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Centri, periferie e ideologie

Un sondaggio ripetuto nel corso degli anni mostra che in una scala sinistra-destra, fino al quaranta per cento delle persone si colloca al centro. Non solo: sono di centro gli elettori che mostrano maggiore mobilità di voto da un’elezione all’altra. Ma in che misura la formula della “conquista del centro” conta nella competizione politica ed elettorale? Siccome tecniche diverse di sondaggio danno risultati anche molto diversi, è davvero possibile determinare con precisione che cosa sia il centro e quanti elettori vi risiedano? Forse è azzardato dedurre una strategia politica da un sondaggio. Ilvo Diamanti commenta l’intervento di Tito Boeri. La controreplica dell’autore.

Centri, periferie e ideologie di Tito Boeri

È vero, come sostiene Giovanni Sartori, che per vincere le prossime elezioni politiche bisognerà conquistare gli elettori di centro? Oppure ha ragione Ilvo Diamanti, quando sostiene che l’elettorato italiano è sempre più polarizzato e che, dunque, marciare verso il centro è molto rischioso? È un quesito che in tanti si pongono mentre il Governo vara il programma (elettorale) di fine legislatura e l’opposizione si prepara per le elezioni politiche del 2006. Al punto che molti commentatori e politici hanno voluto leggere le elezioni statunitensi soprattutto in questa chiave. Dimenticando le abissali differenze di quadro politico, sistemi elettorali e valori che separano l’Italia dagli Stati Uniti.

Il sondaggio ripetuto

Per cercare risposte abbiamo interrogato i dati di un sondaggio telefonico condotto a più riprese in questi anni, dapprima con Demoskopea, poi con Carlo Erminero & CO, su campioni rappresentativi di cittadini italiani fra i 14 e i 79 anni (vedi la scheda allegata), per valutare le loro opinioni su diverse opzioni di politica economica. L’ultimo di questi sondaggi è stato realizzato nel febbraio del 2004. I precedenti erano stati svolti nel settembre 2001 e nel gennaio del 2000. Agli intervistati, oltre alle intenzioni di voto alle prossime elezioni politiche e il voto alle elezioni precedenti, abbiamo chiesto di rappresentare la loro collocazione politica su di una scala che va da 0 (estrema sinistra) a 10 (estrema destra). Stessa domanda ripetuta in anni diversi.

Tre i rilievi che ci sembra di poter fare alla luce di questo esame e su cui ci piacerebbe avere reazioni da chi svolge sondaggi politici per professione.

Primo, il centro è vivo e vegeto. Al centro, comunque lo si definisca (anche nel modo più restrittivo, vale a dire la sola classe 5 nella scala di cui sopra), c’è la maggiore concentrazione di persone: tra un quarto e un terzo degli intervistati si colloca in queste classi. Utile notare che, di solito, le indagini telefoniche sottostimano il centro rispetto alle interviste a domicilio. Le risposte possono anche cambiare in base al tipo di domanda (ad esempio sono in genere in meno a dichiararsi esplicitamente di “centro” che a collocarsi al centro di una scala sinistra-destra come la nostra). Ma, avendo ripetuto la stessa indagine in diversi anni, possiamo guardare l’evoluzione delle risposte nel corso del tempo. E la quota di elettori di centro aumenta dal 2000 al 2004 (si veda il grafico qui sotto).

Secondo, questi elettori di centro sono quelli che mostrano maggiore mobilità fra il loro voto alle elezioni precedenti e quello alle prossime elezioni. Al centro si trova quasi il 40 per cento di coloro che avevano votato centrosinistra e intendono votare centrodestra alla prossime elezioni o viceversa pensano di transitare dal centrodestra al centrosinistra (come si evince dalla tabella qui sotto).

Terzo, sono numerosi coloro che rifiutano di collocarsi politicamente. Ma di questi, cinque su sei hanno comunque votato e lo hanno fatto in modo non significativamente difforme dagli altri elettori. Mentre fra chi non ha votato o non intende votare (si veda ancora la tabella) ci sono non più del dieci per cento di persone che si collocano all’estrema sinistra o all’estrema destra. E fra chi non ha votato, ma intende votare o viceversa prevalgono, una volta di più, gli elettori di centro.

E le lezioni da trarre

Quali lezioni trarre da queste osservazioni? Che probabilmente ha ragione Sartori nel ritenere che per vincere le elezioni al maggioritario in Italia bisogna convergere al centro strappando voti allo schieramento opposto. E per catturare il non voto bisognerà mobilitare coscienze pur sempre di elettori moderati.

