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I nuovi vincoli del patto di stabilità interno

L’obiettivo fondamentale del patto di stabilità interno diventa non più il saldo, ma le spese, che comprendono ora anche quelle in conto capitale. E’ una scelta che estende a livello locale decisioni nazionali. Ma è in contraddizione con la contrazione dei trasferimenti erariali in atto da vari anni e con sane norme di federalismo fiscale. Inoltre, un vincolo sulla spesa in conto capitale dovrebbe essere calcolato rispetto alla media di almeno un triennio, per evitare effetti iniqui.

Il disegno di legge Finanziaria per il 2005 rinnova i vincoli sui comportamenti finanziari degli enti locali e delle Regioni, in attuazione del cosiddetto “patto di stabilità interno“. La proposta di legge conferma alcune delle tendenze già in atto nella legislazione precedente, con qualche novità di rilievo.

Perché il patto di stabilità interno?

La necessità di introdurre vincoli sui comportamenti finanziari degli enti territoriali di governo, oltre che da esigenze generali di controllo dell’evoluzione delle finanze pubbliche complessive, deriva dall’asimmetria presente nel Patto di stabilità e crescita siglato a livello europeo. Come è noto, questo impone vincoli sui saldi dell’aggregato delle amministrazioni pubbliche, comprese dunque le amministrazioni locali; tuttavia, solo lo Stato centrale è ritenuto responsabile di eventuali scostamenti dagli obiettivi e sanzionato di conseguenza. Questa asimmetria ha imposto ai governi centrali l’esigenza di cercare di decentrare anche a livello locale il rispetto degli impegni presi in Europa. Per raggiungere questo obiettivo, i diversi Stati utilizzano procedure diverse, che spaziano dall’obbligo di legge al coordinamento. E il nostro Paese non ha fatto eccezione. Dell’esperienza del patto di stabilità interno italiano, per brevità, solo tre aspetti meritano di essere qui sottolineati. Primo, da quando è stato introdotto, nel 1999, non è passato anno senza che l’obiettivo, o i meccanismi previsti di sanzione, o il monitoraggio non siano stati modificati dal legislatore, con ripercussioni sulla credibilità del patto stesso e sulla capacità di programmazione finanziaria degli enti locali. Secondo, con varie oscillazioni, l’obiettivo di riferimento ha finito con il convergere su (varie) definizioni di saldo contabile, benché in qualche anno sia il debito che la spesa corrente dell’ente locale siano brevemente apparsi come obiettivi addizionali. Cioè, il patto ha tradizionalmente richiesto che la differenza tra entrate e spese (calcolate al netto di talune voci) per Regioni e enti locali dovesse obbedire a certi requisiti, in genere migliorare rispetto a quello dell’anno precedente. Terzo, da questo saldo sono sempre state escluse le spese di investimento e per gli interessi passivi. Questo allo scopo dichiarato di non indebolire la capacità di investimento degli enti locali, considerata importante per finalità di sviluppo economico. L’unica eccezione è rappresentata dalla Finanziaria per il 2003, che prevedeva a partire dal 2005, l’inclusione nel saldo di riferimento anche delle spese di investimento. Infine, si deve anche notare che, per quanto previste, le sanzioni agli enti locali inadempienti — sotto forma di vincoli sulle assunzioni di personale, sulla spesa per l’acquisto per beni e servizi e a partire sempre dalla Finanziaria 2003, anche sulla possibilità di indebitarsi per finanziare le spese di investimento — non sono mai state applicate. Ciò non significa necessariamente che il patto non abbia avuto qualche effetto. Come mostrano le tabelle qui incluse, riprese dalla Corte dei Conti, una percentuale variante tra il 70-80 per cento di comuni e province e il complesso delle Regioni è risultato ex post in linea con gli obiettivi del patto di stabilità interna. Difficile dire, naturalmente, se ciò è veramente un risultato della moral suasion esercitata dal patto o se sarebbe avvenuto comunque.

