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Le molte ipotesi sui tributi regionali

Molte le ipotesi di riforma del sistema tributario regionale. Nessuna proposta però appare del tutto soddisfacente. Sostituire l’Irap con maggiori spazi di manovra delle Regioni sull’Irpef non risolve il problema della sperequazione territoriale delle risorse e soffre dell’assenza di alcuni cespiti dalla base imponile dell’imposta sui redditi. Al contrario, attribuire alle Regioni imposte sui consumi renderebbe la dotazione finanziaria più equilibrata, ma appare difficile garantire adeguati spazi di autonomia. Servirebbe allora un’innovazione istituzionale come la Vivat.

Come potrebbe essere sostituita l’Irap? È opportuno qui tenere separati i due aspetti del problema: come reperire le risorse per il bilancio pubblico statale in caso che la riforma conduca a una eliminazione o riduzione del gettito del tributo, e come sostituire l’Irap in quanto tributo regionale. In linea di principio, l’Irap potrebbe non essere compensata con altri tributi se si riducessero le spese statali in misura corrispondente. (1) Ma il problema di quali strumenti tributari usare per finanziare la spesa regionale resterebbe ancora, essendo oltretutto i trasferimenti erariali di dubbia costituzionalità alla luce del nuovo Titolo V.

L’alternativa dell’Irpef

Si consideri dunque qui il caso, ovviamente irrealistico, che la riforma Irap non comporti effetti di gettito perché, pur abolendo il tributo, si riducono le spese di uguale ammontare. Quale tributo regionale potrebbe allora sostituire l’Irap? Le alternative sono diverse, nessuna delle quali è pienamente soddisfacente.
Una possibilità è quella di cercare spazi ulteriori di manovra sull’Irpef (o Ire): lo Stato potrebbe ridurre la propria quota sul gettito di questa imposta in una misura corrispondente a quello abolito dell’Irap, ampliando contemporaneamente lo spazio per l’addizionale regionale già esistente sull’Irpef.  Questa soluzione avrebbe vantaggi e svantaggi. Per i primi, l’addizionale mantiene margini di manovra autonoma per le Regioni, con effetti limitati sulla mobilità dei fattori finché l’autonomia regionale non è eccessiva. In più, l’Irpef soddisfa in qualche misura il principio del beneficio (c’è qualche corrispondenza tra chi paga l’imposta e chi riceve i servizi offerti), ed è altamente visibile per il contribuente, e ciò potrebbe aumentare il controllo sui politici locali.
Ci sono tuttavia anche degli svantaggi. Di fatto, nella base imponibile dell’Irpef entrano solo taluni redditi, quelli da lavoro, e anche questi sono in larga misura evasi, erosi e elusi, tant’è che la base imponibile del tributo è in larga parte costituita da redditi da lavoro dipendente. Da questo punto di vista, l’Irap era certamente migliore, in quanto faceva riferimento a un base imponibile più ampia e si prestava a minori forme di evasione ed elusione. Per ristabilire un minimo di equilibrio, si dovrebbe almeno immaginare di accompagnare l’accresciuta addizionale Irpef a una compartecipazione regionale al gettito sulle rendite finanziarie, come suggerito da Giannini e Guerra. Inoltre, anche l’Irpef è fortemente sperequata sul territorio, e riprodurrebbe pertanto, sebbene in misura minore, gli stessi problemi menzionati per l’Irap. Una possibile alternativa potrebbe essere quella di adottare una soluzione “nordica”, modificando l’attuale addizionale in modo da attribuire alle Regioni solo il gettito corrispondente ai primi scaglioni di reddito, mantenendo qualche autonomia regionale sulle aliquote corrispondenti a questi redditi. Ciò avrebbe il vantaggio di avvicinare la dotazione finanziaria delle Regioni, ma avrebbe lo svantaggio di rendere (più che con l’attuale addizionale, o piuttosto con l’addizionale come avrebbe dovuto essere adottata e non come è stata adottata nei fatti, cioè consentendo aliquote differenziate per scaglioni) la progressività del tributo dipendente dalle scelte delle Regioni. (2)
Inoltre, richiederebbe una maggiore integrazione tra addizionale regionale e imposta erariale sull’Irpef.