Il fatto che esistano ancora molti partiti in Italia sembra evitare la polarizzazione del non-voto, il caso in cui il non voto è prevalente fra chi ha posizioni politiche estreme. In Italia sembra esserci una qualche polarizzazione del voto (è forse a questo fenomeno che si riferisce Diamanti?), ma non del non-voto. Spetta alle coalizioni riuscire a mantenere queste componenti più estreme dentro all’alleanza se vogliono fare il pieno dei voti.

Insomma, George W. Bush avrà pur vinto le elezioni mobilitando la destra cattolica più estrema. Ma in Italia le cose sembrano andare diversamente e il lamento di Rocco Buttiglione sulle colonne del Wall Street Journal (Bush ha detto le stesse cose che ho detto io!) non sembra un buon viatico di una campagna elettorale di successo.

 

La quadratura del centro di Ilvo Diamanti

L’articolo di Tito Boeri, dedicato alla “contesa sul centro“, ha il pregio di essere molto chiaro e netto. Pone la questione metodologica: misurare il centro. Quella politica: è più utile contendere il voto di centro oppure coltivare l’intesa con la sinistra? E, infine, indica anche i riferimenti scientifici-politici della contesa. Sartori o Diamanti? Anche la soluzione, di conseguenza, è chiara. Ha ragione Giovanni Sartori, quando afferma che occorre contendere i voti del centro moderato. Perché, sostiene Boeri, il peso elettorale degli elettori di centro è preponderante: 30-40 per cento. E si tratta, peraltro, del settore più incerto del mercato elettorale. Lo desume da un sondaggio ripetuto nel tempo. Per quel che mi riguarda, ho meno certezze. Non mi convince, in particolare, la base empirica che fonda il ragionamento di Boeri. E, in fondo, diffido dalla pretesa di dedurre una strategia politica da un sondaggio.

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Come si misura il centro?

Partiamo dagli aspetti empirici e, prima ancora, di metodo, sottesi alla questione: come misurare il centro? Nelle indagini politiche elettorali, normalmente, la posizione degli elettori viene rilevata attraverso due tecniche diverse. Tradizionalmente, quando si realizzano sondaggi con interviste faccia a faccia, si propone all’intervistato un segmento orizzontale, che raffigura e visualizza lo spazio fra sinistra e destra. Su questa base, l’intervistato è invitato a collocarsi, indicando oppure segnando, direttamente, un punto del segmento. L’alternativa a questa tecnica è costituita dai sondaggi telefonici. In questo caso, ovviamente, l’intervistato non può “segnare” la sua posizione con un tratto su un grafico o su una linea. Non “vede” lo spazio politico. Gli viene chiesto, invece, di chiarire come “si senta”: di destra, centrodestra, centro, centrosinistra, sinistra. In alcuni casi, le possibili alternative proposte dal questionario vengono articolate ulteriormente e i prevedono le “estreme”: destra o sinistra (“…si sente di estrema destra, destra, centro…?”). In altri casi ancora è la domanda che cambia. Si chiede, in modo più coerente con la metafora spaziale, dove l’intervistato “si collochi”, fra le diverse posizioni dello spazio politico: a destra, sinistra, centro, eccetera.
In ogni caso, le due tecniche forniscono esiti empirici sensibilmente diversi. Nel caso delle interviste dirette, faccia a faccia, coloro che occupano le posizioni “centrali” dello spazio politico si approssimano al 22-25 per cento, mentre il 10-15 per cento degli intervistati non accetta questo schema. Rifiuta, cioè, di collocarsi nello spazi politico, perché non vi si riconosce (come mostrano le indagini EesES, Itanes, Ispo telematica). Nelle interviste telefoniche, il peso percentuale degli elettori di centro si dimezza, e scende al 10-12 per cento. Mentre si allarga in parallelo la componente di chi rifiuta lo spazio politico, che supera il 25 per cento. È il risultato ottenuto, ad esempio, da indagini condotte da Demos, Eurisko, LaPolis, Abacus, Swg, Ipsos.
La differenza della misura attribuita al centro, quindi, dipende, in notevole grado, dal diverso bilanciamento fra chi si pone al centro e chi rifiuta ogni posizione politica. Considerate – e misurate – insieme, come ha sottolineato Renato Mannheimer sul Corriere della Sera, queste due componenti si presentano simili, per entità, in tutte le indagini prese in esame e si avvicinano al 35-40 per cento. La differenza è che nei sondaggi svolti con interviste faccia a faccia si osserva la tendenza a confluire al centro di una parte di quanti, nelle interviste telefoniche, si chiamano “fuori”. Ciò avviene per diversi motivi: tecnici, ma anche sostanziali. Dal punto di vista tecnico, nelle interviste faccia a faccia la presenza dell’intervistatore riduce l’orientamento a “uscire” dallo spazio politico. Perché lo stesso schema grafico non dà alternative, vie di fuga, possibilità di “rifiuto”, agli intervistati. Per cui, i più “esterni” allo spazio politico fra gli intervistati, dovendo comunque scegliere, optano per la soluzione meno compromettente ed esigente. Il centro. Che, in questo modo, diventa, se non una “non scelta”, almeno una “scelta debole”. Poi, indubbiamente, nei sondaggi condotti mediante interviste faccia a faccia, al momento di ricostruire e di analizzare i risultati, è lo stesso ricercatore a scegliere quali punti dello spazio elettorale delimitino il centro. E, per quanto limitatamente, egli stesso può allargarlo o restringerlo, in base alla dispersione/concentrazione delle risposte lungo il segmento.

