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Nomine d’Autorità

Perchè l’Antitrust sia efficace, deve essere autorevole e indipendente.  La nuova Antitrust nasce debole in partenza.  Cosa di cui si avvanteggerà chi detiene posizioni di monopolio nei servizi. Sono molti i segnali che fanno ritenere conclusa la stagione che ha visto l’Italia protagonista a livello internazionale nella tutela della concorrenza.  Dato che sono in scadenza altre autorità, bene affrontare subito il problema.  E’ un problema di regole di nomina e di competenze. Il potere di nomina potrebbe essere affidato al Parlamento, per garantire nomine condivise da maggioranza e opposizione.  Gli interventi di Gustavo Olivieri, Roberto Perotti, Michele Polo e Francesco Silva.

Nomine d’Autorità, di Gustavo Olivieri

Dopo le recenti nomine dei nuovi componenti e del presidente dell’’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), è forse utile svolgere qualche riflessione sui criteri di nomina delle autorità indipendenti al fine di valutare l’’efficienza delle regole che attualmente presiedono alla selezione dei loro organi apicali e l’’opportunità di modificare tali regole per renderle più efficienti e adattarle al mutato contesto istituzionale.  Per comprendere la rilevanza dell’’argomento, è sufficiente ricordare come a queste autorità, che si definiscono indipendenti in quanto non sono soggette a direttive del governo, è ormai affidata una consistente parte del governo dell’’economia. Peraltro, la diversità di competenze e di regole che presiedono al loro funzionamento appare notevole, al pari dei meccanismi di nomina e dei requisiti soggettivi dei loro componenti.

L’’attuale quadro normativo

Se si confrontano sotto questo profilo, la Consob, l’’Agcm, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e l’’Autorità per l’energia elettrica e il gas (Aeeg), ossia quattro tra le più importanti autorità di regolamentazione e di controllo operanti nel nostro paese, si noterà che tutte si presentano come organi collegiali composti da una pluralità di membri e da un presidente e tutte operano in (relativa) autonomia dal potere politico e con indipendenza di giudizio rispetto agli interessi da esse amministrati. Qui, tuttavia, finiscono le analogie e cominciano le differenze, che sono numerose e talora difficilmente spiegabili.
I membri della Consob sono scelti tra persone “di specifica e comprovata competenza ed esperienza e di indiscussa moralità e indipendenza”. Essi sono nominati con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso. Le commissioni parlamentari competenti possono procedere all’’audizione delle persone designate.
I componenti dell’’Agcm, invece, sono nominati con determinazione adottata d’’intesa dai presidenti di Camera e Senato e scelti in base a criteri in parte diversi a seconda che si tratti dei membri o del presidente. I primi devono essere persone “di notoria indipendenza da individuarsi tra magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti o della Corte di Cassazione, professori universitari ordinari di materie economiche o giuridiche e personalità provenienti da settori economici dotate di alta e riconosciuta professionalità”. Il presidente, dal canto suo, è scelto tra persone “di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo”.
I membri dell’’Agcom sono nominati direttamente dal Parlamento (quattro dalla Camera e quattro dal Senato), mentre il presidente è nominato con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio dei ministri d’intesa con il ministro delle Comunicazioni. La designazione del nominativo del solo presidente viene inoltre sottoposta preventivamente al parere (non vincolante) delle competenti commissioni parlamentari. L’’Autorità così costituita opera “in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione”.
I membri dell’’Aeeg, infine, sono nominati con decreto del presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei ministri e su proposta del ministro delle Attività produttive. Le designazioni effettuate dal Governo sono sottoposte al parere vincolante, espresso a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti dalle commissioni parlamentari competenti. Per quanto concerne i requisiti soggettivi, la legge istitutiva dispone che i componenti di questa Autorità siano scelti fra persone “dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”.
È difficile sostenere che la diversità di funzioni rispettivamente attribuite a queste autorità sia in grado di spiegare una simile “babele” normativa in materia di nomina e di requisiti soggettivi dei loro componenti. Né si può considerare appagante che alcune di esse siano più indipendenti e autonome di altre nei confronti dell’esecutivo o dei settori economici interessati dai loro interventi. Se dunque tutte le autorità devono assicurare lo stesso grado di professionalità e d’indipendenza dei propri membri, è logico concludere che i criteri di nomina e i requisiti soggettivi dei loro componenti debbano essere in principio i medesimi.

Quale modello adottare?

