Il tipico risparmiatore italiano non è sufficientemente sofisticato per comprendere il rischio connesso con le varie attività finanziarie disponibili e “punire” la banca che approfitta del conflitto di interesse. Imporre maggiore trasparenza agli intermediari non è sufficiente perché occorre rendere intelligibile linformazione anche ai meno esperti. Più utile perciò un indice di correttezza e affidabilità della banca come gestore di portafoglio e consulente patrimoniale, elaborato da un professionista terzo. Il passaggio alla banca universale negli anni Novanta ha fatto emergere i potenziali conflitti di interesse in cui possono trovarsi gli istituti bancari nell’esercizio della loro attività. Tre tipi di conflitto Nel compimento di queste attività le banche possono trovarsi in conflitto d’interessi. Perché? Vi sono tre fattispecie: 1) come portfolio managers dovrebbero agire nell’interesse del loro cliente promuovendo i prodotti che, a parità di rischio, hanno un rendimento più elevato e gestendo i loro risparmi nella maniera più proficua (per i clienti, s’intende). Dall’altro – in qualità di produttori di strumenti finanziari – hanno un forte incentivo a collocare gli strumenti da loro stesse emessi, a prescindere dalla disponibilità sul mercato di strumenti più convenienti per i risparmiatori. 2) Le banche assistono le imprese clienti nel collocamento di titoli sul mercato. Rispetto al mercato e in particolare rispetto ai loro depositanti, hanno anche una conoscenza molto migliore della situazione dell’impresa. Una banca esposta verso una impresa conoscerà lo stato di difficoltà dell’impresa ben prima che questo divenga manifesto al mercato. La banca può avvalersi del suo ruolo di collocatore e di gestore di portafogli della propria clientela per trasferire il rischio, da sé stessa ai propri clienti. Nuovamente, vi è un conflitto di interesse tra il ruolo della banca come erogatore di finanziamenti all’impresa e di gestore del portafoglio dei depositanti. 3) Un problema analogo emerge anche quando la banca gestisce il proprio portafoglio titoli e allo stesso tempo amministra il portafoglio della clientela: per ri-bilanciare il proprio portafoglio può essere tentata a cedere titoli rischiosi anziché sul mercato ai suoi depositanti, incassando così le commissioni (ed evitando i costi di transazione). Questi conflitti sarebbero però una innocua minaccia se la clientela bancaria fosse finanziariamente sofisticata, ben informata e capace di valutare il rischio connesso con le varie attività finanziarie disponibili. Clienti sofisticati punirebbero la banca che approfitta del conflitto di interesse cambiando intermediario o pretendendo rendimenti più elevati sui titoli da esse collocati; la paura di perdita di clienti e di profitti sarebbe un deterrente sufficiente, nella maggior parte dei casi, a scoraggiare lo sfruttamento dei conflitti di interesse. Il mercato e un sufficiente grado di concorrenza sarebbero i naturali antidoti. Nei fatti questo meccanismo rischia di non funzionare. Come ripristinare il meccanismo di mercato? Far dischiudere maggiori informazioni agli intermediari, come talvolta proposto, può essere utile, ma non è sufficiente. Basti pensare alla difficoltà per una persona con basso livello di istruzione di comprendere i prospetti bancari o anche solo gli estratti conto. Basarsi sul mercato e sulla perdita di reputazione come deterrente contro i conflitti di interesse richiede non solo che l’informazione sia disponibile ma che vi sia l’abilità a elaborarla. Per questo occorre rendere l’informazione intelligibile al risparmiatore meno esperto e smaliziato, cioè al tipico cliente della banca. Un modo per farlo è quello di far valutare le banche affidando a un professionista terzo la predisposizione di un “bank-fairness index”, un indice di correttezza e affidabilità dell’intermediario come gestore di portafoglio e consulente patrimoniale, compreso ad esempio tra 0 e 10, una metrica abituale e quindi comprensibile anche per chi possiede solo la quinta elementare.
Già da diversi anni, l’attività di mero deposito è stata affiancata (in proporzioni ragguardevoli) da operazioni di gestione del portafoglio dei clienti risparmiatori. Oggi le banche sono il principale manager del risparmio finanziario delle famiglie italiane; in questa veste forniscono informazioni sulle attività disponibili e sulle loro caratteristiche, consigliano come investire i risparmi tra strumenti alternativi. Allo stesso tempo, le banche sono anche produttori di strumenti finanziari: emettono obbligazioni, gestiscono (attraverso controllate) fondi di investimento, forniscono prodotti assicurativi; continuano ad assumere rischi in proprio erogando prestiti.
In Italia, il 35 per cento delle persone ignora persino l’esistenza delle azioni e la metà quella dei fondi comuni. (1) Tra i detentori di attività rischiose solo il 20 per cento ha una laurea contro il 60 per cento in Olanda e il 70 negli Stati Uniti. Nel raffronto internazionale, i risparmiatori italiani sono quelli che ottengono il voto più basso in termini di conoscenza economico-finanziaria (meno di 4 decimi, contro 7,2 in Olanda e Svezia e 6,3 negli Stati Uniti). Infine, buona parte degli investitori attinge dalla banca le informazioni necessarie per operare le proprie scelte finanziarie. (2)
È questo vantaggio informativo che impedisce al mercato (i clienti delle banche) di porre rimedio al conflitto di interesse.
