Il dato sul Pil e la possibilità che preluda a un’ulteriore involuzione dell’economia italiana pone tutti, senza eccezione, di fronte alle proprie responsabilità. Il Governo deve tracciare un quadro di politica economica che dia certezze a imprese e famiglie e abbandoni ogni ipotesi di sgravi fiscali. I sindacati riconoscano che la moderazione salariale non può essere confinata al settore privato. Il sistema produttivo faccia ricorso alla capacità di innovare e investire e non alla ricerca di rendite di posizione.

Vi è un aspetto positivo nel pessimo dato di Pil diffuso ieri dall’Istat: il definitivo tramonto dell’epoca degli ottimismi di facciata e dei tentativi, affannosi, di trovare una giustificazione alla crescente divaricazione fra realtà e annunci.

NON PREOCCUPA SOLO IL PIL

L’arretramento sostanziale e prolungato dell’economia italiana ha luogo in un contesto in cui l’economia mondiale cresce a ritmi che non hanno precedenti negli ultimi ventisette anni, in cui anche l’economia europea dà segni di ripresa (come dimostrano sia il dato congiunturale di crescita, sia quello tendenziale), in cui persino la Germania, il malato cronico dell’Europa, è cresciuta a tassi nordamericani. Non è più possibile attribuire la performance dell’economia italiana alla cattiva congiuntura mondiale o agli stenti dell’Europa. Il dato di crescita non giunge del tutto inatteso. Diversi indicatori – l’andamento della produzione industriale, il calo delle vendite al dettaglio, la dinamica del fatturato – avevano messo in luce la possibilità di un forte rallentamento dei livelli di attività economica nel corso del primo trimestre. Soprattutto il dato del Pil, pur nella sua negatività, non esaurisce le preoccupazioni.  È assai probabile infatti che l’arretramento significativo dei livelli di attività economica finisca per ripercuotersi anche sugli equilibri del mercato del lavoro.
La crescita dell’occupazione e il calo della disoccupazione hanno costituito le uniche note luminose in un quadro macroeconomico altrimenti sempre più cupo. Nel passato sono stati fattori decisivi nel mantenere il volume dei redditi familiari, compensando la stagnazione del potere d’acquisto dei salari, e in ultima istanza sostenendo la domanda di consumi. Vi sono però diversi segnali, tutti assai preoccupanti, che la domanda di consumi si vada indebolendo. Il calo del fatturato e della produzione industriale è assai più pronunciato nel settore dei beni di consumo. Le vendite al dettaglio hanno registrato una crescita negativa (in valore!) nei primi due mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un’inversione delle tendenze finora favorevoli dell’occupazione si ripercuoterebbe inevitabilmente sulla dinamica dei consumi privati, perpetuando il momento recessivo.
Allo stesso tempo, è vitale per la competitivitàdelle nostre imprese recuperare produttività. Un semplice stimolo dei consumi, spesso invocato, si tradurrebbe altrimenti soprattutto in un aumento delle importazioni con scarsi benefici per la nostra economia. L’aumento di produttività è una condizione essenziale perché le nostre imprese recuperino competitività. In una situazione però in cui la crescita della produzione rimarrà nel migliore dei casi assai modesta, i recuperi di produttività passano inevitabilmente attraverso un ridimensionamento dell’occupazione.

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VERSO UN’ULTERIORE INVOLUZIONE?

Il dato sul Pil e la possibilità che esso preluda a un’ulteriore involuzione della nostra economia pone tutti, senza eccezione, di fronte alle proprie responsabilità. 
Per l’esecutivo è venuto il momento di tracciare un quadro di politica economica che superi le troppe oscillazioni del passato e dia certezze a imprese e famiglie. Appare sempre più irreale in questo contesto il dibattito su quali sgravi fiscali attuare in una situazione in cui il controllo ancora inadeguato della spesa pubblica, l’esaurirsi delle misure temporanee e le falle preoccupanti del nostro sistema tributario rischiano di riproporre all’attenzione dei mercati il problema della finanza pubblica italiana.
Per i sindacati, è doveroso riconoscere che la moderazione salariale, che tanto ha contribuito alla crescita dell’occupazione, non può essere confinata al settore privato. La spesa per i dipendenti pubblici è cresciuta a ritmi estremamente rapidi negli ultimi anni e il suo contenimento deve costituire una priorità della politica fiscale.
Per il sistema produttivo è essenziale rendersi conto che la propria sopravvivenza è sempre più affidata alla capacità di innovare e investire e non alla ricerca di rendite di posizione (soprattutto nei servizi) che pesano in maniera intollerabile sull’economia e che il declino del nostro sistema economico tenderà prima o poi a prosciugare. Condizioni essenziali per evitare che il declino si muti in deriva.

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