Il mercato europeo del corporate e investment banking non è impenetrabile. Il successo di attori regionali europei fa ritenere che vi sia ancora spazio per operatori italiani che sappiano cogliere la sfida. I costi legati alla fusione di grandi gruppi, per esempio l’emergere di posizioni dominanti in alcune regioni, sarebbero di gran lunga compensati dai benefici che ne conseguirebbero per l’intera economia. Una specializzazione nelle attività all’ingrosso potrebbe anche favorire il processo di crescita dimensionale delle medie imprese italiane.

Il dibattito sui futuri assetti del settore bancario in Italia e sulla gli orientamenti in materia della Banca d’Italia è attualmente focalizzato sull’apertura del nostro mercato ai gruppi esteri. Minore attenzione viene data a quale debba essere il modello di specializzazione delle nostre banche, soprattutto quelle maggiori. Eppure, si tratta di una questione cruciale, tanto più in una fase in cui l’economia italiana soffre per la scarsa capacità competitiva.

La debolezza italiana

E’ ormai evidente la concentrazione del sistema bancario italiano sulle attività al dettaglio a scapito di quelle “all’ingrosso” (corporate e investment banking). Questa tendenza pone i maggiori gruppi in una situazione di strutturale debolezza, con riflessi non secondari per tutto il sistema bancario italiano e per la competitività del paese nel suo complesso. Un sistema economico privo di un’industria domestica di investment banking non fa certo a meno di tali servizi: li riceve dai gruppi bancari internazionali. Ma è facilmente intuibile che, rispetto a soggetti esteri, banche di matrice italiana hanno un interesse maggiore nel promuovere la crescita e lo sviluppo delle nostre imprese, in quanto queste costituiscono una porzione prevalente del loro portafoglio crediti e rappresentano comunque la componente core della clientela. A conferma di ciò, vi è l’interesse dei maggiori paesi europei nel supportare le banche di investimento domestiche.
La debolezza delle banche italiane nel settore all’ingrosso è generalmente data per acquisita. Alla luce di una serie di vincoli oggettivi in prevalenza di natura dimensionale, si dà ormai per scontato che nell’unificato mercato dei capitali europeo, i gruppi italiani debbano giocare un ruolo marginale nelle attività di corporate e di investment banking.
Ma è proprio così? Certo, la quota di mercato dei soggetti italiani nel mercato bancario europeo all’ingrosso si colloca su valori di gran lunga inferiori al peso relativo della nostra economia (per esempio, circa il 2 per cento nei collocamenti azionari ed obbligazionari nel 2004 del grafico 1). E la ridotta quota di mercato delle banche italiane nella attività di capital market nell’area dell’euro è in qualche modo correlata alla loro ridotta dimensione. Ma le banche italiane hanno un ruolo decisamente marginale anche nel mercato domestico, come mostrano i dati citati dal governatore Fazio all’incontro annuale con gli operatori finanziari a Modena il 12 febbraio: dal gennaio 2000 al giugno 2004, oltre il 70 per cento dell’ammontare delle circa 200 emissioni effettuate da imprese italiane sull’euromercato, è stato collocato da banche estere, che svolgono anche “un ruolo preponderante nelle operazioni di fusione e acquisizione nel nostro mercato”.

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La posizione del governatore

Lo stesso governatore, peraltro, sembra preferire uno scenario in cui le banche italiane si concentrano sull’attività al dettaglio, esaltando la loro funzione di “reti”. Infatti dal discorso modenese di Antonio Fazio si ricava che:

1) non si debba procedere a ulteriori consolidamenti nell’ambito dei maggiori gruppi, per evitare il rischio di conseguimento di posizioni dominanti limitative della concorrenza ed essendo dubbi i guadagni di efficienza derivanti dalle accresciute dimensioni;
2) si debbano rafforzare, tramite possibili aggregazioni, gli attori di dimensione media essenziali per la vicinanza al mondo dell’impresa locale;
3) non siano prioritarie integrazioni internazionali, perché con buona probabilità anch’esse “poco efficienti”.

Un ruolo nel corporate e investment banking

Nel segmento all’ingrosso le banche italiane hanno certo un problema di natura dimensionale (vedi grafico 2) ed è evidente che la strada della pur complementare crescita interna richiede tempi eccessivamente dilatati. Se dunque escludiamo fusioni tra i grandi, vuol dire che ci si orienta sulla difesa delle banche/reti, lasciando agli operatori esteri il settore all’ingrosso.
Ma il ritardo accumulato dagli operatori di casa nostra è davvero incolmabile? Le cose non stanno così. Come argomentato nel più articolato allegato “Banche italiane e investment banking: quale futuro?”, la recente esperienza mostra che il mercato europeo del corporate e investment banking non è affatto impenetrabile. Il successo di players regionali europei (Barclays e Royal Bank of Scotland, tra gli altri) che in pochi anni hanno raggiunto posizioni di assoluto rilievo, fa ritenere che vi sia ancora spazio per operatori italiani che sappiano cogliere la sfida. L’emergere di uno o più grandi gruppi bancari italiani porrebbe le premesse per affiancarsi a quelle britanniche, tedesche, francesi e olandesi.  In quest’ottica, i costi legati ai problemi derivanti dalla fusione di grandi gruppi (emergere di posizioni dominanti in alcune regioni e costi organizzativi) sarebbero di gran lunga compensati dai benefici che ne conseguirebbero per l’intera economia. Una presenza italiana di rilievo nel segmento all’ingrosso sarebbe oltre tutto estremamente utile per favorire quel processo di crescita dimensionale delle medie imprese italiane che tutti auspicano. Va sottolineato, poi, che l’esperienza mostra che in un eventuale processo di consolidamento continentale le banche più forti nell’attività all’ingrosso tenderebbero ad agire come poli aggreganti.
Last but not least, lo sviluppo delle funzioni di investment banking porterebbe a sfruttare le economie di scala e a dare un senso strategico all’ottima posizione di leadership raggiunta dal sistema bancario italiano nella “Nuova Europa” che altrimenti rischierebbe di risolversi in un investimento in partecipazioni pur importanti, ma non integrate tra loro. Avere nell’industria finanziaria “fabbriche prodotto” – quelle a maggior valore aggiunto – localizzate in Italia è una sfida alla nostra portata. Ogni sforzo andrebbe compiuto da parte dei protagonisti, soggetti istituzionali in primis, per favorire il nascere di attori italiani in grado di occupare un ruolo di rilievo a livello continentale. Forse, mai come in questo caso si può affermare che la miglior difesa è l’attacco.

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GRAFICO 1- QUOTE DI MERCATO DELL’ATTIVITA’ DI BOOK RUNNING DI BOND DENOMINATI

IN EURO NEL 2004 SUDDIVISE PER NAZIONALITA’ DEI GRUPPI BANCARI

GRAFICO 2- ASSET TOTALI DELLE PRIMARIE BANCHE EUROPEE E QUOTE DI MERCATO

DELL’ATTIVITA’ DI BOOK RUNNING DI BOND DENOMINATI IN EURO NEL 2004

 

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