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E l’ipotesi Vivat

L’altra alternativa è invece quella di ampliare gli spazi di manovra delle Regioni sui consumi.
Il vantaggio principale di quest’ipotesi sta nel fatto che i consumi sono di gran lunga più perequati sul territorio sia del reddito sia del valore aggiunto. Lo svantaggio è che è difficile immaginare l’attribuzione di spazi effettivi di autonomia delle Regioni su questi cespiti. Ciò che potrebbe essere dato in più alle Regioni rispetto a quello che già hanno (per esempio, lotto, tabacchi, alcol) mal si presta all’esercizio di un’autonoma capacità decisionale. Si potrebbe certo immaginare di aumentare la compartecipazione regionale sull’Iva, ma appunto si tratterebbe di una compartecipazione, non di un tributo. Qui, l’unica soluzione possibile sarebbe una riforma strutturale dell’Iva, adottando per esempio un sistema tipo Vivat, proposto da Michael Keen, che consente l’esercizio di un’autonomia a livello territoriale sulle aliquote per i consumatori finali. Ma questa modifica potrebbe essere solo contrattata in sede europea. Inoltre, aliquote differenziate sui consumi sarebbero comunque soggette a problemi di cross-border shopping, probabilmente seri per le dimensioni assai limitate di alcune Regioni italiane.

(1) Naturalmente, anche l’ipotesi di un finanziamento della riforma Irap con riduzioni di spese, al di là della sua scarsa plausibilità politica, introdurrebbe effetti distributivi che andrebbero attentamente valutati, perché è improbabile che le riduzioni di spese riguardino esattamente gli stessi soggetti beneficiati dalla riduzione del tributo. Per esempio, la proposta a suo tempo avanzata da Confindustria, con lo slogan “una lira di Irap in meno in cambio di una lira in meno di trasferimenti” aveva il difetto di non considerare il fatto che l’Irap è pagata prevalentemente al Nord e i trasferimenti alle imprese al Sud. Questi effetti distributivi hanno azzoppato la proposta sul piano politico.

(2) Ci sarebbero anche dei vantaggi però. Mentre un incremento dell’addizionale Irpef ha l’effetto di modificare l’intera struttura delle aliquote marginali, introducendo effetti distorsivi su tutti i livelli di reddito, interventi sui livelli più bassi modificherebbero solo le aliquote marginali corrispondenti a questi redditi, determinando così solo un effetto di reddito (non distorsivo) sui redditi maggiori di quei livelli.

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Comunicato di risposta da parte dell’ISTAT

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IRAP

  1. Flavio favilli

    Compartecipazione iva

    Indipendentemente dalla scelta di una articolazione diversa dell’Iva (ipotesi Vivat) credo possa essere utile sapere che in Italia la strada di una più articolata compartecipazione delle regioni al gettito IVA sia già stata intrapresa in modo non teorico bensì operativo.
    Infatti, ad iniziare dalla Dichiarazione IVA per il 2004 , in corso di redazione in queste settimane, e che entrerà in possesso dell’amministrazione finanziaria , in via telematica , il prossimo 31 ottobre 2005 , verrà comunicata da tutti i soggetti iva l’entità dell’imposta relativa alle “Operazioni imponibili verso consumatori finali “ distinta da quella relativa alle “Operazioni imponibil iverso soggetti IVA”, distintamente per regione,(Quadro VT del Modello IVA 2005)
    L’obbligo di questa separata indicazione delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di consumatori finali e di soggetti titolari di partita IVA avviene sì in forza di quanto disposto dall’articolo 33,comma 13 del D..L 269/03 come integrato dalla legge 350/03, ma è opportuno evidenziare come il preciso intento , già più volte avanzato in anni passati, sia quello di acquisire una base dati certa al fine di determinare la quota di gettito iva da devolvere alle singole regioni.
    Non più utilizzando quindi quale indicatore la media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’ISTAT a livello regionale,come fa il d.lgs.56/2000 , bensì l’iva effettivamente riscossa nella regione considerata.

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