Chi e cosa contiene il centro

Tuttavia, sarebbe sbagliato ridurre le differenze di misura a un fatto di metodi e tecniche di ricerca. C’è di più, naturalmente, e riguarda “cosa” e “chi” misuriamo, attraverso i due approcci. Il che ha significato squisitamente politico. La mia idea è che attraverso le interviste telefoniche, per il modo stesso in cui è posta la domanda, si rilevino coloro che si “dichiarano” di centro (oppure di destra e di sinistra); in altri termini: si misura “l’identità” di centro. Che, anche per l’enfasi bipolarista degli ultimi dieci anni, appare “ridotta”, compressa. Infatti, il sistema maggioritario, l’uso stesso delle formule centrodestra e centrosinistra, per denominare gli schieramenti maggiori, tendono a scoraggiare la scelta di “dirsi di centro”. Attraverso le interviste faccia a faccia, invece, nel centro confluiscono, come si è detto, quote di elettori diversi, compresi quelli che, nei sondaggi telefonici, rifiutano di posizionarsi e si “chiamano fuori”. (Mannheimer li chiama gli “esterni”. Ma li potremmo definire, per la stessa ragione, i “non allineati”). Il che ne dilata l’ampiezza.
Naturalmente, questa soluzione genera alcuni problemi di interpretazione. Il più evidente è che vengono associati e confusi due tipi di elettori (i “centristi” e i “non allineati”) che presentano, invece, un profilo sociale, politico e di valore molto diverso. Coloro che esprimono un’identità di centro sono più anziani, hanno un livello di istruzione medio-alto, appartengono al ceto medio, sono piuttosto informati, cattolici praticanti (ma non solo), hanno opinioni “prudenti”. Insomma: sono “moderati“, tanto in quanto sono lontani dai “non allineati” (e dagli estremisti). Gli altri, coloro che rifiutano lo spazio politico, oppure finiscono nel centro perché lo considerano un “non luogo”, hanno un’età meno definita, un livello di istruzione più basso, come la posizione sociale, esprimono orientamenti di valore disincantati, distacco dalle istituzioni e dalla politica. Su molti temi (immigrazione, ordine pubblico, welfare) hanno posizioni poco “moderate”, condizionate dalla paura, dalla perifericità sociale. Naturalmente, questa distinzione non ha solo significato “analitico”, ma “politico”. Perché è diverso rivolgersi ai moderati di centro, che – per definizione – rifiutano le “estreme” oppure ai “disincantati” (per non dire i “disgustati”) che rifiutano, invece, lo spazio politico. Diverso il linguaggio da usare, gli argomenti da proporre. Sulle pensioni, sul mercato del lavoro, sulle riforme istituzionali. Limitarsi a scegliere fra la convergenza al centro oppure l’alleanza con la sinistra, quindi, diventa poco utile. Non basta, perché spesso il medesimo concetto di centro raccoglie e riassume elettori, domande, valori, molto diversi.
Io, per queste ragioni, ritengo non solo difficile, ma anche azzardato decidere quale strategia perseguire, sullo spazio politico, in base a questi sondaggi. Certamente, comunque, non ho intenzione di pormi in alternativa a Sartori. Il quale, peraltro, ha ragione quando osserva che, anche se contasse “solo” per il 10 per cento degli elettori, il centro sarebbe, comunque, un terreno di competizione determinante, visto che vi stazionerebbero oltre tre milioni e mezzo di voti e oltre quattro milioni e mezzo di elettori. Osservo, però, che, per vincere le elezioni, è difficile limitarsi a “coltivare il centro”, senza curare il rapporto con la sinistra; senza occuparsi di “far entrare” (o ri-entrare) nella coalizione, nel proprio spazio politico, gli “esterni” (o i “non allineati”). Anche perché oggi i partiti principali dei due schieramenti hanno una posizione “polarizzata”, lungo lo spazio politico. A grande distanza dal centro. A ciò contribuisce, in misura notevole, la “frattura” alimentata da Silvio Berlusconi, che, imponendo se stesso come punto di divisione o di attrazione per gli elettori, agisce da fattore centrifugo dello spazio politico.
In altri termini, ritengo che la formula della “conquista del centro” non risolva la questione della competizione politica ed elettorale. Perché non è chiaro cosa sia il centro, cosa ci sia nel centro. E quanti elettori vi risiedano.