Si tratta, allora, di scegliere quale sia, tra quelli in precedenza indicati, il sistema di regole che offre le maggiori garanzie di produrre un risultato efficiente. Fermo restando che nessun sistema è perfetto e che molto dipende, com’è ovvio, da chi quelle regole è chiamato ad applicare. Sulla carta si potrebbe ritenere – ed è stato effettivamente sostenuto – che il sistema migliore sul piano delle garanzie offerte sia quello indicato dalla legge n. 287/1990 per la nomina dell’’Autorità antitrust, che affida ai presidenti dei due rami del Parlamento il compito di scegliere, in piena autonomia, i membri dell’’Agcm e il suo presidente in base a precisi requisiti di professionalità e d’’indipendenza. Tuttavia, questo sistema presenta almeno due inconvenienti. Da una parte, non attribuisce alcun ruolo attivo al Parlamento in quanto tale, l’’unico organo politico al quale le Autorità indipendenti sono chiamate a rispondere del loro operato. Dall’’altra, e soprattutto, risente negativamente dell’’evoluzione in senso bipolare del nostro sistema politico e della tendenza ad applicare il cosiddetto “spoil systemanche in relazione ad organi di garanzia super partes come sono i presidenti di Camera e Senato. Sotto questo profilo, dunque, si può affermare che il sistema di nomina originariamente descritto nell’’articolo 10 della legge n. 287/1990 è cambiato nella sostanza, anche se non nella forma.
Per le stesse ragioni, non sembra di poter adottare come modello alternativo quello utilizzato per la Consob e per la nomina del presidente dell’’Agcom, che affida direttamente al Governo il compito di designare i componenti dell’’autorità di controllo. Sembra preferibile, allora, affidare questo compito al Parlamento, investendolo del potere di nominare, magari nell’’ambito di una commissione a tal fine istituita, i membri delle autorità indipendenti con un meccanismo analogo a quello già previsto per la designazione dei componenti dell’’Autorità per l’’energia elettrica ed il gas, ossia a maggioranza qualificata (due terzi) dei suoi componenti.
Questo sistema avrebbe il pregio di assicurare maggiore trasparenza al processo decisionale e, soprattutto, di garantire nomine condivise da maggioranza e opposizione, sulla falsariga di quanto avviene per altri organi di garanzia (come, ad esempio, i giudici della Corte costituzionale nominati dal Parlamento) e di quanto avveniva, prima dell’’avvento del sistema bipolare, per l’’Agcm.
Per realizzare queste finalità, alla commissione parlamentare designata dovrebbe essere richiesto di ascoltare i potenziali candidati in apposite audizioni per valutare in quella sede gli indispensabili requisiti d’indipendenza e di preparazione professionale.
Non si tratterebbe, peraltro, di una novità assoluta. Soluzioni analoghe sono state proposte in alcuni disegni di legge per la riforma delle autorità indipendenti che da tempo giacciono in Parlamento. Sarebbe il caso di riparlarne “a mente fredda”, nell’’interesse di tutti.

Perché solo ora?, di Roberto Perotti

Come molti commentatori in questi giorni, anch’e io ritengo che i criteri di  competenza e, almeno in un caso, di indipendenza che dovrebbero ispirare le nomine all’ Antitrust siano stati ridicolizzati dalle scelte di Pera e Casini.

Ma la vicenda solleva un problema più ampio: quello delle competenze nelle funzioni pubbliche. E qui è difficile non rilevare la discrepanza tra il coro di  – pur sacrosanta – indignazione per le due recenti nomine all’Antitrust,  e l’’assenza di osservazioni in decine di casi analoghi di persone chiamate a svolgere importanti funzioni pubbliche senza avere una provata competenza nel ramo.

L’’errore di molti  commentatori sta nella distorsione propria delle culture umanistiche secondo cui persone accademicamente accreditate o con alta visibilità pubblica sono ipso facto titolate a coprire qualsiasi ruolo pubblico, più o meno indipendentemente dalle proprie competenze di fatto.

Partiamo dall’’Antitrust stessa. In questi giorni, alcuni esponenti del Polo hanno rimandato al mittente le accuse di mancanza di indipendenza, citando i casi di Giacinto Militello e Luciano Cafagna, membri dell’’Antitrust presieduto da Giuliano Amato tra il 1994 e il 1997. L’’argomento avrebbe potuto essere molto più incisivo. L’’indipendenza di giudizio è una qualità altamente opinabile; ma la competenza è più misurabile, ed è su questo’ aspetto che si dovrebbe incentrare il dibattito.

Come scrive Carlo Scarpa su queste colonne, i membri dell’’Antitrust  “cercano ad esempio di scoprire il sottile confine tra concorrenza leale e abuso di posizione dominante, o cercano di valutare in quali modi si può misurare se una fusione sarà capace di distorcere la concorrenza futura in un dato settore.”  È un lavoro che richiede  una enorme preparazione tecnica specifica ed esperienza nel campo per analizzare e comprendere i minuti aspetti  tecnici di un mondo industriale e finanziario non solo enormemente complicati, ma anche in continua evoluzione. Si pensi per esempio al caso Microsoft, un’’azienda globale con strategie di mercato complicatissime,  che ogni volta che introduce un nuovo prodotto o acquisisce un’ azienda apre con ciò stesso una nuova casistica.

Soprattutto, per sua natura l’’Antitrust fronteggia aziende dotate di grandi disponibilità finanziarie, che si possono permettere i manager e i consulenti più esperti e scaltri, e che fanno di tutto per occultare i propri comportamenti collusivi e monopolistici. È chiaro che la sola autorità culturale, accademica o morale, o una lunga carriera in organizzazioni di vario tipo non sono sufficienti, anche se accompagnate dalle migliori intenzioni,  per smascherare e contrastare in modo efficace questi comportamenti.

