I risultati della sperimentazione del reddito minimo di inserimento non sono mai stati resi noti ufficialmente. Un’occasione persa dal punto di vista politico e scientifico, perché il dibattito su povertà ed esclusione sociale non può prescindere da un’accurata analisi della situazione effettiva e delle possibili soluzioni. Anche se i valori di uscita dall’assistenza non dovrebbero essere l’elemento esclusivo di valutazione dei progetti, solo la disponibilità di dati individuali consente una verifica approfondita. Come dimostrano i casi di Genova e Rovigo.

La Legge finanziaria 2004 ha introdotto il reddito di ultima istanza tra gli ammortizzatori sociali quale “strumento di accompagnamento economico ai programmi di inserimento sociale destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale e i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro”. La sua istituzione viene lasciata in mano alle Regioni, mentre lo Stato si limita a co-finanziarla. La mancanza di indicazioni, linee guida, criteri di attuazione ha fatto sì che solo poche volenterose Regioni si siano attivate in tal senso. L’assenza di parametri che definiscano standard minimi comuni a tutto il territorio nazionale abbandona i cittadini alla volontà politica locale e contrasta con le indicazioni che da tempo vengono dall’Unione europea. Tale situazione non è stata chiarita dalle disposizioni per il potenziamento degli ammortizzatori sociali contenute nel “pacchetto competitività” (Decreto legge 35/2005). Di fronte all’indeterminatezza che avvolge ancora il Rui è forse opportuno ragionare sulle motivazioni che hanno portato alla sua introduzione.

Un’occasione persa

Il Rui sostituisce il reddito minimo di inserimento, strumento di lotta alla povertà e all’esclusione sociale sperimentato in alcuni Comuni italiani tra il 1999 e il 2002. Rilevando importanti criticità nell’individuazione dei beneficiari e nell’efficacia dei programmi di inserimento, il Governo ha lasciato infatti che la misura si esaurisse per poi sostituirla con il Rui. I risultati della sperimentazione non sono mai stati resi noti ufficialmente, e il dibattito su povertà ed esclusione sociale è stato quasi completamente cancellato dall’agenda politica italiana.L’occasione persa è enorme, sia dal punto di vista politico che da quello scientifico. La riorganizzazione del sistema degli ammortizzatori sociali deve infatti necessariamente confrontarsi con i temi della povertà e dell’esclusione, e un ragionamento serio sull’argomento non può prescindere da un’accurata analisi della situazione effettiva e delle possibili soluzioni, a cui la comunità scientifica dovrebbe fortemente contribuire. I pochi dati che si conoscono sono inoltre quasi esclusivamente di tipo aggregato. Pertanto, possono nascondere, al loro interno, dinamiche molto varie, la cui analisi potrebbe arricchire significativamente le informazioni su cui basare le scelte politiche. A poco serve infatti sapere che i risultati in termini di inserimento sono stati deludenti, se non sappiamo quali sono le determinanti principali..

I casi di Genova e Rovigo

Nei nostri recenti lavori abbiamo personalmente raccolto i dati individuali relativi alla sperimentazione del Rmi nei comuni di Genova (quartieri Voltri e Prà, per il primo biennio 1999-2000) e Rovigo (per tutto quadriennio di sperimentazione). I risultati ottenuti, oltre a presentare alcune discrepanze con i dati ufficiali, ci sembrano degni di menzione. I nuclei famigliari beneficiari sono stati 461 a Genova e 312 a Rovigo. Le loro caratteristiche differiscono in parte tra le due città. A Genova, infatti, la percentuale di nuclei beneficiari in relazione alla dimensione famigliare si distribuisce in modo abbastanza omogeneo, con una leggera prevalenza di famiglie di due componenti (il 26,7 per cento) e una quota consistente di famiglie numerose (11,5 per cento).  A Rovigo c’è una netta sproporzione verso le famiglie unipersonali (ben il 42,5 per cento dei nuclei) e una presenza decisamente minore di famiglie numerose (6,1 per cento).  Se si guarda inoltre all’incidenza della partecipazione in relazione alla dimensione famigliare scopriamo che mentre a Genova essa tende ad aumentare con la numerosità, a Rovigo si polarizza, concentrandosi principalmente tra le famiglie unipersonali (1,5 per cento) e tra quelle numerose (1,4 per cento).
Ciò si riflette naturalmente anche nella distribuzione dei nuclei secondo la struttura familiare. A Genova le famiglie con figli costituiscono nettamente la maggioranza dei nuclei beneficiari, con il 33,5 per cento di monogenitori e il 31,2 per cento di coppie. A Rovigo, accanto all’elevata percentuale di single, troviamo un 23,4 per cento di famiglie monoparentali e solamente il 18,7 per cento di coppie con figli. Le persone di riferimento sono in maggioranza donne (64,1 per cento a Genova e 57 per cento a Rovigo) e la fascia d’età prevalente è quella centrale (35-49 anni), ma a Rovigo la percentuale di giovani è maggiore che a Genova (rispettivamente 19 per cento e 10,9 per cento). Il livello d’istruzione prevalente è la licenza elementare a Genova (45,2 per cento delle pdr) e la licenza media a Rovigo (55,1 per cento delle pdr). Poco meno della metà delle persone di riferimento è disoccupata, circa il 20 per cento ha un qualche tipo d’occupazione e circa il 30 per cento è fuori dalla forza lavoro. Tali valori presentano differenze trascurabili tra le due città. L’impressione generale che se ne trae è che l’”occupabilità” dei beneficiari sia maggiore nel comune di Rovigo, ed è confermata dai dati relativi ai progetti di inserimento (tabella 1). I dati di Genova si riferiscono alle persone in assistenza al 31 dicembre 2000, mentre per Rovigo comprendono tutto il quadriennio.