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Se la sinistra vale zero…

Per questo ammiro la sicurezza con cui Tito Boeri risolve il problema, ma non riesco a condividerla. Il mio è un dissenso, in primo luogo, “metodologico”.
Anzitutto, non mi convince il modo in cui calcola la distribuzione degli elettori sullo spazio politico. Il sondaggio che egli cita (condotto prima da Demoskopea e poi da Carlo Erminero & Co.) esula dai modelli più sperimentati. (Anche perché, presumo, non è finalizzato a rilevare orientamenti politici ed elettorali). Non propone uno spazio nel quale collocarsi, attraverso interviste faccia a faccia. Non chiede agli elettori di dichiarare la propria posizione politica, di “definirsi” attraverso interviste telefoniche. Ma chiede loro di collocarsi da destra a sinistra attraverso una scala fra zero e dieci. Queste scale, però, servono a misurare l’intensità dei sentimenti, non a posizionarsi. (Vengono catalogate, non a caso, come “termometro dei sentimenti”). Usando una scala da 0 a 10, per analogia con il voto scolastico, è possibile misurare “quanto” sono di sinistra o di destra. Mentre risulta più arduo, per ragioni cognitive, “posizionarsi”. Penso, ad esempio, che una persona di sinistra provi qualche disagio a “definirsi”, visto che deve attribuirsi un punteggio pari a “zero”. Per la stessa ragione, il 5, in una scala, non è il “centro”, ma un punteggio a metà fra 0 e 10. Più di 0 e meno di 10. Per questo, a differenza di quanto avviene nei sondaggi telefonici, il centro appare eccedente. Quando si propone una scala di valutazione, come fa la Carlo Erminero & Co., le risposte tendono “naturalmente” ad addensarsi verso il centro. Che in questo caso corrisponde all’abbastanza, al mediamente. Lo strumento adottato da Boeri per misurare il peso “elettorale” del centro, di conseguenza, fornisce risultati sensibilmente diversi non solo dalle indagini che io conduco sull’argomento (nel mio piccolo, da vent’anni), ma anche da quelle realizzate da colleghi autorevoli ed esperti più di me (comunque: da tutte le indagini citate). Se fossero veri i dati proposti da Boeri, infatti, al centro stazionerebbe oltre il 40 per cento degli elettori (quasi il 35 per cento nel solo punto centrale). Più di quanto avvenisse negli anni d’oro della prima Repubblica (secondo le principali inchieste dell’epoca).
Comunque, io non credo che il suo sondaggio, al pari di quelli utilizzati da me e dagli altri colleghi che si occupano di studi politici ed elettorali, possa decidere, stabilire quale sia la “cosa giusta” da fare per il centrosinistra. Anzitutto perché, come ho già scritto, non c’è “una cosa giusta”. Di qui o di là. Al centro o a sinistra. Poi perché non solo Berlusconi, ma anche la classe dirigente del centrosinistra i sondaggi, d’abitudine, li usa a conferma di tesi già elaborate, su altre premesse. Oppure per smentire posizioni sgradite. Il che mi pare giustificato e, forse, anche giusto, quando i ricercatori presentano dati tanto variabili da restringere oppure dilatare la dimensione del centro di quattro o cinque volte.