La Finanziaria per il 2005

Quali sono dunque le novità della manovra per il 2005? In primo luogo, in ossequio al principio cardine di questa Finanziaria, l’obiettivo fondamentale del patto diventa non più il saldo, come in passato, ma la spesa. E in secondo luogo, in questa spesa, sono ora comprese anche le spese in conto capitale (come in passato, dal calcolo delle spese soggette al patto vanno sottratte alcune componenti, non direttamente sotto il controllo degli enti locali o disciplinate a parte, quali spese per il personale, per la sanità, acquisizione di partecipazione azionarie, trasferimenti ad altri enti delle amministrazioni pubbliche). L’articolo 6 al comma 2 specifica che “il complesso delle spese correnti e delle spese in conto capitale, sia di cassa che di competenza (…) non può essere superiore al 4,8 per cento del corrispondente ammontare di spese nel 2003”. Che cosa significa questo in termini di crescita della spesa consentita nel 2005? Se nel 2004 le spese (soggette al patto) crescessero in linea col tasso d’inflazione (stimato al 2,1 per cento), nel 2005 ci sarebbe un margine di incremento del 2 per cento circa, in linea con la regola aurea di questa Finanziaria per gli altri comparti di spesa. E se nel 2004 si registrasse a consuntivo una crescita superiore? Il vincolo sulle spese d’investimento non è categorico; è infatti data agli enti locali la facoltà di sfondare il tetto del 4,8 per cento, ma solo “per spese di investimento e nei limiti delle maggiori entrate derivanti da maggiorazioni di aliquote e tariffe delle imposte e tasse locali”. Il sistema di monitoraggio e il meccanismo sanzionatorio non presentano grandi variazioni rispetto a quelli vigenti, eccetto che per un inasprimento dei controlli sui piccoli comuni (sotto i 5mila abitanti) e, a partire dal 2006, per l’obbligo di presentare certificazione (?) sul rispetto del patto nel 2005 per poter accedere ai finanziamenti bancari.

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I commenti

Il passaggio dell’obiettivo del patto dal saldo alla spesa appare discutibile. I vincoli di Maastricht si riferiscono al rispetto dei saldi, non alle loro componenti. Più che di un decentramento dei vincoli europei, si tratta probabilmente della volontà del legislatore di controllare la dinamica della spesa pubblica (o di alcune componenti) di tutti i livelli di governo, e tramite questa, di controllare, forse, anche la crescita dell’imposizione fiscale. Se non può spendere di più, eccetto che per spese di investimento, l’ente territoriale farà anche a meno di sollevare più imposte. Ciò però appare in contraddizione con la contrazione dei trasferimenti erariali in atto da vari anni e reiterata anche recentemente nel luglio 2004. Appare anche in contraddizione con sane norme di federalismo fiscale, che vorrebbero che negli spazi consentiti dalla propria autonomia, un ente locale fosse libero di agire come vuole, sul lato delle entrate e delle spese, purché rispetti i saldi complessivi (come nella normativa vigente). L’introduzione delle spese di investimento tra l’aggregato di spesa da porre sotto controllo appare comprensibile dal punto di vista del legislatore. I vincoli di Maastricht non contemplano una golden rule e applicare una simile regola a livello locale, come implicitamente si è fatto in passato ponendo sotto controllo solo la (parte della) spesa corrente, può creare qualche logica frizione. Ma ci sono diversi problemi con la prospettiva adottata nella Finanziaria. In primo luogo, nella misura in cui sarà efficace, questa norma influenzerà negativamente la capacità di effettuare investimenti a livello locale, e non è chiaro se è di questo che abbiamo bisogno in un momento di crisi economica come l’attuale. (Anche se, andrebbe osservato, ci sono disposizioni nel disegno di legge Finanziaria, in particolare agli articoli 9 e 10, che rendono più facile e meno oneroso l’accesso al credito per gli enti territoriali e questo potrebbe in qualche misura controbilanciare l’effetto negativo sugli investimenti). In secondo luogo, il modo in cui è introdotto il vincolo, non è condivisibile. Spieghiamo perché.

I vincoli sulla spesa

Tutti i vincoli sulla spesa, introdotti a partire dalla spesa storica, hanno un difetto comune: attribuiscono un valore normativo positivo alla spesa del passato, senza considerare il fatto se questa spesa fosse efficiente o equa rispetto a qualche altro obiettivo condiviso. Se un ente locale, per qualche ragione, ha speso di più di un altro in un dato anno, e viene imposto un obiettivo sulla crescita della spesa del futuro rispetto a quell’anno, l’ente più spendaccione ne riceverà un beneficio, senza nessuna particolare ragione perché questo avvenga. E se questo problema è serio per la spesa corrente, è serissimo per la spesa in conto capitale. Questo perché la prima è più stabile nel tempo (essendo composta in larga parte da spese del personale e di funzionamento) mentre la seconda è molto variabile, in dipendenza delle scelte specifiche di investimento che un ente locale decide di effettuare in un particolare anno. Un ente locale che, per esempio, avesse deciso di non effettuare investimenti nel 2003, ma di rimandarli al 2004, si troverebbe in serissime difficoltà con la Finanziaria 2005, a confronto di un altro ente locale che, per qualunque ragione, avesse invece effettuato una sostanziosa spesa in conto capitale nel 2003. A conferma di quanto il problema sia serio, si osservi la seguente figura. Abbiamo posto sull’asse delle ascisse gli oltre cento comuni capoluogo italiani, ordinati per classi crescenti di popolazione, e sulle ordinate la spesa pro capite in conto capitale per l’anno 2000 e 2001 (i dati provengono dai certificati di consuntivo dei comuni e sono gli ultimi disponibili). La figura mette in evidenza quanto la spesa pro capite possa variare da comune a comune anche a parità di dimensione, e quanto la spesa possa variare da anno a anno per lo stesso comune. Anche per lo stesso comune, l’ordine di grandezza delle variazioni da un anno all’altro può oscillare dell’800 per cento. È dunque evidente che la norma della Finanziaria, per quanto riguarda questa componente della spesa, appare azzardata. Ammesso che sia sensato imporre un vincolo sulla spesa in conto capitale, questo dovrebbe essere calcolato rispetto alla spesa media (sia impegni sia pagamenti) di un triennio o di un quinquennio precedente.