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Tabella 1. Progetti di inserimento (valori percentuali)

Tipo di progetto

Genova

Rovigo

Occupazionale

12

33.7

Pubblica utilità e integrazione sociale

26.9

8.9

Formativoscolastico

14.1

11.9

Riabilitazione

10.4

22

Cura e sostegno familiare

9.2

14.9

Altro

27.4

6.1

I dati a disposizione hanno permesso di verificare che i progetti hanno raggiunto il target di riferimento in relazione alle caratteristiche dei beneficiari (tabella 2). La partecipazione effettiva dei beneficiari ai programmi assegnati, nonché il rispetto dei requisiti economici e patrimoniali richiesti, sono stati verificati attraverso incontri periodici con gli assistenti sociali. I dipendenti comunali hanno tuttavia dovuto sopperire alla mancata collaborazione, nella funzione di controllo, della Guardia di Finanza, che dovrebbe invece essere un elemento essenziale per la corretta applicazione di programmi basati sul means testing.

Tabella 2. Progetti di inserimento e caratteristiche dei beneficiari

Programma

Tipo di progetto

Rovigo

Genova

programmi

di inserimento lavorativo

occupazionale

maschio; giovane;

istruzione media;

disoccupato;

problematiche

socio-relazionali.

giovane, adulto;

istruzione media e alta; disoccupato.

scolasticoformativo

ragazzo;

istruzione media e alta;

non lavoratore.

programmi

di inserimento sociale

integrazione

socio-relazionale

maschio; anziano; non lavoratore; problematiche

di devianza, malattia

o handicap,

socio-relazionali.

donna; giovane, adulto;

altri problemi.

pubblica utilità, volontariato

programmi

di riabilitazione

riabilitativo

problematiche di devianza, malattia o handicap.

adulto, anziano;

problematiche di devianza, handicap o malattia;

altri problemi.

altri tipi

di programmi

cura e sostegno

della famiglia

donna; anziano;

istruzione media e alta; problematiche

socio-relazionali

e familiari.

donna; giovane, adulto;

istruzione bassa e media; disoccupato.

altro progetto

donna; adulto, anziano.

Nota: sintesi delle stime ottenute con il modello multinomial.

Per quanto riguarda Genova, al 31 dicembre 2000, solo il 30 per cento circa delle famiglie era uscito dall’assistenza. Le uscite si erano concentrate intorno ai sei e ai dodici mesi dall’ingresso con scadenze che coincidevano con i colloqui di aggiornamento-verifica che ogni famiglia doveva sostenere. A Rovigo, a fine aprile 2003, il 52,1 per cento dei nuclei familiari beneficiari aveva superato la condizione di bisogno, il 21,4 per cento era uscito dall’assistenza per motivi diversi, mentre il 26,4 per cento risultava ancora in assistenza. Il 52 per cento delle uscite è avvenuto per motivi di reddito da lavoro (o altri redditi non da trasferimento), mentre il 23,32 per cento per i benefici di altri tipi di trasferimenti e assistenza. La probabilità d’uscita raggiunge il 25 per cento dopo sette-otto mesi e il 50 per cento dopo sedici mesi; è maggiore per i giovani, per i maschi, e per chi possiede almeno la licenza media, mentre diminuisce in presenza di problematiche personali più gravi. I valori di uscita dall’assistenza non dovrebbero in realtà essere il solo elemento di valutazione: a nostro parere non sono infatti sufficienti per giudicare l’efficacia dell’ambizioso obiettivo del Rmi. Soggetti beneficiari di programmi di questo tipo sono persone socialmente marginali e vulnerabili per le quali sono necessari interventi personalizzati che implicano l’impossibilità di una valutazione omogenea. Il nostro vuole essere uno stimolo verso una maggiore ricchezza e profondità di analisi che solo la disponibilità dei dati individuali potrebbe permettere.

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