Cosa hanno allora in comune due storie di attualità così diverse per numeri, caratteristiche e implicazioni, come quelle dell’Ilva e della Carbosulcis? Tutte due sono emergenze che scoppiano all’improvviso e portano alla luce l’inadeguatezza di una classe politica e dirigente, spesso collusa con rappresentanti dei lavoratori che preferiscono tutelare l’esistente, prolungare il più possibile lo status-quo, che immancabilmente si configura come il privilegio delle generazioni correnti a scapito di quelle future. Perché il trade-off esiste e va affrontato.

PROBLEMI MAI AFFRONTATI

È forse troppo facile dire oggi che la contrapposizione tra lavoro e salute, nel caso di Taranto, va superata. Il problema è che per troppo tempo non si è cercato il giusto compromesso, l’equilibrio possibile tra opposte esigenze e diritti, entrambi costituzionalmente tutelati. In Sardegna la politica, soprattutto locale, non ha voluto vedere la realtà di una materia prima quasi inutilizzabile perché antieconomica, così come non ha voluto vedere che, non producendo bauxite, non aveva molto senso economico perpetuare l’attività di un impianto di produzione di alluminio dalle dimensioni ridotte per gli standard internazionali e privo di una fonte vicina di approvvigionamento.
Il problema della salvaguardia dei posti di lavoro è comune a tutte le situazioni di crisi da tempo annunciate. In più, nel caso Ilva, vi è un aspetto legato all’inquinamento che per lungo tempo è stato privo di controllo, così da produrre in dimensioni impressionanti i danni più gravi: morti e malattie. Quello che è mancato è una politica lungimirante, che metta sullo stesso piano le generazioni attuali e quelle future, altrimenti non rappresentate da nessuno: quando la politica ha un orizzonte progettuale che non va oltre le scadenze elettorali, si produce l’assenza di azione o l’azione di aggiustamento e adeguamento all’esistente – di solito aiutata da robuste iniezioni di denaro pubblico. E il risultato finale sono alla fine emergenze molto più dolorose e costose da risolvere, come quelle che ci troviamo oggi di fronte.
In Italia da tempo manca una politica industriale degna di questo nome, che in mercati liberalizzati e sempre più competitivi, sia in grado di indicare degli obiettivi e di indirizzare poi, con strumenti precisi, efficienti ed efficaci, i comportamenti degli attori verso il loro raggiungimento, possibilmente corredati dall’indicazione di tappe e scadenze temporali. È il caso dei mercati dell’energia, settore che sta diventando sempre più importante nell’economia del paese. Ma rispetto agli anni Sessanta e Settanta per la politica industriale vi è la novità di un crescente vincolo ambientale, risultato di un’accresciuta consapevolezza e sensibilità dei cittadini, dell’accumularsi di conoscenze scientifiche e purtroppo del prodursi degli effetti dannosi di molte attività produttive. Questo vincolo non può più essere tralasciato se vogliamo che la crescita che stiamo affannosamente rincorrendo sia davvero “sostenibile”, come è nelle ambizioni dell’attuale governo.

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EVITARE NUOVE EMERGENZE

Soprattutto, dobbiamo far tesoro dell’esperienza attuale per il futuro. Sul territorio nazionale vi sono oggi 57 Sin, siti di interesse nazionale per le bonifiche, ventotto lungo la fascia costiera, aree in cui l’inquinamento industriale degli anni Cinquanta-Settanta ha destato la preoccupazione del ministero dell’Ambiente, ma in cui non sono mai stati fatti dei seri interventi di risanamento radicale. Secondo l’Istituto superiore di sanità in otto anni, dal 1995 al 2002, l’inquinamento ambientale potrebbe aver contribuito alla morte precoce di circa 10mila persone. Ci sono inoltre 5 milioni e mezzo di italiani (poco meno di un decimo della popolazione) che, per il fatto di vivere in un determinato luogo, hanno acquisito una probabilità di morire più alta degli altri. (1)
Ecco, facciamo in modo che le emergenze di Taranto e della Sardegna servano da lezione nel saper gestire delicate situazioni di riconversione industriale e territoriale così da intervenire prima che si verifichino vere e proprie emergenze; ed è quando, in questo paese, i compiti della politica finiscono malauguratamente per essere delegati alla magistratura.

(1) Da Trieste a Venezia Porto Marghera, da Livorno al Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano, passando per Brindisi, Porto Torres e Gela fino a Taranto dove la superficie considerata Sin riguarda poco più di 114 kmq a terra, 22 kmq a Mar Piccolo, 51 kmq a Mar Grande e quasi 10 kmq a Salina Grande, con un interessamento diretto di 17 km di costa.

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