Nel settore pubblico continuano operare logiche diverse e distorsive rispetto al lavoro privato. Per rimediare a tali deficienze è necessaria una drastica riforma che immetta nel sistema pressanti incentivi di mercato o di quasi mercato e opportuni meccanismi di controllo che spingano le pubbliche amministrazioni ad agire come veri datori di lavoro. Nella situazione attuale, predomina la politica sull’amministrazione e la ricerca del consenso a qualsiasi prezzo sull’interesse pubblico e degli utenti dei servizi.

L’apertura delle trattative per il rinnovo dei contratti collettivi del settore pubblico si svolge in un contesto permeato da logiche perverse e lontane dall’esigenza di perseguire i reali interessi dei cittadini. Si assiste ad un uso delle risorse finanziarie pubbliche orientato alla ostinata ricerca del consenso politico al prezzo del sacrificio dell’efficienza dei servizi.

I molti interrogativi

In primo luogo, ha destato notevoli perplessità l’annuncio di disponibilità di numerosi esponenti del Governo verso le istanze dei sindacati, proprio in prossimità della scadenza elettorale. Cosicché le organizzazioni dei lavoratori, nella trattativa, finiscono per agire anche come formidabili collettori di consenso politico. Poi, si avvia una nuova stagione contrattuale senza che il Governo abbia tentato di risolvere in alcun modo i problemi emersi nel corso degli anni passati. 
Uno di questi è rappresentato dal fatto che i contratti collettivi nazionali vengono rinnovati con un lungo ritardo rispetto alla data di scadenza di quello che sostituiscono. Si assiste così al paradosso che i contratti collettivi, una volta sottoscritti definitivamente ed entrati in vigore, regolano un arco temporale quasi del tutto esaurito, ponendo inevitabili problemi circa la loro retroattività. A ciò si affianca la contestuale riapertura del conflitto per l’ulteriore rinnovo dei contratti già prossimi alla scadenza. Di fatto, è come se la contrattazione collettiva nazionale si svolgesse senza soluzione di continuità, lasciando gli operatori in uno stato di forte incertezza.

Il ruolo dell’Aran

Altra questione riguarda il ruolo dell’attore negoziale rappresentativo della parte pubblica a livello nazionale. Nell’ispirazione dei riformatori del lavoro pubblico all’inizio degli anni Novanta, questo compito sarebbe dovuto spettare all’Aran. L’Agenzia avrebbe dovuto operare come organismo tecnico di rappresentanza delle pubbliche amministrazioni, ma adeguatamente separato da esse; in modo tale da evitare le indebite influenze politiche sull’andamento della contrattazione. La verità è che l’Aran è ridotta a svolgere funzioni del tutto marginali. La più importante e reale fase della contrattazione si svolge nelle stanze degli esponenti del Governo e delle altre amministrazioni dotate di capacità autonoma di spesa, dove si stabilisce l’entità delle somme da destinare alla contrattazione. Così, l’Aran si trova scavalcata e gestisce fondi da altri predeterminati. Con l’aggravante che nella contrattazione collettiva nel settore pubblico, i sindacati dei lavoratori sanno già in partenza quali sono le somme disponibili per il finanziamento degli istituti contrattuali. Di conseguenza, manca quel formidabile incentivo di mercato rappresentato dalla possibilità, presente nel settore privato, per l’attore negoziale di parte datoriale di spingere verso la chiusura tempestiva della trattativa offrendo somme ulteriori rispetto a quelle note in partenza. Invero, la mancanza di un preteso adeguato finanziamento legittima Aran e sindacati a sospendere la trattativa e ad avanzare richieste congiunte all’autorità politica per ottenere nuove risorse. Sicché, l’autorità politica trova la giustificazione formale (ma, in realtà, esclusivamente fondata sulla necessità pratica di conquistare il consenso dei lavoratori) per aumentare la dote finanziaria.
È anche vero che la debolezza negoziale dell’Aran è indotta dalle stesse pubbliche amministrazioni rappresentate che le forniscono atti di indirizzo evanescenti. Ovvero assumono, nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori, atteggiamenti a dir poco consociativi, lasciando di fatto l’Aran da sola ad affrontare l’offensiva sindacale. Di più, i contratti collettivi nazionali, sino ad ora stipulati, non hanno creato le precondizioni per realizzare un uso efficiente del personale al pari del settore privato. Basti pensare al fatto che molte norme sono formulate in modo estremamente tortuoso. Questo perché l’Aran non riesce a svolgere appieno il suo ruolo e, invece di opporsi chiaramente alle pressioni dei sindacati, preferisce raggiungere l’accordo su testi ambigui. Ciò fa sì che a livello decentrato si riaprano i negoziati sulle materie già trattate in sede centrale, con interminabili controversie sulla loro esatta delimitazione e interpretazione. Questo sistema favorisce le applicazioni più distorte degli istituti contrattuali a detrimento degli interessi pubblici.

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La contrattazione decentrata

Infatti, la parte datoriale pubblica è ancora più debole nelle sedi dove si svolge la contrattazione decentrata o integrativa. Esigenze di pace sociale e di consenso politico determinano singolari alleanze tra le controparti negoziali, tali da favorire lo sfondamento degli apparenti limiti finanziari fissati dai contratti nazionali. Il tutto è aggravato dalla mancanza di effettivi controlli sul loro rispetto. Peraltro, nel lavoro pubblico esiste una forte rigidità salariale sul piano nazionale, specie rispetto al settore privato. Una rigidità che ha come contraltare, in sede decentrata, l’endemica spinta a utilizzare gli spazi negoziali per distribuire a pioggia incentivi e premi senza alcun legame con l’aumento dell’efficienza dei servizi offerti. E quindi senza assicurare l’ancoraggio degli aumenti salariali alla produttività del lavoro. Insomma, nell’area del lavoro pubblico continuano ad operare logiche diverse e distorsive rispetto al lavoro privato. Per rimediare a tali deficienze è necessaria una drastica riforma che immetta nel sistema pressanti incentivi di mercato o di quasi mercato e opportuni meccanismi indipendenti di controllo che spingano le pubbliche amministrazioni ad agire come veri datori di lavoro. Nella situazione attuale, predomina la politica sull’amministrazione, la ricerca del consenso a qualsiasi prezzo sull’interesse pubblico e degli utenti dei servizi.

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