Altre questioni

Ci sono altre particolarità nella disposizione di legge che lasciano perplessi. Per esempio, come si è ricordato, a un ente locale è consentito di espandere la propria spesa di investimento oltre il limite previsto, ma solo a fronte di maggiori entrate tributarie o tariffarie. Perché solo entrate tributarie e tariffarie e non anche entrate da alienazioni di partecipazioni azionarie o di imprese municipalizzate? Molti comuni, per esempio, quello di Milano, hanno fatto ricorso a queste entrate straordinarie per finanziare gli investimenti, proprio allo scopo di non incrementare le imposte. Perché ora viene loro tolta questa possibilità? O è una dimenticanza del legislatore? In conclusione, molte cose sono discutibili in questa Finanziaria, a cominciare dalla sua stessa impostazione. Ma è almeno auspicabile che nella discussione parlamentare vengano corretti gli aspetti più critici, come quello del vincolo delle spese in conto capitale ai fini del patto di stabilità interno.

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Spese in conto capitale dei comuni capoluogo
Impegni, euro-procapite
(i comuni sono ordinati per popolazione crescente)

 

 

Risultati dei comuni nel 2002

 

N. enti

Enti in regola con i 3 obiettivi

Rispetto limite 2,5% saldo 2000

Rispetto limite 6% impegni 2000

Rispetto limite 6% pagamenti 2000

Piemonte

55

42

52

47

50

Lombardia

170

121

158

132

149

Liguria

19

17

19

17

18

Veneto

96

72

93

86

81

Friuli

17

14

16

15

16

Emilia R.

78

62

72

68

78

Toscana

78

56

73

64

68

Umbria

14

11

14

12

13

Marche

32

19

29

25

24

Lazio

39

26

35

35

31

Abruzzo

16

9

15

12

13

Molise

2

2

2

2

2

Campania

78

46

66

60

61

Puglia

81

63

78

70

71

Basilicata

8

6

8

6

7

Calabria

28

14

24

18

22

Sicilia

75

51

66

58

65

Sardegna

21

12

16

15

15

Totale

907

643

836

742

784

Fonte: Corte dei Conti

 

Risultati delle province nel 2002

 

N. enti

Enti in regola con i 3 obiettivi

Rispetto limite 2,5% saldo 2000

Rispetto limite 6% impegni 2000

Rispetto limite 6% pagamenti 2000

Piemonte

8

3

4

7

8

Lombardia

9

7

9

8

8

Liguria

4

1

2

4

3

Veneto

7

7

7

7

7

Friuli

4

4

4

4

4

Emilia R.

9

8

8

9

9

Toscana

10

9

10

10

9

Umbria

2

2

2

2

2

Marche

4

3

4

3

4

Lazio

2

2

2

2

2

Abruzzo

2

1

2

2

1

Molise

1

1

1

1

1

Campania

3

2

3

3

2

Puglia

4

2

2

4

4

Basilicata

2

1

1

2

2

Calabria

4

2

3

3

2

Sicilia

9

8

9

8

8

Sardegna

4

4

4

4

4

Totale

88

67

77

83

80

Fonte: Corte dei Conti

.

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  1. Matteo Barbero

    Assolutamente d’accordo con la puntuale analisi di Bordignon-Ambrosanio.
    Evidentemente il legislatore statale si fa forza delle affermazioni contenute nella sentenza n. 36/2004 della Corte Costituzionale. In quell’occasione, i rilievi di talune Regioni – che lamentavano proprio la scarsa congruenza con il concetto di autonomia finanziaria dei vincoli calibrati sulla dinamica delle spese anziché sui saldi – vennero respinti richiamandosi al carattere transitorio di tali vincoli e, soprattutto, alla situazione di emergenza che caratterizza(va) la finanza pubblica italiana. Situazione di emergenza che, evidentemente, non è cessata!

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