Lo schema incentrato su tre aliquote di imposta sembra rimanere ben saldo nelle intenzioni del Governo anche se rinviato di un anno. Per la gran parte della popolazione, però, non ci sarà alcun beneficio. E lo sgravio fiscale si colloca nella prospettiva di un welfare residuale. A un minor prelievo sui redditi elevati corrisponderà una riduzione di prestazioni sociali. A questa visione se ne può contrapporre un’altra con un assetto dell’imposta personale e dei trasferimenti monetari che abbia effetti redistributivi in modo da sostenere i redditi bassi e medi.

Il Governo ha deciso di spezzare in due tranche il secondo modulo della riforma Ire: la prima nel 2005 limitata a qualche intervento su carichi e assegni familiari e la seconda nel 2006 centrata sull’introduzione delle tre aliquote.
La scelta segnala sia le difficoltà di copertura del secondo modulo sia le incertezze interne alla maggioranza. Tuttavia, nelle intenzioni dichiarate dal Governo, l’emendamento alla Finanziaria dovrebbe specificare sia la prima che la seconda fase, cosicché anche la strutturazione sulle tre aliquote, che andrà a regime dal 1° gennaio 2006, diverrebbe legislazione vigente già dal 2005.Le tre aliquote restano dunque l’orizzonte in cui il Governo continua a muoversi per la riforma Ire.

Effetto tre aliquote

Le stime condotte da diversi centri di ricerca sugli effetti distributivi di questa impostazione (si vedano per esempio quelle presentate da Baldini e Bosi nel loro intervento del 5 novembre scorso su lavoce.info) convergono sulla conclusione che lo schema delle tre aliquote, comune alle diverse ipotesi discusse in questi giorni, implica in ogni caso una distribuzione dei benefici fortemente sbilanciata a favore dei redditi alti. Da questo punto di vista, il secondo modulo si muoverebbe comunque nella direzione prefigurata dalla legge delega, seppure con una qualche moderazione rispetto ai propositi iniziali. In una recente ricerca Cer abbiamo argomentato come, tenendo conto delle compensazioni dal lato della spesa pubblica necessarie a realizzare nel rispetto del vincolo di bilancio la riduzione fiscale prevista dalla delega, la grande maggioranza della popolazione risulterebbe penalizzata: per i primi otto decili la riduzione delle prestazioni godute sopravanzerebbe la riduzione dell’imposta pagata. (1)
In sintesi, lo sgravio fiscale prefigurato dal Governo può essere collocato nella prospettiva di una più generale modifica del nostro sistema di welfare in direzione di quello che si è soliti chiamare un welfare residuale: un minor prelievo sui redditi elevati cui corrisponde una riduzione di prestazioni sociali, che resterebbero limitate essenzialmente alle famiglie in situazione di più estremo bisogno. Coerente con una simile impostazione di welfare residuale, appare anche la correzione degli effetti distributivi del secondo modulo Ire con un aumento degli assegni al nucleo familiare. Non solo perché la correzione appare comunque piuttosto modesta (1 miliardo di euro sugli assegni contro 6,4 miliardi di sgravio Ire), ma anche perché il rapido decalage degli assegni (loro diminuzione al crescere del reddito familiare) implica che essa sarebbe limitata principalmente ai redditi più bassi. In altri termini, la manovra consisterebbe in un forte sgravio fiscale sui redditi alti e in un modesto correttivo sui redditi bassi. Il tutto non sembra rispondere né a un accettabile criterio di equità né a un criterio di efficienza.

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Scarseggiano equità ed efficienza

Circa l’equità, colpisce il fatto che la notevole mole di risorse che il Governo intende dedicare alla manovra (7,4 miliardi di euro) si concentri per quasi la metà sugli ultimi due decili (e per un terzo sull’ultimo), come mostra la tavola 1 in cui riportiamo la ripartizione, delle risorse impegnate dalla riforma nella variante ministero del Tesoro, stimata col modello di microsimulazione del Cer. Non viene toccato, se non in via indiretta e in misura parziale tramite l’aumento degli assegni al nucleo familiare, il problema centrale per i redditi bassi, quello cioè dell’incapienza che non consente loro di usufruire delle detrazioni per i familiari (che vengono trasformate in deduzioni); né viene affrontato il problema di sostenere i redditi delle famiglie con figli (la deduzione di 2.900 euro per figlio equivale a un aumento della detrazione di soli 150 euro, per di più a scendere più rapidamente di oggi con l’aumentare del reddito). Circa l’efficienza, il secondo modulo non riduce l’aliquota marginale effettiva (come risultante dell’aliquota esplicita, del decalage della deduzione da lavoro e, nel caso di dipendente con figli, del decalage degli assegni al nucleo familiare) sui redditi fino circa a 20mila euro. Anzi l’aumenta per i contribuenti con carichi familiari a causa del decalage delle deduzioni introdotte al posto delle detrazioni. Si tenga presente che oltre i due terzi dei contribuenti – il 68,7 per cento secondo i dati Sogei – si situa sotto tale soglia di reddito e che già oggi le aliquote marginali effettive per loro possono arrivare a superare il 60 per cento .
Per i redditi fino a 30mila euro, poi, la riduzione dell’aliquota Ire operata dal secondo modulo è in parte erosa dal decalage introdotto per le deduzioni da carichi familiari. Sopra i 30mila euro invece l’aliquota marginale effettiva per un contribuente con carichi familiari risulta superiore a quella attuale sia per l’incremento dell’aliquota Ire sia per il decalage delle deduzioni. Scende sotto quella odierna solo oltre i 70mila euro. Si noti infine che il correttivo dell’aumento degli assegni al nucleo familiare finisce per innalzare le aliquote marginali effettive per i lavoratori dipendenti di reddito basso e medio con figli a carico (anche nel caso in cui l’aumento fosse proporzionale su tutti i livelli degli assegni). Tutto ciò implica che alla linea del welfare residuale si può rispondere non solo rilevando la compressione delle prestazioni che lo sgravio fiscale proposto dal Governo porterà con sé, ma anche discutendo la struttura interna della manovra fiscale. Si tratta di costruire un assetto dell’imposta personale e dei trasferimenti monetari che ne faccia uno strumento redistributivo coerentemente volto a sostenere i redditi bassi e medi e si tratta di rendere regolare e sostenibile il profilo delle aliquote marginali effettive. In altri termini, si tratta di fare del sistema imposta-assegni uno strumento di rafforzamento in chiave universalistica del welfare. (2)

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(1) La partita doppia del welfare, XIV Rapporto Cer-Spi, Roma, Ediesse, 2004.

(2) Una linea di riforma che va in questa direzione è quella cui chi scrive sta lavorando insieme con Ruggero Paladini (il lettore interessato può trovarne una prima versione sul sito della Siep, negli atti della XVI Conferenza annuale – www.unipv.it.). Una linea diversa, con punti di contatto e di divergenza dalla nostra, è quella cui stanno lavorando Baldini, Bosi e Matteuzzi (di cui si trova la versione più recente sul sito del Capp di Modena – www.capp.unimo.it).

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