Al momento della nomina all’ Antitrust Giacinto Militello era un ex-dirigente della FIOM, divenuto poi presidente dell’’INPS; Luciano Cafagna era professore di storia economica e storia contemporanea, studioso di Tocqueville e di Cavour, con al suo attivo fra gli altri importanti lavori  sul Risorgimento e sulla questione meridionale.  Non c’è traccia nella biografia e nella bibliografia di questi consiglieri di alcuna dimestichezza ed esperienza precedente ad alto livello con le complesse problematiche tecniche della concorrenza e del monopolio in una economia moderna.

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Lo stesso vale per  l’’Antitrust attuale. Uno dei tre membri che continuano  era professore di diritto costituzionale, la cui produzione scientifica (secondo la nota biografica sul sito dell’’Antitrust) “abbraccia tutti i temi del diritto costituzionale, tra cui la Presidenza della Repubblica; il bicameralismo e la sua riforma con la proposta, nel 1975, di dar vita ad una Camera delle Regioni; la Corte Costituzionale; la tutela giurisdizionale dei diritti; l’autonomia normativa delle Università; la liberazione e la promozione della persona umana nella Costituzione; la cooperazione e l’economia sociale.”  Francamente, anche in questo caso niente in questa biografia autorizza a pensare che questo consigliere, al momento della nomina, fosse a suo agio nell’’analizzare i minuti e complicatissimi aspetti tecnici specifici di un lavoro all’ Antitrust. Grande competenza, nessun dubbio: ma non in campi ragionevolmente attinenti all’’Antitrust.

È utile a questo proposito dare uno sguardo alla  composizione delle due organizzazioni sorelle nel Regno Unito. Il presidente della Competition Commission, Paul Geroski, è un rispettato economista a livello europeo  nel campo dell’ economia della concorrenza. Dei tre vicepresidenti, uno è un investment banker con vasta esperienza in privatizzazioni, acquisizioni e fusioni nel Regno Unito e all’ estero; un altro e’ uno dei principali avvocati inglesi di diritto della concorrenza, e responsabile del dipartimento di legge commerciale in un grosso studio legale londinese; la terza è anch’ essa un’ avvocatessa, con esperienza in importanti casi in Inghilterra e in Europa. Tra i numerosi altri  membri del consiglio figurano alcuni fra i più rispettati economisti  nel campo dell’ economia industriale e della struttura dei mercati, fra i quali vere e proprie autorità mondiali come Paul Klemperer, con un’ enorme esperienza anche applicata. Il presidente dell’ Office of Fair Trading, John Vickers, è un’ altra  autorità mondiale nell’ economia industriale, anch’ egli con una vasta esperienza di policymaker. È difficile sfuggire all’ impressione che la composizione di questi  consigli sia più adeguata a comprendere le complesse problematiche economiche e le ancor più complesse operazioni finanziarie che un’ Antitrust  è tipicamente chiamata a monitorare.

Alcuni commentatori hanno fatto riferimento all’ assenza di una laurea nel curriculum di Guazzaloca. Può darsi che una laurea sia una condizione necessaria (anche se chiaramente non sufficiente) per acquisire le competenze tecniche necessarie per ben operare in una istituzione quale l’ Antitrust.

Ma prendiamo allora un’ altra istituzione oggi un po’ in declino, ma ai suoi tempi di rilevanza pari all’ odierna Antitrust (tanto da essere citata addirittura nella Costituzione), almeno nelle intenzioni del legislatore: il CNEL. Secondo la legge, il CNEL tra le altre cose  contribuisce all’elaborazione della legislazione economica e sociale;  ha iniziativa legislativa; esprime pareri, valutazioni e proposte  alle Camere, al Governo, alle Regioni. Sono queste attribuzioni di primaria importanza e a largo raggio,  e certamente tali da richiedere un’ alta competenza specifica, se esercitate seriamente.

Come Guazzaloca, non hanno una laurea l’ attuale presidente del CNEL, Pietro Larizza, ex-segretario generale della UIL nominato dal Presidente della Repubblica nel  2000, uno dei quattro consiglieri, anch’ essa sindacalista,  nominati dal Presidente del Consiglio nel 2000 fra “qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica del paese”,  e  parecchi dei quarantaquattro  consiglieri in rappresentanza dei lavoratori dipendenti, tutti sindacalisti.

Anche in questo caso, più che la presenza o meno di una laurea, il problema è  la competenza specifica che questi individui apportano all’ istituzione. Nel caso di Larizza, allora, come nel caso di Guazzaloca, si deve presumere che il  titolo sia costituito da una carriera nelle associazioni di categoria (in un caso sindacali, nell’ altro dei commercianti). Altri consiglieri hanno una laurea, che sembra però drasticamente incongrua al compito loro assegnato: è  questo il caso per esempio di Guglielmo Epifani, segretario della CGIL, laureato in filosofia ed uno dei due esperti per il settore agricoltura e pesca, benché niente nel suo curriculum successivo alla laurea indichi alcuna esperienza nel settore. (Si risponderà che il CNEL conta meno  dell’ Antitrust. Allora che si abbia il coraggio di dirlo, e magari di chiudere un’ istituzione anacronistica, basata su una concezione corporativistica dell’ economia di mussoliniana memoria,  e che costa moltissimo – a partire dalle indennità per i suoi 111 consiglieri – per quello che produce).

