L’investitore non professionale deve ricevere sempre una informazione adeguata al tipo di rischio connesso ai diversi titoli e per lui comprensibile. E il disegno di legge approvato alla Camera la assicura. Ma c’è anche il pericolo di rendere l’emissione di obbligazioni ad alto rischio troppo costosa o impossibile. E’ un errore perché i titoli “spazzatura” svolgono una funzione utile sui mercati finanziari, come insegna l’esperienza di quelli più avanzati. Impedirne l’emissione dall’Italia servirebbe solo ad accentuare lo svantaggio competitivo dei nostri mercati.

Uno degli aspetti critici nella regolamentazione dei mercati finanziari, sottolineati dagli scandali degli anni recenti, riguarda la cessione al pubblico delle obbligazioni emesse dalle imprese e riservate in origine a sottoscrittori professionali, nonché la vigilanza su tali emissioni. Il disegno di legge per la tutela del risparmio all’esame del Senato affronta il problema con lodevoli intenzioni, ma le soluzioni possono essere migliorate sia nel regime di circolazione dei titoli sia in quello di vigilanza.

Le obbligazioni ad alto rischio emesse all’estero

Si consideri il caso di obbligazioni emesse all’estero da imprese italiane. Lo scopo può essere quello di ridurre i tempi e i costi dell’emissione, che sul mercato italiano sono straordinariamente elevati; ma può anche essere quello di eludere i limiti alle emissioni obbligazionarie, in rapporto al capitale della singola società. Quando sono messe in circolazione su un mercato regolamentato, ad esempio in Lussemburgo, le obbligazioni sono soggette agli obblighi di trasparenza degli emittenti quotati (incluso il prospetto). Se vengono emesse sull’euro-mercato, sono sottoscritte all’emissione solo da investitori professionali; il documento informativo si riduce a una offering circular il cui contenuto è molto ridotto e di non facile comprensione per un investitore non professionale. Come è stato documentato da Marco Onado, in alcuni casi emissioni obbligazionarie riservate a soli investitori professionali sono state collocate dopo breve tempo tra il pubblico dei risparmiatori, che poi hanno subito su di esse perdite rilevanti.
La duplice questione posta da tali episodi è come rafforzare le regole di tutela dei risparmiatori e come prevenire il possibile conflitto di interesse della banca già creditrice dell’impresa che, venuta a conoscenza dellostato di difficoltà finanziaria, potrebbe essere tentata di trasferire al pubblico parte dei suoi rischi – appunto, le obbligazioni dell’azienda detenute in portafoglio.

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Le possibili soluzioni regolamentari

Il problema della tutela dei risparmiatori in questi casi può essere risolto in vari modi. Uno è quello di vietare la vendita al pubblico dei risparmiatori delle obbligazioni sottoscritte inizialmente da investitori professionali. La soluzione appare un po’ drastica, però, perché rischia di chiudere l’accesso delle imprese a tale mercato. Un altro modo è circondare di particolari cautele la vendita al pubblico di questi titoli. Ad esempio, si potrebbe prevedere che, al momento della cessione al pubblico, un prospetto o altro documento informativo, debba comunque essere redatto e consegnato all’acquirente, magari imponendo anche che sia di facile comprensione. La regola 144a della Sec statunitense prevede che l’investitore istituzionale debba mantenere in portafoglio i titoli acquistati in offerte a loro riservate (obbligo di detenzione).

Il Ddl in discussione al Senato

Il disegno di legge approvato dalla Camera migliora per molti versi la situazione attuale, rafforzando la tutela dei risparmiatori. In particolare, assicura il rispetto dei limiti di emissione in rapporto al capitale, talora violati in precedenza, prescrivendo che siano calcolati con riferimento a tutte le società le cui emissioni siano state garantite dalla società quotata italiana. Inoltre, rende obbligatorio il prospetto per tali obbligazioni nel momento della cessione al pubblico.
Una terza disposizione del testo in discussione, contenuta nell’articolo 11, solleva invece forti perplessità. Prevede che, qualora le obbligazioni vengano cedute al pubblico, l’intermediario cedente debba fornire garanzia per la solvenza dell’emittente per un anno a partire dalla data della cessione, invece che dall’emissione. Inoltre, la disposizione viene applicata a tutti “gli strumenti e agli altri prodotti finanziari”, incluse dunque le azioni (sulle quali per definizione una garanzia di solvenza è impensabile).  Si verifica qui una strana commistione di due istituti, l’obbligo di detenzione e la garanzia contro il rischio di insolvenza dell’emittente. L’obbligo di detenzione risponde allo scopo di assicurare che l’intermediario non faccia emettere il titolo al solo scopo di collocarlo tra risparmiatori inconsapevoli. La garanzia è tipicamente l’oggetto di rapporti contrattuali e non di obblighi di legge. La combinazione dei due istituti in questa versione perversa può produrre l’effetto di chiudere completamente il mercato, non essendo pensabile che i sottoscrittori istituzionali continuino ad acquistare tali titoli.
Non vi sarebbe invece alcuna controindicazione a introdurre un obbligo di detenzione di sei mesi o un anno, a partire dal momento dell’emissione, sulla scorta dell’esempio americano. Ovviamente condividiamo la necessità che l’investitore non professionale riceva sempre una informazione adeguata al tipo di rischio connesso ai diversi titoli e per lui comprensibile. Sarebbe invece una iattura se, per eccesso di zelo, si finisse per rendere l’emissione di titoli ad alto rischio troppo costosa o impossibile.
Anche i titoli “spazzatura” svolgono una funzione utile sui mercati finanziari, come insegna l’esperienza dei mercati più avanzati. Impedirne l’emissione dall’Italia servirebbe solo ad accentuare lo svantaggio competitivo dei nostri mercati.

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