque rimandati nel tempo. Così anche lopposizione finisce per lanciarsi in pericoli “inseguimenti” dei piani governativi. Uno dei cardini del programma dell’attuale governo sono stati, e sono tuttora, i grandi progetti infrastrutturali, quasi tutti di trasporto. Per accelerarne l’iter, è poi stata varata la “Legge Obiettivo”. Grandi, costose e inutili Le risorse finanziarie pubbliche disponibili sono apparse da subito largamente insufficienti, quindi si è molto puntato sul ruolo dei privati (“Project Financing”). Ma anche su questo versante sono sorti immediatamente gravi problemi, poiché i traffici (reali) previsti sono risultati modesti. Alcuni studi indipendenti fatti dal Politecnico e dall’Università Cattolica hanno dimostrato che per molte opere il rapporto tra costi e benefici è fortemente negativo. Una recente indagine tra gli imprenditori del Mezzogiorno ha confermato il loro scarso interesse per le grandi infrastrutture. Una tentazione irresistibile La tentazione del cemento si dimostra irresistibile non solo in Italia: la Commissione Van Miert ha presentato uno studio “rigoroso”, da cui risulta che qualsiasi opera è giustificata purché piaccia ai promotori politici. · Nessuno saprà che l’opera è uno spreco di preziose risorse: ci vogliono anni a finirla, poi si inaugurerà, e qualcuno la userà (magari il governo è cambiato eccetera). Cioè: visibilità politica immediata, e problemi di efficienza occultati o comunque dilazionati nel tempo. Basta definire “strategica” qualsiasi sciocchezza tecnica. Ma è poi così grave costruire un po’ di opere di dubbia utilità? Prima o poi serviranno comunque. Non sarebbe grave se i soldi pubblici fossero abbondanti, o non vi fossero destinazioni alternative della spesa. O se questa spesa avesse un importante impatto anticiclico, oppure incentivasse straordinariamente il progresso tecnologico del paese, o ne valorizzasse le preziose risorse ambientali.
Si è ricorso allora a “privati” che tali non sono, come Fs o Fintecna, e ad ampie garanzie pubbliche per gli investitori, garanzie che di fatto rappresentano una spesa pubblica “mascherata”. Oppure si sono tassati in modo occulto tutti gli utenti, come nel caso degli investimenti di Autostrade per l’Italia, attraverso il rialzo generalizzato delle tariffe su tutta la rete.
Che in tutto il mondo i “grandi progetti” cari ai politici abbiano generato risultati economici generalmente disastrosi, è d’altronde cosa nota agli studiosi del settore. (1)
Tuttavia, nessuno nel governo ha preso spunto da queste vicende per mettere in dubbio la necessità di molte di queste opere (pur essendo lo scarso traffico un forte segnale in tal senso). Gianfranco Miccichè, viceministro per il Mezzogiorno, è stato l’eccezione quando ha dichiarato alla stampa che “(…) il ponte sullo stretto di Messina non è prioritario (
)”, ma solo per il breve spazio di un mattino.
Alcune Regioni, come Umbria e Toscana, non vogliono le opere che le riguardano, perché le giudicano inutili. Le ferrovie hanno tentato invano di proporre al Cipe una soluzione meno costosa del prolungamento dell’alta velocità fino alla Sicilia, perché ritengono che non ci sarà mai abbastanza domanda.
I francesi hanno acconsentito a partecipare alla linea alta velocità Torino-Lione solo dopo che l’Italia, molto generosamente, si è accollata il 63 per cento dei costi (hanno valutato insufficiente il traffico). L’Europa ha accettato di includere il ponte sullo Stretto tra le opere prioritarie solo dopo straordinarie pressioni politiche. Il motivo del diniego era ancora una volta il traffico insufficiente.
Negli ultimi tempi, però, al governo si è affiancata Confindustria, richiedendo che per le grandi opere non valgano i vincoli di Maastricht (la cosiddetta “golden rule”). Incredibilmente anche l’Ulivo si è unito al coro: per bocca dell’ex ministro dei Trasporti, Pier Luigi Bersani, ha tacciato di inefficienza il governo, e ha promesso molte più grandi opere in caso di vittoria.