Non mi risulta che alcuno dei  commentatori  che adesso si scandalizza per Guazzaloca abbia sollevato  obiezioni a queste nomine. È  difficile allora evitare il sospetto che, nella graduatoria mentale di una certa cultura assai diffusa in Italia,  un eminente professore o un sindacalista siano di per sé più  rispettabili e più competenti di un piccolo imprenditore. Soprattutto se questo imprenditore si è fatto  da sé in un settore prosaico come la macellazione, ed  è stato presidente di un’ associazione meno “nobile” del sindacato,  quale la  confcommercio  regionale.

Ma Antitrust è una parola straniera?, di Michele Polo

Solamente un anno fa l’Italia vantava una posizione di spicco nel panorama internazionale delle istituzioni preposte alla tutela della concorrenza.
La Direzione generale per la concorrenza nei quattro anni di direzione di Mario Monti ha conosciuto una intensa attività di valutazione dei casi, in alcuni dei quali (GE-Honeywell, Microsoft) la dialettica tra le due sponde dell’Atlantico è risultata particolarmente vivace, e una stagione di riforme altrettanto importante: la nuova regolamentazione della disciplina delle fusioni, nuove procedure per la valutazione delle intese e degli abusi di posizione dominante, uno sviluppo pieno della collaborazione tra Commissione e autorità nazionali nella logica della sussidiarietà, sono solamente alcuni dei capitoli principali.
Ma anche Roma è stata negli ultimi anni un centro di attività e progetti per la tutela della concorrenza.
Autorità garante, sotto le presidenze di Giuliano Amato e di Giuseppe Tesauro ha prima di tutto svolto con impegno il suo compito istituzionale di rimuovere tante barriere e condotte anticoncorrenziali nella nostra economia. Ma ha anche partecipato con un ruolo importante alla attività di promozione di un coordinamento tra le diverse autorità nazionali, culminato nel 2002 con la creazione di un nuovo organismo, l’International Competition Network (http://www.internationalcompetitionnetwork.org/), che l’Italia ha avuto il privilegio di ospitare nel suo primo congresso a Napoli nel 2002.

Una stagione finita

L’Antitrust è stato in questi anni uno dei pochi ambiti in cui a livello internazionale l’Italia ha giocato da protagonista. Temiamo che questa stagione possa bruscamente terminare.
Dal novembre 2004 Mario Monti non fa più parte della Commissione europea, ed è tornato a svolgere a tempo pieno il suo compito di presidente dell’università Bocconi: come professore di quella università ne sono felice, come studioso di antitrust (e come cittadino) considero questo uno dei più clamorosi autogol che il provincialismo della politica italiana ha prodotto negli ultimi tempi. Nel novembre del 2004 due commissari dell’Autorità garante, Michele Grillo e Marco D’Alberti, hanno terminato il loro mandato e sono stati sostituiti a fine dicembre da due nuovi membri , Antonio Pilati, commissario all’Autorità di garanzia delle comunicazioni, e Giorgio Guazzaloca, ex-sindaco di Bologna. Le polemiche che sono seguite a queste nomine hanno sottolineato una rottura significativa rispetto al recente passato, sia per quanto riguarda le competenze che per quanto riguarda l’indipendenza. Con preoccupazione si guarda ora ai prossimi mesi, quando anche il presidente Tesauro terminerà il proprio mandato.
Peraltro, lo sconcerto di oggi non fa che confermare la preoccupazione che è stata sollevata da molti quando è stata approvata la nuova legge sul conflitto di interessi che, attribuendo all’Antitrust anche questa materia, del tutto estranea alla sua natura tecnica, ne avrebbe prevedibilmente condizionato in senso politico le successive nomine.

Nomine, una questione complessa

La vicenda delle nomine antitrust tocca un punto complesso e di non facile soluzione, legato ai criteri di nomina dei commissari delle Autorità amministrative indipendenti, di cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è forse la più importante.
Le Autorità indipendenti nascono e si giustificano come particolare soluzione istituzionale a tutela di diritti diffusi, che viene affidata come mandato esclusivo a un organismo separato e non condizionabile dall’esecutivo. La fedeltà a questo mandato e l’indipendenza da condizionamenti degli interessi regolati divengono gli elementi qualificanti di una Autorità. Che tuttavia affida nel concreto all’azione dei suoi commissari la realizzazione di questo profilo di comportamento. La competenza nello svolgere il mandato e l’indipendenza sono quindi i requisiti che una Autorità deriva dalla quotidiana attività dei suoi commissari e dei suoi funzionari. Per questa ragione la composizione di questi organismi e i meccanismi di nomina divengono uno snodo cruciale che può favorire o limitare l’attività di una Autorità indipendente.
L’Autorità antitrust gode di una significativa discrezionalità, non solo e non tanto nei criteri con cui prende le sue decisioni, soggette comunque a una verifica in sede di appello, quanto nel decidere di aprire o non aprire un caso, di valutare con maggiore o minor frequenza e attenzione una particolare industria. È dunque la qualità e indipendenza dei suoi membri dagli interessi controllati che ne influenza il concreto operare. Le nuove competenze in materia di conflitto di interessi estendono con più forza al mondo politico la sfera degli interessi da cui l’Autorità dovrebbe essere isolata per garantirne l’indipendenza.
La nozione di indipendenza è naturalmente un concetto difficile da rendere operativo; e non si può immaginare che esistano persone totalmente isolate dal contesto economico, sociale e politico in cui vivono. Ma da questa discussione appare chiaro come l’elemento da evitare è che un commissario sia direttamente portatore, per esperienze precedenti, legami organizzativi, fedeltà di appartenenza, a quegli interessi particolari che è chiamato a regolare in nome di un più generale interesse pubblico.