 

© 2004 Ilvo Diamanti. E’ vietata la riproduzione integrale di questo scritto, in qualsiasi forma, senza il consenso dell’autore.

La controreplica di Tito Boeri

Ringrazio Ilvo Diamanti per il suo approfondito commento. I problemi di misura del centro da lui messi in rilievo sono molto importanti. Proprio per questo nel mio intervento ponevo l’enfasi sulla variazione piuttosto che sui livelli: mi concentravo sui cambiamenti intervenuti nel corso del tempo nella percentuale di elettori di centro e sulla loro mobilità fra schieramenti, piuttosto che sulla percentuale di potenziali elettori di centro in quanto tale. Lo facevo per contestare la tesi secondo cui il centro si sta “svuotando”. Convengo, comunque, con Diamanti sul fatto che si tratta di una categoria residuale. A chi fa sondaggi di mestiere il compito di svelare ciò che accomuna chi si raccoglie al centro dello schieramento politico e le questioni attorno alle quali le coscienze di questi individui possono essere mobilitate.

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13 commenti

  1. Alessandro Condina

    Stimo molto Sartori e Boeri, ma onestamente credo che la questione del centro in Italia sia mal posta. ho l’impressione che gli italiani, interrogati sul loro posizionamento politico, preferiscano non sbilanciarsi e usino il centro come un “indeciso” in altri sondaggi.
    Eppoi è tradizione per gli italiani non esporsi troppo, neppure in forma anonima e propendere per una scelta piuttosto neutra. ma è moderato chi vuole stravolgere la costituzione o imporre il crocifisso nelle scuole o vietare l’accesso alla fecondazione alle coppie non sposate? e il centrosinistra (perché qui è il nodo) può inseguire questo elettorato centrista?
    Più utile sarebbe un sondaggio sul modello del Political compass (http://www.politicalcompass.org/) con due assi cartesiani di valori economici (comunismo/liberismo) ed etico-sociali (libertarismo/autoritarismo). qualcuno dovrebbe tradurlo in italiano e adeguarlo alla realtà e alla storia del nostro paese.
    solo da un questionario su temi concreti (e non su un posizionamente astratto) si può capire secondo me quanti sono al centro, a destra e a sinistra.
    Comunque vi consiglio di fare il test

  2. tiziana tamborrini

    A proposito del suo articolo ‘Centri, periferie e ideologie’ il punto e’, si vuole semplicemente vincere e affidarsi al voto incerto e ondivago degli elettori di centro, spogliandosi di una caratterizzazione politica forte e socialmente riconoscibile, oppure vincere a partire da programma alternativo alla destra, basato su prospettive ideali distinguibili da quella della destra e capace di mobilitare l’elettorato a cui naturalmente un’opposizione di sinistra dovrebbe guardare? Non e’ forse il primo ruolo quello che svolgeva molto bene la defunta (ma forse non troppo) democrazia cristiana? E’ li’ che vogliamo che la sinistra vada a parare? Non e’ stato sufficiente questo lungo lasso di tempo, durato 30 anni, di condivisione di pensiero debole e appiattimento sui valori del libero mercato, non insegnano le sconfitte che ne sono seguite? L’arretramento sul piano dei valori e delle conquiste sociali? Non dovrebbe la sinistra guardare al suo naturale elettorato e semmai con battaglie culturali e ideali svolgere un lavoro di egemonia che le consenta di afferrare voti anche fra gli indecisi, ma solo in seconda istanza? Cosa abbiamo da raccontare ad un elettore che e’ indeciso se votare udc o forza italia o addirittura alleanza nazionale se non tentare di convincerlo che una maggiore espansione dei diritti sociali, una piu’ coerente fondazione del principio di libert’ che non si separi da quello di giustizia economia e sociale, possono senz’altro contribuire ad una societa’ piu’ eguale in cui anche i suoi interessi materiali e aspirazioni intellettuali possano essere rappresentate? Perche’ rinunciare cosi’ frettolosamente ai propri compiti pur difficili e non tentare di riconquistare un proprio ruolo distinto e distinguibile di un partito di sinistra? Mi dispiace, ma il dibattito qui in america e’ molto piu’ avanzato e sono molti, anche fra intellettuali non necessariamente radicali, che pensano che si e’ fatto poco a sinistra…
    cordiali saluti, Tiziana

