Evitare politiche pro-cicliche in fasi di alta crescita, migliorare la definizione degli obiettivi di bilancio a medio termine, rendere più “operativo” il criterio del debito, attuare riforme strutturali e migliorare la governance sono le questioni da affrontare per la revisione del Patto di Stabilità e crescita. La difficoltà sta nel coniugare due aspetti: mantenere intatto un sistema di sorveglianza multilaterale basata su “regole” e aumentare la razionalità economica delle regole stesse attraverso un maggiore esercizio della discrezionalità.

Negli ultimi tre mesi la discussione sul Patto di Stabilità ha subito un’accelerazione. Dopo la comunicazione della Commissione del 3 settembre 2004  si sono delineate in maniera più netta le questioni fondamentali da affrontare. Il Consiglio Ecofin del 10 settembre  ha ribadito la volontà dei Governi europei di migliorare il Patto, eventualmente anche con cambiamenti nel testo legislativo. Infine, il Consiglio Ecofin del 16 novembre ha chiesto un lavoro supplementare di tipo tecnico, in modo da concludere la discussione all’inizio del prossimo anno. Sono state identificate sei aree di priorità.

1. Evitare politiche pro-cicliche in fasi di alta crescita

Su questo, sembra esserci un accordo pressoché unanime tra i diversi paesi europei (si veda la dichiarazione del presidente di turno del Consiglio Ecofin, Gerrit Zalm) e anche nella Banca centrale europea. Vi è però tuttora una carenza di “idee” su come tradurlo in pratica. Il rischio è che rimanga un principio generale senza nessuno strumento di pressione concreta.

2. Una migliore definizione degli obiettivi di bilancio a medio termine

Anche qui sembra esserci un ampio consenso a differenziare gli obiettivi tra paesi, ma come fare questa differenziazione non è un esercizio banale. Va trovato un punto di incontro tra un sistema relativamente semplice come quello attuale, e uno che includa maggiormente le caratteristiche specifiche del paese come ad esempio il livello del debito corrente, il tasso di crescita potenziale dell’economia, il debito implicito – cioè quello legato ai futuri pagamenti di impegni già sottoscritti (in particolare le pensioni) – il bisogno di riforme e investimenti nel breve periodo eccetera. Naturalmente, anche se a un paese fosse consentito di avere un deficit, dovrebbe essere in ogni caso garantito un margine sufficiente per evitare di superare il 3 per cento in periodi di bassa crescita. 
Qualunque sia la soluzione “tecnica” adottata, va ricordato che la Commissione ha più volte sottolineato che solo un chiaro impegno degli stati membri a rispettare l’obiettivo e un altrettanto chiaro impegno a esercitare la “pressione tra pari” nel caso in cui uno dei paesi ne diverga, permette al sistema di funzionare efficacemente.

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3. Rendere il criterio del debito più “operativo”

È evidente a tutti che alti livelli di debito pubblico non sono compatibili con la sostenibilità di lungo periodo della finanza pubblica, dati gli attuali e previsti bassi tassi di crescita (probabilmente intorno all’1-1,5 per cento in termini reali per la media dei paesi dell’attuale area dell’euro) e le previsioni sulle spese legate all’invecchiamento della popolazione (per alcuni paesi l’aumento previsto è superiore a 4-5 punti di Pil da qui al 2040). Quali strumenti “disegnare” per favorire la riduzione del debito pubblico in un contesto di sorveglianza multilaterale è però piuttosto complesso. Si tratta di coniugare due esigenze. Da una parte, qualsiasi strumento operativo in forma di una regola numerica specifica da valutare annualmente sarebbe difficilmente applicabile. Dall’altra, l’esperienza di questi anni ha ampiamente dimostrato che, malgrado il Trattato di Maastricht (articolo 104) assegni alla Commissione la facoltà di avviare la procedura di deficit eccessivo anche nei casi in cui un debito pubblico superiore al 60 per cento del Pil non decresca in modo soddisfacente, di fatto questa facoltà non è stata usata. Tra le ragioni, vi è la mancanza di chiarezza e di accordo sulla definizione di “tasso di riduzione soddisfacente”.

4. Migliorare la procedura di deficit eccessivo

I ministri finanziari hanno ribadito l’intenzione di non modificare il parametro del 3 per cento, mentre sembra esserci un consenso di massima a tenere conto di alcune circostanze particolari nel giudicare il percorso di aggiustamento una volta che un paese supera la soglia del 3 per cento. In altre parole, un paese potrebbe avere più tempo a disposizione per rientrare da un deficit eccessivo rispetto a quanto attualmente previsto dal Patto (un anno dopo l’identificazione del deficit eccessivo).
Rimane ovviamente aperta la discussione su quali circostanze particolari considerare: ad esempio, la crescita economica, il livello del debito attuale o l’attuazione di riforme strutturali potrebbero avere un ruolo in questo contesto. Rimane poi aperta la questione se, qualora queste circostanze persistano, il termine ultimo per portare il deficit sotto il 3 per cento possa sempre essere posticipato, oppure debba essere specificato un numero massimo di anni entro i quali la correzione del deficit va comunque effettuata.

5. Riforme strutturali

È uno dei capitoli maggiormente rilevanti perché mira a legare in maniera più organica la componente “stabilità” con la componente “crescita”. Le riforme sono un’attività “normale” di ogni governo che tende a migliorare l’efficienza allocativa attraverso interventi diretti nell’economia o attività di regolamentazione. Normalmente, la disciplina fiscale e l’attività riformatrice dovrebbero coesistere senza problemi. Vi sono però casi dove la riforma ha un chiaro costo sul bilancio nel breve periodo e chiari vantaggi sul lungo periodo, in termini di minore spesa pubblica futura o maggiore crescita economica attesa. Si tratta allora di individuare chiaramente di quali costi il Patto di Stabilità debba farsi carico, e quali vantaggi attesi considerare per derogare temporaneamente al principio della disciplina di bilancio. Tutti i costi, o solo quelli direttamente legati all’implementazione della riforma (escludendo cioè i cosiddetti costi di compensazione)? Tutti i vantaggi, o solo quelli “diretti” sul bilancio attraverso una minore spesa futura?
In altri termini, si tratta di chiarire se è necessario rimuovere alcuni disincentivi presenti nel Patto oppure bisogna creare un nuovo sistema che incentivi più esplicitamente le riforme.

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6. Migliorare la governance

Su quest’ultimo punto evidenziato dal Consiglio Ecofin del 16 novembre sembra esserci un accordo a migliorare, dove necessario, il sistema delle statistiche sui bilanci pubblici, per evitare il ripetersi di casi come quello greco, dove il deficit eccessivo è stato evidenziato con quattro anni di ritardo. Un maggiore coinvolgimento delle istituzioni nazionali indipendenti potrebbe poi aumentare l’informazione e la trasparenza sugli andamenti di finanza pubblica, facilitando la sorveglianza multilaterale. Inoltre, questo coinvolgimento aumenterebbe il senso di “ownership” delle regole europee da parte delle istituzioni nazionali, anche e soprattutto dei parlamenti nazionali.

Nel complesso, la difficoltà nell’esercizio di revisione del Patto di Stabilità e crescita è quello di coniugare due aspetti, dalla gran parte degli osservatori ritenuti entrambi indispensabili. Da una parte si tratta di mantenere intatto un sistema di sorveglianza multilaterale basata su “regole”, tanto più importante in un contesto di Unione allargata. Al contempo, c’è la necessità di aumentare la razionalità economica delle regole stesse attraverso un maggiore esercizio della discrezionalità.

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