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Tre modelli

Nel mondo variegato della Autorità indipendenti italiane osserviamo oggi tre modelli principali per la nomina dei commissari: mediante scelta insindacabile dei presidenti di Camera e Senato (Autorità garante della concorrenza e del mercato), su iniziativa del Governo (Autorità per l’energia elettrica e il gas, Consob) dopo aver recepito il parere parlamentare, per elezione diretta di Camera e Senato dei commissari, cui si aggiunge un presidente nominato dal presidente del Consiglio sentito il ministro delle Comunicazioni (Autorità di garanzia delle comunicazioni – AgCom). Queste tre soluzioni a priori presentano un grado diverso di influenza dell’esecutivo e del Parlamento: in particolare, la nomina affidata ai presidenti di Camera e Senato, figure istituzionali super partes e di garanzia, dovrebbe preservare una Autorità delicata come l’antitrust da un diretto condizionamento politico.
AgCom, per il particolare meccanismo di nomina, è considerata la soluzione nella quale l’influenza politica sulle nomine dei Commissari è più esplicita e marcata, dal momento che l’elezione parlamentare determina uno specifico imprinting partitico su ciascun commissario sin dal primo giorno del mandato. È prima di tutto per questo elemento che sarebbe stato raccomandabile non nominare membri di questa Autorità, che irrimediabilmente portano con sé la parte politica che li ha a suo tempo eletti, a un organismo come l’Antitrust. Tanto più pensando ai nuovi compiti legati al problema del conflitto d interessi.
Autorità antitrust ha sino a oggi rappresentato un esempio del “lato buono” del meccanismo di nomina affidata ai presidenti di Camera e Senato quali figure istituzionali di garanzia, risultando difficile rintracciare ragioni politiche nei nomi che si sono succeduti in quell’ufficio, mentre appare evidente l’alto profilo professionale che li ha contraddistinti. Vale ricordare che i presidenti Irene Pivetti e Carlo Scognamiglio nominarono, in un Parlamento con una maggioranza di centrodestra e durante il primo Governo Berlusconi, Giuliano Amato alla presidenza dell’Antitrust. Oggi stiamo osservando il “lato cattivo” di quelle stesse regole, laddove l’insindacabilità della decisione si è concretizzata in nomine che fanno discutere mentre appare arduo riscontrare un profilo di garanzia super partes nell’operato dei presidenti Pera e Casini.
È con magra soddisfazione che è forse utile ricordare quanto scrivevamo nel luglio 2004 su questo sito a commento dell’approvazione della legge sul conflitto di interessi: “L’unico effetto che sin da oggi appare plausibile è quello di aver condizionato con rilevantissimi interessi politici le prossime nomine di una Autorità che in questi anni si è distinta per la sua indipendenza e eccellenza tecnica.”

Chi ha paura dell’Autorità, di Francesco Silva

Ciò che più colpisce, e fa pensare, delle due recenti nomine alla commissione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato è la sfacciataggine, sia nei modi, politicamente poco consensuali, sia nei contenuti. A nostro avviso, però, non si tratta di un colpo di testa occasionale: i due presidenti di Camera e Senato sanno benissimo di “averla fatta grossa”, ma sanno anche di avere scelto in coerenza con una precisa strategia politica. Per comprenderne meglio il senso, ci sembra utile partire dagli effetti prevedibili, e in larga parte voluti, di queste scelte.

Un’Antitrust più debole

Nell’Autorità antitrust, che gode di ottima e internazionale reputazione di autonomia e competenza, entrano due nuovi commissari, noti per essere, uno, vicino ai forti interessi economici del presidente del Consiglio, e ambedue, ancorché in misura diversa, incompetenti in tema di antitrust: nessuno dei due ha infatti alcuna formazione né pratica di diritto o economia della concorrenza.
Questo aspetto delle nomine è stato ampiamente commentato, e non vale la pena di insistere. Osserviamo solamente che l’incompetenza non è caratteristica meno grave della dipendenza: in un’istituzione che deve esprimere pareri professionalmente fondati, inevitabilmente genera decisioni subordinate a questa o a quella voce, alla capacità persuasiva e alle convenienze. Quindi, le attuali nomine indeboliscono la commissione.
Si tratta per ora solo di due commissari su cinque. Tra breve, però, scadrà anche il mandato dell’autorevolissimo presidente Giuseppe Tesauro. Con una commissione indebolita e nella quale sono rappresentati interessi di parte, la figura del presidente sarà molto importante. Per il momento, però, per la successione di Tesauro si fanno nomi che confermano l’orientamento appena avviato. Speriamo che non sia così. E in effetti, le forti reazioni generate dalle prime due nomine potrebbero indurre i presidenti delle Camere a maggiore prudenza.
Comunque sia, la commissione rischia di perdere quella reputazione di indipendenza e di competenza che si è conquistata in quattordici anni di vita.
È un esito previsto, anzi voluto: perché?

