Regole fisse: questo dovrebbero darsi i governi per la condotta della politica economica, secondo Finn Kydland e Edward Prescott, appena insigniti del premio Nobel. E tali sono ad esempio i parametri di Maastricht. Ma i due economisti hanno anche introdotto una rivoluzione metodologica nello studio sui cicli economici, con la cosiddetta “macroeconomia quantitativa”. Un approccio quasi dogmatico alla ricerca economica, fondato su tre caratteristiche ben definite.

Il Premio Nobel 2004 per l’Economia è stato assegnato a Finn Kydland e a Edward Prescott per i loro contributi alla macroeconomia dinamica.
Nei primi anni Settanta, Kydland fu studente di Prescott a Carnegie Mellon University, molto ben frequentata in quegli anni. Tra gli altri da Herbert Simon e Robert Lucas, entrambi insigniti del premio Nobel per l’Economia, rispettivamente nel 1978 e nel 1995.
La motivazione dell’ Accademia delle scienze svedese è incentrata su due studi pubblicati da Kydland e Prescott tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta.

La credibilità della politica economica

Il primo contributo scientifico di Kydland e Prescott, in ordine cronologico, e’ quello legato alla credibilita’ della politica economica. I governi spesso annunciano scelte di politica economica in nome di obiettivi di lungo periodo (per esempio, annunciano un taglio alle tasse per favorire la crescita di consumi e investimenti). Gli agenti economici (famiglie e imprese) con “aspettative razionali” sul futuro, si rendono conto che la politica fiscale annunciata inizialmente potrebbe, in certi casi, non essere credibile, perche’ il governo cedera’ a tentazioni di breve periodo (per esempio, aumentare la spesa pubblica per favorire certe categorie in vista delle elezioni).
In presenza di un taglio alle tasse non credibile agli occhi degli agenti economici, famiglie e imprese, convinte che le tasse rimarranno invariate, non aumenteranno consumi e investimenti, rendendo quindi inefficace la politica annunciata inizialmente dal governo. 
Nel loro studio, Kydland e Prescott analizzano il caso di un governo che disponga di strumenti istituzionali e regole valide (in inglese, “commitment devices”) per autovincolarsi a non cedere alle tentazioni di breve periodo. Gli autori dimostrano che, in questo caso,  il governo sceglierebbe politiche economiche piu’ favorevoli per la collettivita’.
Da questi argomenti deriva il fatto che gli autori invocano, nel titolo del loro studio, “regole fisse piuttosto che discrezione” (in inglese, “rules rather than discretion”) per la condotta della politica economica.
La creazione di banche centrali autonome e indipendenti dagli obiettivi di breve periodo del governo e i cosiddetti “parametri di Maastricht” che stabiliscono un tetto al deficit pubblico, rappresentano due esempi di regole che, nell’ottica di Kydland e Prescott, pur creando rigidità istituzionali, aumentano la credibilità e l’incisività della condotta di politica monetaria e fiscale.
Fece bene Ulisse, direbbero Kydland e Prescott, a legarsi all’albero della sua nave per sfuggire alle tentazioni dei canti delle sirene, e i governi dovrebbero fare altrettanto.

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Le cause dei cicli economici

Il secondo contributo scientifico di Kydland e Prescott è incentrato sul tema delle cause dei cicli economici. Negli anni Settanta, l’opinione prevalente tra gli economisti era che la politica monetaria fosse l’unica responsabile delle fluttuazioni economiche di breve periodo. Però, allo stesso tempo, era ben radicata l’idea che la crescita economica di lungo periodo fosse dovuta al progresso tecnologico e ai miglioramenti di produttività. Era presente, quindi, una sorta di schizofrenia nella macroeconomia di allora: l’analisi di breve periodo era di natura “monetaria”, quella di lungo periodo di natura “reale”.
Kydland e Prescott hanno avuto il grande merito di unificare la macroeconomia, dimostrando che “shock tecnologici” possono spiegare non solo lo sviluppo economico di lungo periodo, ma anche gran parte delle recessioni e delle espansioni nelle economie moderne del dopoguerra.
È utile sottolineare un aspetto della teoria spesso travisato: gli shock tecnologici, nella definizione originaria di Kydland e Prescott, e nella loro misurazione pratica, non includono solamente trasformazioni tecnologiche in senso stretto, ma anche, per esempio, cambiamenti nel contesto legislativo e di regolamentazione dell’economia che influenzano la produttività delle imprese (misure antitrust, tariffe all’importazione, norme sulla trasparenza dei bilanci aziendali). 