Perché la tentazione del cemento è così irresistibile? Cerchiamo di capirlo.
· Anche i politici locali in genere son contenti (le eccezioni citate confermano la regola). E così le banche che costruiscono i programmi finanziari garantiti, e ovviamente le imprese di costruzione, spesso “vicine” ai politici locali (il settore non è “foot loose”, non si possono acquistare ferrovie o strade già pronte).
· Gli utenti sono comunque contenti (anche se sono troppo pochi per giustificare la spesa).
· Il settore è uno dei pochissimi rimasti in cui si possono spendere molti soldi per il consenso politico, senza incappare in quei noiosi vincoli europei agli aiuti di Stato.
Ma non esiste nessuna di queste condizioni. I soldi sono scarsissimi, le destinazioni alternative molto più promettenti anche in termini strettamente economici (ricerca, patrimonio artistico-ambientale, e così via). I “picchi” di spesa e di occupazione arriveranno tra molti anni (quando, si spera, il ciclo non continuerà a essere negativo). Il settore delle opere civili è tecnologicamente maturo, molte grandi opere hanno impatti ambientali perlomeno discutibili.
C’è infine il rischio di cantieri aperti con fondi insufficienti a finire le opere con devastanti “stop and go” (cantieri chiusi e riaperti) per anni a venire.
La distruzione di ricchezza realizzata da opere di scarsa utilità economica vanifica ogni contenuto reale di eventuali ricorsi alla “golden rule”.
Ma nessuno lo saprà. L’opposizione apra almeno un confronto serio sulle priorità di spesa e sui modi per valutarle, invece di riproporsi in sciagurati “inseguimenti”.
(1) Vedi per esempio due recenti ricerche, una tedesca di Werner Rothengatter e una americana di Alan Altshuler. Ma le stesse traversie finanziarie del tunnel della Manica, fallito di fatto due volte per traffico insufficiente, sono un caso emblematico.
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Claudio Ferrarini
Egregio prof. Ponti,
ho letto con interesse il suo articolo e ho alcune domande di approfondimento.
Quando studiavo geografia economica a Economia e Commercio, 15 anni fa, si constatava, già allora, come il Paese fosse carente in termini di porti, interporti e infrastrutture in generale (per non parlare dei semplici acquedotti nel sud) e tale è rimasto per tutto il periodo in cui il nostro debito invece di aggiornare le infrastrutture ha finanziato ulteriore debito. Il suo articolo è fortemente critico nei confronti del Ponte e della tratta Torino-Lione che ci collegherebbe al famoso corridoio 5. Mi sorprende il fatto che lei proponga di destinare i soldi pubblici unicamente a ricerca e sviluppo + ambiente.
Vorrei sapere quindi se ritiene che le infrastrutture italiane siano già in grado, cosi’ come sono, di competere con quelle del resto dell’Europa.
Grazie
Claudio Ferrarini
La redazione
Gentile dott. Ferrarini.
le infrastrutture che aumentano la competitività di un paese sono solo quelle che servono (e ci sono moltissimi clamorosi casi di regioni, in Asia, in America e anche in Italia, con vistosissime carenze infrastrutturali che competono fortemente, anche perchè i costi di trasporto pesano molto meno di un tempo sulle imprese). Una strada o una ferrovia fortemete sottoutilizzata non sviluppa nulla, e da noi, soprattutto al sud, ce ne sono moltissime in queste condizioni(anche tangentopoli insegna…). In particolare per il Frejus è previsto un traffico così modesto che i francesi hanno accettato di proseguire il progetto solo se pagavamo noi molto più della nostra quota. Il ponte di Messina può avere valore simbolico, ma non risolve alcun problema di trasporto (basta vedere i numeri, o parlare con gli industriali siciliani, non del settore costruzioni, ovviamente, che anche è uno dei più infiltrati dalla malavita). E molti altri progetti della legge obiettivo hanno finalità solo di consenso, o peggio, ma sono destinati a clamorose sottoutilizzazioni (come d’altronde accade in giro per il mondo con moltissime “grandi opere”: il tunnel sotto la Manica è già fallito due volte per traffico insufficiente…).
Con viva cordialità Marco Ponti