    • La redazione

      Grazie. Ai politici il compito di risponderle o raccogliere le sue proposte. Cordiali saluti

  3. Riccardo Gatto

    Egregio professor Boeri,
    purtroppo non ho trovato i dati della ricerca citata sul sito della fondazione DeBenedetti, probabilmente per mancanza mia di tempo e attenzione, mi limiterò quindi all’osservazione del grafico da lei pubblicato.
    Primo, il centro è vivo e vegeto.
    Le uniche modalità che aumentano nel corso del tempo sul grafico sono la 0, la 10 e la 5, se si esclude un leggero aumento della 8 tutte le modalità intermedie perdono consensi.
    Questa è una polarizzazione trimodale e può significare non un aumento delle posizioni moderate ma una sempre più diffusa disaffezione alla politica: non riconoscendosi nei due schieramenti ci si colloca al di fuori o in mezzo, ma mai dentro l’uno o l’altro.
    Se questo fosse vero l’interpretazione del picco sul 5 diventa un po’ più difficile: basta spostarsi al centro, aumentando l’entropia politica, per conquistare quei voti?
    O non si corre il rischio che questo venga interpretato come espressione di quel modo di fare politica che non piace agli elettori?
    Secondo, gli elettori di centro sono quelli che mostrano maggiore mobilità.
    Si direbbe che lo schieramento che perde di più dal 2000 a oggi è proprio quello di centro sinistra. Seguendo la logica che si debba inseguire gli elettori, e andare a caccia dei voti dove essi si spostano, il suggerimento dovrebbe essere quindi non di convergere al centro, ma di spostarsi decisamente a destra, magari captando gli elettori sinceramente di destra ma delusi dall’attuale Governo.
    E’ questo che si vuole veramente? In ogni caso la sinistra già da tempo sta convergendo al centro e i risultati non sembrano incoraggianti.
    E se fosse che sono gli elettori che scappano davanti l’inseguimento del centro sinistra? E’ sempre difficile stabilire quali sono le cause e quali gli effetti guardando ai dati in modo eccessivamente semplice.
    Terzo polarizzazione del voto e del non-voto
    Difficile dire qualcosa su questo punto senza vedere quanti individui che hanno risposto 0, 5 o 10 votano o meno. In ogni caso io non sottovaluterei il dato che la modalità 0 ha riscosso più consensi delle modalità 1,2,3 e 4.
    Riccardo Gatto

    • La redazione

      Grazie dei suoi commenti e delle sue osservazioni. Vero che aumentano anche gli estremi, come rimarcato nell’articolo. Ma soprattutto il centro. I dati, in formato Stata, sono effettivamente disponibili sul sito http://www.frdb.org, centro di documentazione. Cordiali saluti

  4. Nicola

    Egregio professor Boeri,
    l’analisi che lei presenta mi sembra basata su argomentazioni deboli.
    In primo luogo, dopo le ultime esperienze sia in Italia che all’estero, sono molto scettico circa la capacità dei sondaggi di cogliere con sufficiente affidabilità le posizioni politiche dell’elettorato.
    In secondo luogo, ed è il problema più rilevante, trovo particolarmente incerta l’identificazione della quota di elettori di centro sulla base dell’autopercezione. Da un lato, infatti, la concentrazione delle risposte sulla modalità “5” sottintende un chiaro fenomeno di heaping. La modalità 5 raccoglie tutti coloro che non vogliono rivelarsi esplicitamente. Inoltre, essa raccoglie gruppi eterogenei tra loro, in quanto essere di centro ha significati estremamente diversi per persone diverse. Tanto per fare un esempio, è probabile che nella modalità 5 si collochino tanto persone ideologicamente vicine a Forza Italia, che Berlusconi continua a presentare come un partito moderato di centro, quanto individui più prossimi alla Margherita o ai DS. Ciascuno dei due gruppi, verosimilmente, additerebbe l’altro come estremista. Non c’è dunque un centro, ma ci sono idee di cosa sia “di centro” molto diverse tra loro. La sua analisi, pertanto, non smonta l’idea di Ilvo Diamanti di un elettorato sempre più polarizzato. Partendo da questo punto si pone dunque il difficile problema di come fare la corsa al centro.
    ll suo intervento, egregio professore, mi suscita un’altra riflessione. Questa idea della corsa al centro sottintendere la visione che in politica non siano importanti i valori in cui si crede o le idee che si professano, ma la probabilità di essere eletti. Questo è un attegiamento di chi fa politica per professione e non per passione. La corsa al centro da parte di entrambe le coalizioni politiche suscita in una parte non trascurabile dell’elettorato l’idea che votare sia inutile, “tanto i politici sono tutti uguali”. Il politico nel senso vero del termine dovrebbe presentarsi agli elettori con le proprie idee e non andare dove tira il vento.