La rivoluzione metodologica

Molti, ancora oggi, non credono a questa spiegazione dei cicli economici. In un celebre scambio di battute nel 1986 con Edward Prescott, Larry Summers, poi diventato ministro dell’Economia del governo Clinton, espresse duramente e quasi sarcasticamente il suo scetticismo sull’analisi di Kydland e Prescott, ma precisò che sebbene non credesse ai risultati, non metteva sotto accusa la metodologia usata dagli autori.
In effetti, secondo gran parte degli economisti, è proprio la rivoluzione metodologica introdotta nello studio sui cicli economici, il contributo scientifico in assoluto più importante di Kydland e Prescott, destinato a durare nel tempo. Tuttavia, benché traspaia dalle righe della motivazione ufficiale dell’Accademia, questo aspetto è stato lasciato sorprendentemente in secondo piano.
Quello studio di Kydland e Prescott segna infatti la nascita della cosiddetta “macroeconomia quantitativa”, un approccio quasi dogmatico alla ricerca economica che è fondato su tre caratteristiche ben definite.
Primo, lo sviluppo di un modello di equilibrio economico dinamico in cui gli agenti economici (famiglie, imprese, governo) compiono scelte ottimali in base ad aspettative razionali sul futuro. Secondo, la necessità di usare un modello teorico per interpretare i dati empirici. Terzo, la simulazione numerica del modello, attraverso il computer, per replicare i fenomeni dell’economia reale, così come in un laboratorio si replica un fenomeno naturale, attraverso l’esperimento.
Non è un caso che Kydland e Prescott, per descrivere la loro metodologia, prendano a prestito dalle scienze naturali termini come “calibrazione” e “esperimento computazionale”. La ricerca economica deve essere di natura quantitativa, come in fisica, invece che qualitativa, come per la storia e la sociologia.
Si prenda ad esempio l’effetto della tassazione sui consumi delle famiglie. L’obiettivo della ricerca economica, secondo Kydland e Prescott, è “misurare quanto” e non ” valutare se e perché” una riduzione delle tasse aumenti i consumi delle famiglie. Questo metodo di ricerca è, indubbiamente, il segno distintivo di tutti i lavori dei due premi Nobel.

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Minnesota “dimenticato”

Edward Prescott, in particolare, oggi è considerato il “guru” della macroeconomia quantitativa. Nonostante Prescott abbia diffuso, per ben due decenni, il suo discusso ma influente verbo dall’Università del Minnesota, il premio Nobel va ad Arizona State University, svelta a chiamare Prescott dopo una lite insanabile tra questi e il suo vecchio dipartimento, esattamente un anno fa.
Negli anni Ottanta e Novanta, l’Università del Minnesota, grazie anche ad altri insigni economisti, come Tom Sargent e Neil Wallace, e a un gruppo di più giovani studiosi di altissimo livello scientifico, ha contribuito a creare un vero “marchio di fabbrica” nella ricerca economica, proprio basato sulla disciplina delle “aspettative razionali” e sull’applicazione dogmatica della metodologia discussa sopra: avrebbe dunque meritato un maggior riconoscimento. Questo è l’unico rammarico, secondo molti economisti accademici, nell’assegnazione del premio Nobel di quest’anno.
Infine, è curioso notare che sul sito web tedesco Nobelpreisbörse, dove si può scommettere sui vincitori dei premi Nobel in ogni disciplina, Prescott e Kydland erano dati nettamente per favoriti.
“Aspettative razionali degli agenti economici”, direbbero gongolando i due Nobel.

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