Se confrontiamo la nostra Autorità con quelle europee, scopriamo che l’indipendenza dall’esecutivo non è la regola. La subordinazione al governo è evidente in Francia e Germania, ad esempio. Ma lo era anche nella Commissione europea, prima della gestione di Mario Monti.
Ora, se la prevedibile maggior subordinazione avesse l’effetto di riavvicinare l’Autorità italiana al gregge europeo, non sarebbe un buon risultato. L’Autorità antitrust è infatti una delle poche, se non l’unica, istituzione pubblica italiana che cerca di tutelare, e talvolta di promuovere, la concorrenza, la cui gracilità è il vero punto debole del nostro sistema economico e politico.
Su questo punto, personaggi influenti come Giulio Tremonti (vedi il Corriere della Sera di martedì 4 gennaio) esprimono un parere diverso. Oltre a mostrare di avere le idee non del tutto chiare sugli obiettivi dell’Antitrust in Europa, Tremonti ritiene che la concorrenza perfetta, definita “mercato surreale”, sia un pericolo in un mondo “reale” dominato da lupi tutelati da appropriate politiche nazionali, così che sarebbe quasi rischioso avere un’Antitrust troppo influente.
Queste affermazioni sembrano confermare che la politica governativa non ha come obiettivo una maggior concorrenza, ma preferisce più controllo pubblico e più protezioni, e forse anche difesa dei monopoli nazionali.

Autorità e interessi costituiti

Ma torniamo al problema dell’indipendenza. Parlare di interessi dell’esecutivo che influenzano l’Antitrust è cosa assai diversa dal parlare degli interessi personali di chi governa o gli sta attorno, e che in tutta evidenza hanno suggerito almeno una delle due nomine, e potrebbero domani determinare la scelta del presidente. Tuttavia, a nostro avviso, questi interessi sottostanti sono ancora più estesi, e dunque ancor più pericolosi di quanto appare.
Se passiamo in rassegna i provvedimenti presi o le indagini svolte dall’Autorità negli ultimi dieci anni, scopriamo che ha seguito due orientamenti precisi: ha considerato come soggetti sanzionabili anche le grandi imprese, e ha appoggiato la politica europea di promozione della concorrenza nei settori di servizio pubblico (trasporti, telecomunicazioni, televisione, elettricità, gas, distribuzione commerciale, e così via).
Proprio questi settori hanno assunto in Italia una configurazione di mercato fortemente concentrata, quasi monopolistica, certamente refrattaria alla concorrenza. E dunque, insieme a quello assicurativo, sono stati settori spesso sanzionati e segnalati dall’Autorità.
È assai plausibile ritenere che si voglia ora porre un freno a tale politica, un po’ troppo audace.
Ma il monopolio delle televisioni commerciali non è il solo soggetto interessato a un’Autorità antitrust più debole. Lo è anche il settore dei servizi di pubblica utilità e più in generale tutta l’area dei servizi, che invece avrebbe bisogno di una forte dose di concorrenza. Silvio Berlusconi non è perciò il solo a compiacersi delle nomine effettuate.
Tuttavia, le nomine riguardano anche un secondo aspetto degli interessi personali coinvolti, forse ancor più decisivo del primo, secondo molti: il conflitto d’interessi.
Il presidente del Consiglio vuole essere sicuro degli esiti istituzionali da lui stesso avviati: dopo che per legge è stata attribuita all’Antitrust la responsabilità del controllo del conflitto d’interesse, preferisce che l’Autorità sia guidata da persone di cui si fida.
Rischia così di ripetersi quanto già successo con l’Autorità delle telecomunicazioni: le fu malauguratamente attribuita competenza in un settore politicamente sensibile, con l’effetto di politicizzarla e indebolirla. Ora, la politica potrebbe uccidere la tutela della concorrenza.

Chi dominerà allora un’Autorità la cui commissione è poco competente, attenta a non “pestare piedi importanti” e fors’anche poco interessata a tutelare la concorrenza? Potrebbero essere gli uffici e in questo caso molto dipenderà dal segretario generale, che verosimilmente cambierà, oltre che dalla possibile diaspora dall’attuale struttura. Anche gli uffici potrebbero perciò perdere in sapienza e conoscenza, e diventare così più sensibili alle voci esterne. Auguriamoci che così non sia, perché significherebbe perdere uno dei pochissimi pezzi ancora sani e competenti delle istituzioni di governo dell’economia.

Verso il private enforcement?