    Cordiali saluti,
    Nicola Massarelli

    • La redazione

      Grazie per i suoi commenti. Vero che il centro è qualcosa di composito, anche perchè residuale: raccoglie chi non si definisce nè di destra, nè di sinistra. L’heaping può forse spiegare la polarizzazione a 0 e 10, non la quota che si colloca tra 4 e 6. Quanto al fatto che un politico deve avere delle sue idee non potrei essere più d’accordo. Bene che sappia misurare la distanza tra le sue idee e quelle dell’elettorato, magari anche per cercare di portare l’elettorato sulle sue posizioni, come lei suggerisce. In ogni caso conta saper misurare queste distanze. Era questo il contributo del mio intervento. Cordiali saluti

  5. marco toschi

    Il fatto è che anche se si parte da argomenti inoppugnabil cioè il risultato di un sondaggio si arriva a dimostrare però ben poco. Infatti è la stessa nozione di centro che non è chiara: dato che non è facile farsi opinioni precise su domande complesse che sono poste alla politica: quella vera che dovrebbe risolvere i VERI problemi: pensioni,tasse,welfare ecc. L’intervistato medio è ,appunto,medio cioè centripeto. I partiti non danno vere risposte : anche loro stanno al centro. (…)
    Cordialità
    Marco Toschi

    • La redazione

      Non tutti i partiti stanno al centro nella percezione degli elettori. Chi vota AN si colloca vicino a 10 nella nostra scala. Chi vota Rifondazione a 0 in prossimità. Cordiali saluti

  6. Alessandro Condina

    Condivido le critiche all’autocollocamento a destra, centro o sinistra. la distribuzione degli elettori dovrebbe derivare da un questionario elaborato su proposte e concetti di destra e di sinistra. e dalle risposte desumere il posizionamento politico. Il centro – così com’è inteso adesso – significa solo non schieramento, tipico poi dell’Italia e dell’italiano medio che preferisce non sbilanciarsi troppo.

  7. Marco B.

    Gentile prof Boeri,
    (…) se fossi un politico la lezione che trarrei da questi dati si potrebbe così riassumere:
    1. il centro è un territorio di elettori che hanno bisogno di un’ideologia che scaldi il loro cuore e che li convinca a radicalizzare le proprie opinioni verso gli estremi.
    2. non aver paura di dire cose di sinistra (o di dx) perchè potrebbero far scappare i moderati anzi ….
    3. lasciare il passo agli uomini nuovi, a delle leve che grazie al punto di appoggio del partito ne potrebbero risollevare le sorti. Basta cristallizzazione dei quadri e dirigenti (sia a destra e sia a sinistra). Si alla presenza di un board di saggi e “vecchi” politici ma le facce devono essere quelle di persone che ci credano e che entusiasmino.

    Marco

  8. gianni elia

    L’indagine su basa su assunti apparentemente auto-evidenti di fatto inconcludenti o senza significato. Cosa significa essere di destra o di sinistra? Che differenza c’è tra la proposta di parte di AN di aumentare la tassazione sul risparmio e sulle rendite finanziarie con l’istituzione di una patrimoniale propagandata dalla cosiddetta estrema sinistra? Così che differenza c’è tra il decreto anti-OGM di Alemanno con l’odio anti libero-scambio e la condanna del sistema imprenditoriale privato dei movimenti no-global? Se poi si passa al centro si capisce a maggior ragione che non ha nessun contenuto concreto.
    Bisognerebbe avere invece il coraggio di distinguere tra chi crede nelle statalizzazione della vita dell’individuo paternalmente accudito dalla burocrazia dalla culla alla tomba e chi invece nella responsabilità nella capacità di autodeterminarsi del singolo. Nel suo valore in quanto individuo.

    • La redazione

      Grazie all’offerta della Erminero e spa di condurre un sondaggio gratuito, proveremo ad andare a fondo sul tema dell’identità del centro. Cordiali saluti

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