L’indice di affidabilità è simile al rating cui oggi si sottopongono gli emittenti di titoli e assolverebbe esattamente alle stesse funzioni: mettere a disposizione degli investitori dell’informazione sintetica che racchiude un giudizio esperto (e basato sulla elaborazione di numerosi dati) sulla qualità dell’emittente, soggetto a revisione periodica. Diversamente dal rating è diretto a valutare la capacità (serietà) della banca come gestore di portafogli. Banche con una organizzazione interna che scoraggia lo sfruttamento dei conflitti di interesse, o che distribuiscono molta informazione ai loro clienti, che destinano personale qualificato all’attività di consulenza finanziaria alla clientela, eccetera, otterrebbero indici elevati e attrarrebbero così clienti, e questo le incentiverebbe ad adottare quei provvedimenti che ostacolano lo sfruttamento dei conflitti di interesse.
Un indice del genere può incontrare difficoltà tecniche, ma è costruibile. Già oggi esistono agenzie in grado di produrli, come Deminor (
La difficoltà oggi è nell’iniziare questo processo: se lo sfruttamento dei conflitti di interesse è praticato da molte banche, anche un intermediario ben intenzionato si troverebbe in difficoltà a sottoporsi volontariamente all’indice di affidabilità e a rinunciare a una fonte di profitto, perché concederebbe un vantaggio competitivo, almeno nel breve periodo, ai propri concorrenti. Ma potrebbe bastare poco per raggirare questo incentivo perverso: ad esempio, si potrebbe concedere il collocamento diretto di titoli propri – oggi, paradossalmente, concesso a tutte le banche dall’articolo 100 del Testo unico sulla finanza (3) – solo alle banche si dotano di un indice di affidabilità.
Un operatore del settore, profondo conoscitore delle banche e dei loro risparmiatori, ha notato, in modo paradossale ma incisivo, che per eliminare la tentazione di talune banche a sfruttare l’ignoranza dei propri clienti occorrerebbe colorare i loro sportelli: di verde quelli nei quali il risparmiatore può recarsi con tranquillità; di giallo quelli delle banche in cui è bene tenere gli occhi aperti; di rosso quelli nei quali il risparmiatore, entrando, rischia di rimetterci il patrimonio. L’indice di affidabilità è simile alla colorazione degli sportelli: tutti ne possono capire il significato e aiuta a premiare i migliori e punire i peggiori. Ha il vantaggio che, se si cambia giudizio sull’intermediario, non si devono ridipingere tutti gli sportelli.
(1) Si veda Luigi Guiso e Tullio Jappelli “Awarness and Stock Market Participation”, Cepr WP. 4182, 2004
(2) Luigi Guiso, Michael Haliassos e Tullio Jappelli “Households Stockholding in Europe. Where do we Stand? Where do we go? ” Economic Policy, 2003, February.
(3) L’articolo 100 del Tu, in deroga ai principi generali, concede alle banche di collocare direttamente presso la clientela obbligazioni proprie. Questa riserva di legge (per certi versi comprensibile perché concede il collocamento anche di piccole emissioni), e la scarsa informazione finanziaria dei risparmiatori, fa si che alcune banche collochino obbligazioni con tassi di rendimento inferiori anche di 40 punti base a titoli del Tesoro dello Stato di uguale struttura e scadenza. Eppure queste obbligazioni a) non sono coperte dal fondo di garanzia sui depositi; b) sono illiquide non essendo quotate su un mercato secondario. Questo è forse l’esempio più chiaro di sfruttamento di un conflitto di interesse da parte delle banche: esiste un titolo che domina in ritorno e rischio ma l’intermediario ne cela l’esistenza al risparmiatore per collocare il proprio. L’indice di affidabilità ovviamente sconterebbe questi comportamenti.
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Stefano Doneda
Vorrei sottolineare l’attualità dell’articolo anche in considerazione del documento di consultazione Consob sugli strumenti finanziari OTC pubblicato il 26 maggio c.a.. La presunzione che il cliente retail possa saper interpretare i dati che gli dovranno essere forniti su tali strumenti finanziari è forte. Anche la pubblicazione dei margini ha poco significato se non confrontabile in termini di rischio-rendimento. Un indicatore di qualità dei processi di formazione degli strumenti finanziari ingenierizzati dalle banche, fornito da un organo super partes o da organi di controllo quali i revisori, sulla base di uno schema condiviso dall’organi di vigilanza, avrebbe una maggiore capacità di classificare, agli occhi dei clienti meno preparati, la qualità delle banche. Altrimenti l’effetto sarà di allontanare i clienti da buone opportunità di mercato solo giocando sulla paura. Cordialmente Stefano Doneda