Infine, un’ultima considerazione. I percorsi della politica e delle istituzioni sono sempre più complessi e imprevedibili di quanto si sia propensi a credere: paradossalmente, il paventato indebolimento dell’Antitrust potrebbe produrre nel lungo periodo un esito favorevole.
Potrebbe infatti emergere un più robusto private enforcement, ossia un maggior ricorso alla magistratura ordinaria, sul modello americano, in qualche misura prefigurato anche dalla recente riforma europea, voluta da Monti.
Per le caratteristiche della nostra magistratura e per le inerzie istituzionali, passerà però molto tempo prima che questa modalità possa diventare effettivamente funzionante. Questo nuovo orizzonte, per quanto interessante, sembra dunque per ora lontano.

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11 commenti

  1. Alessandro Condina

    In astratto sono d’accordo con il contenuto dell’articolo, specie nella prima parte ma non mi sembra di stretta attualità. Se il Cnel è anacronistico o inutile, bene: parliamone a tempo debito e in luoghi opportuni. però mi sembra che nel Consiglio nazionale per l’economia e il Lavoro un ex sindacalista non sia fuori posto. per buona parte della sua vita si è occupato di lavoro! non penso che abbia bisogno di una laurea.
    L’imprenditore Guazzaloca, invece, non è un consigliere del ministero dell’Industria o del Commercio, quindi mi sembra di gran lunga più fuori ruolo degli altri.
    Condivisibile, comunque, il richiamo a un’attenzione più marcata ai curriculum dei candidati: ma questo è un problema di tutta l’Italia

    • La redazione

      Caro Alessandro,
      grazie per il messaggio. Il punto che volevo fare era precisamente che, laurea o non laurea, cio’ che e’ importante in organi “tecnici” e’ la competenza nel campo specifico. Questa competenza manca a Guazzaloca, ma manca a tanti altri. Non sono sicuro di capire bene la distinzione fra consiglieri di un ministro e altri tecnici, eccetto forse che i consiglieri di un ministro non hanno una carica istituzionale e quindi la loro competenza e’ meno controllabile.

      Cordialmente

      Roberto

  2. Carlo Satta Flores

    Caro Perotti,

    nel suo ultimo intervento, lei lamenta lo scarso bagaglio tecnico di alcuni dei componenti delle autorità indipendenti che operano nel campo della concorrenza. Bene. In questo senso il suo è un compito semplice, e può mettersi al riparo dalle critiche, in quanto lei stesso è un economista di solida formazione e ottimi risultati: semplicemente, lei è un esperto e vorrebbe vedersi contornato da esperti. Di sicuro nessuno potrebbe opporsi a una richiesta di maggiore qualificazione, maggiore autorevolezza, maggiori controlli: questi dell’Antitrust li vorremmo tutti laureati, supermasterizzati, magari con un bel PhD in economics preso velocemente in una delle top ten universities del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America, e una discreta manciata di citazioni su EconLit.

    Ma c’è un ma. Chi sono i candidati ideali a questo tipo di professione? Di certo non coloro i quali contestano da decenni l’assoluta infondatezza e inconsistenza della letteratura e della legislazione relativa alla cosiddetta “protezione della concorrenza”. Non coloro che studiano la concorrenza e l’inquadrano come un continuo processo conoscitivo umano di scoperta e di miglioramento. Sicuramente non coloro che argomentano che la pervasività dell’azione pubblica nel sistema di mercato crei più distorsioni di quante ne intende rimuovere. Non coloro i quali sono convinti che il coordinamento dei mercati possa garantire lo sviluppo di una società libera e dinamica: assolutamente nessuno di questi studiosi è candidabile.

    Il candidato ideale invece è un economista (glissiamo pure sui giuristi) che sia pronto a dimostrare a tutti, ma soprattutto ai suoi dirigenti o ai suoi referenti politici, che quelle strategie commerciali che paiono innocue a chiunque, nascondono in realtà pericoli terribili per la concorrenza, come se questa fosse una delicata e irascibile signorotta di mezz’età, con un carattere fissato per sempre e che non tollera le critiche. Il candidato ideale dovrà essere pronto a dimostrare con teoremi del punto fisso, ampio uso dell’analisi differenziale e robuste stime econometriche che c’è un grandissimo bisogno dell’intervento del burocrate pubblico, e che le libere e consapevoli interazioni tra gli individui vadano costantemente corrette dalla longa manus di un pianificatore benevolente. Va da sè che il candidato ideale, prima dell’assunzione, dovrà aver pubblicato una serie di lavori originali e innovativi sui top journals che vadano tutti nel senso sopra indicato, in modo da poter valutare correttamente la sua fedeltà al sistema burocratico.

    Per finire, caro Perotti, non le pare che, in questo contesto in cui la politica e la burocrazia dettano le regole, ridurre il tutto a una questione di maggiore qualificazione sia equivalente ad auspicare l’avvento di una nuova tecnocrazia di guardiani del popolo, ovvero una riedizione del socialismo della cattedra?

    Cordialmente,

    Carlo Satta Flores
    (Sassari)

    • La redazione

      caro Satta Flores,
      grazie per il messaggio. Ovviamente ero cosciente che mi avventuravo nel pericoloso dibattito tecnocrati vs politici. Ma in questo caso mi sembra che non ci siano ambiguita’. I cittadini possono eleggere chi vogliono, ma l’ Antitrust e’ esplicitamente un organo tecnico e non elettivo, dove non vi sono dubbi che le competenze specifiche siano necessarie.

      Un cordiale saluto

      Roberto Perotti

  3. Danilo FLORA

    Lei conferma quanto tutti conosciamo fin dall’infanzia, che nel nostro paese le nomine a funzioni pubbliche non tengono alcun conto del livello di competenza specifica.
    Ma un minimo di coerenza e di serietà avrebbe dovuto consigliare ai soggetti interessati di non accettare l’incarico.
    Finch’è non troveremo individui in grado di riconoscere i propri limiti non speriamo in un miglioramento della situazione italiana.

    • La redazione

      Francamente anch’ io avrei scommesso che almeno uno dei due non avrebbe accettato.

      Grazie e cordiali saluti

      Roberto Perotti

  4. Fred

    Egregio Dott. Perotti,
    Non possono esserci dubbi sulla validità “scientifica” delle sue osservazioni. Designazioni e nomine in genere in delicati Enti, in particolare se con funzioni di controllo, non possono prescindere da “curricula” di tutto rispetto nelle materie di competenza.
    C’è però un altro requisito che, mi sembra, non venga affrontato nel suo articolo, quello della “notoria indipendenza”. Ed è qui che lei può trovare risposta alla sua domanda “Perché solo ora?”. Tale requisito infatti non può essere considerato un optional rispetto all’altro. Non possono che avere pari dignità e non essere *mai* disgiunti quando si parla di Autorità di *controllo*.
    Ora, se è vero che la “notoria indipendenza” non è misurabile come le competenze acquisite e documentate, è altresì vero che perfino uno qualunque come me si rende immediatamente conto che *certamente* Guazzaloca e Pilati NON sono due “professionisti” *notoriamente indipendenti*, ecco spiegato il perché del (sacrosanto) collettivo “grido di dolore” di tutti i media specializzati, nel constatare che solo i Presidenti di Camera e Senato sembrano riconoscere ai due *competenza e indipendenza*, indivuduate non si copisce come e dove.
    Se aggiungiamo che stiamo parlando dell’AGCM, al centro di una lotta all’ultimo emendamento sul DDL Risparmio, mi sembra che il quadro sia completo.
    Cordiali saluti e buon lavoro.
    Fred®

    • La redazione

      Sono assolutamente d’ accordo sull’ importanza dell’ indipendenza. Sono anche d’ accordo che e’ oggettivamente difficile non avere grossi dubbi al riguardo in occasione delle nomine recenti. Ma se guarda alla biografia di alcune delle altre persone che cito nell’ articolo, converra’ con me che e’ altrettanto difficile parlare di indipendenza nel loro caso.

      Grazie del messaggio, e cordiali saluti

      Roberto Perotti

  5. Alessandro Condina

    Caro Perotti,

    chiarisco il mio commento su Guazzaloca: da ex Confcommercio e titolare di un’attività commerciale poteva essere indicato per incarichi relativi a questo settore. Ad esempio, ipotizzavo, al ministero delle Attività produttive o altro.
    Quanto all’indipendenza, è vero che in moltissime altre nomine non è stata presa in considerazione, ma stavolta è richiesta esplicitamente come requisito per l’Antitrust. E pour cause mi viene da dire.
    Grazie per il suo contributo (questo sì) indipendente
    Cordialità

  6. Alessandro Spanu

    Gentile Olivieri,

    a proposito di competenze specifiche nelle funzioni pubbliche (mi riferisco alle polemiche concernenti le ultime nomine all’ Autorità garante della concorrenza e del mercato) non so spiegarmi che cosa ci faccia l’Onorevole Paissan, già Deputato nel gruppo dei Verdi e giornalista de “Il Manifesto”, nell’ Autorità per la protezione dei dati personali presieduta dal Professor Rodotà.
    Infatti l’articolo 153 del Decreto Legislativo 196 del 2003 (“Codice in materia di protezione dei dati personali”) prevede che i membri, eletti dalle Camere, debbano essere “persone che assicurano indipendenza e che sono esperti di riconosciuta competenza delle materie del diritto o dell’informatica” : Paissan non è né l’uno né l’altro !
    Ci sono state interrogazioni parlamentari o pubbliche indignazioni in merito ? Non ricordo.

    Cordiali saluti.

    Alessandro Spanu
    Mogoro (OR)

  7. Alessandro Condina

    Non abbiamo finito di stracciarci le vesti per le nomine all’Autorità per l’energia e il gas che la seconda e la terza carica dello stato (i presidenti di Senato e Camera) ci hanno fatto dono di un altro bersaglio d’indignazione.
    A capo dell’Antitrust hanno nominato un esimio professore, di chiara fama, ma fino all’altroieri segretario generale di Palazzo Chigi. Non male come esmpio di indipendenza dal potere politico e da quello economico…

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